In viaggio con il kamikaze
di Umberto De Giovannangeli
«Tre persone sono rimaste uccise. I loro volti riempiono la mia mente. E s’intrecciano con quello dell’uomo che avevo preso in macchina. Da quel maledetto momento continuo a chiedermi se avrei potuto salvare le loro vite. Forse avrei dovuto investirlo: ma poteva anche essere uno squilibrato...Mi dico che gli ho impedito comunque di compiere una strage più grave. Mi dico Yossi, non potevi fare altrimenti. Ma ancora non mi do pace».
Il suo nome è Yossi Woltinsky. È un colonnello israeliano della riserva. La sua vita è cambiata l’altra mattina.
È cambiata quando la sua strada ha incrociato quella di Muhammad Siksak, il terrorista palestinese autore della strage in una panetteria di Eilat (tre civili uccisi, decine i feriti). Yossi Woltinsky è divenuto, suo malgrado, una celebrità in Israele. Il perché è racchiuso in un titolo che potrebbe andar bene per un film: «In viaggio con il kamikaze». Ma la sua è una storia vera, realmente vissuta. E con un finale drammatico. L’inizio è dei più normali: Woltinsky è appena uscito di casa quando si imbatte in Siksak. «L’ho visto su un marciapiede mentre cercava di fermare una automobile. Ho pensato che fosse un manovale diretto al posto di lavoro, gli ho fatto un segno e lui si è seduto nel sedile posteriore». Il tormento del colonnello Woltinsky, residente nella parte nord di Eilat, ha inizio pochi minuti dopo. Presto infatti capisce che quell’uomo era sotto stress. «Aveva gli occhi sbarrati - racconta - sembrava in preda a tensione, teneva costantemente le mani nelle tasche». Addosso aveva una sacca, in apparenza pesante. Yossi cerca di capire meglio quali fossero le sue intenzioni, ma il suo passeggero non parlava ebraico: «Gli ho chiesto dove voleva andare e lui mi ha fatto un gesto vago con la mano. Ho insistito e allora mi ha detto che voleva andare a Haifa», la città portuale nel nord di Israele.
A questo punto Yossi non ha (quasi) più dubbi. E il tormento si trasforma in un incubo. Sulla sua vettura viaggia un kamikaze palestinese. Ne ha quasi la certezza. Quasi. «Ero certo al 99% di avere a che fare con un terrorista - dice -. Ma c’era anche un 1% di possibilità che si trattasse di un innocente, forse di un pazzo. In questo caso come avrei potuto averlo sulla coscienza...». Yossi decide di imboccare una strada secondaria per allontanare il (probabile) terrorista dalla zona turistica più affollata. Yossi cerca di prendere il telefono, ma uno sguardo del passeggero gli chiarisce che non era consigliabile.
A questo punto Yossi non ha più dubbi. Cerca di raggiungere il posto di blocco alla uscita di Eilat, verso l’Egitto, nella certezza che avrebbe trovato là soldati pronti ad agire: ma al tempo stesso teme che il terrorista possa far esplodere la sua carica contro di loro. A un certo punto il kamikaze si accorge che stavano uscendo da Eilat e ordina all’autista di fermarsi. Solo allora Yossi riesce a telefonare alla polizia per avvertire del pericolo incombente. Nel frattempo il kamikaze è scomparso in una via laterale. Pochi minuti dopo avrebbe compiuto la strage.
Da quel momento Yossi Woltinsky non ha più pace. Rivive attimo per attimo quei minuti terribili che non dimenticherà mai. E si chiede se poteva fare altrimenti, se il «viaggio con il kamikaze» poteva finire diversamente. La risposta, forse, non arriverà mai. E Yossi dovrà abituarsi a convivere con questo angosciante interrogativo.