Maglie, biglietti e ricatti: tutti gli affari delle curve
di Luca De Carolis
I professionisti del tifo, per cui il calcio equivale a un lavoro. Sono i capi tifosi di tante curve italiane, che hanno sfruttato la propria posizione per entrare «in affari». Più o meno ufficiali. Dall’organizzazione delle trasferte fino alla vendita di merchandising (magliette, sciarpe, berretti) delle squadre o con la sigla del gruppo ultras, le vie per fare soldi sono tante. E in parecchi si sono organizzati, andando a danneggiare proprio le società per cui fanno il tifo. L’Inter ha calcolato che ogni anno i tifosi spendono 35 milioni per materiale non originale delle squadre, mentre secondo il Milan il 50% del mercato in Italia è in mano a falsari o a gruppi di tifosi. La Lazio ha invece calcolato che i 4/5 dei suoi tifosi comprano merchandising non ufficiale. Spesso da gruppi organizzati, che in alcune città hanno creato vere e proprio linee di abbigliamento con negozi che vendono il loro marchio in esclusiva. Facendo esplicita concorrenza ai negozi aperti dai club. Ma questa è solo la superficie ufficiale del fenomeno. In molte città gli ultras venivano regolarmente riforniti di abbonamenti e biglietti gratis, che poi venivano rivenduti o regalati ai sodali del gruppo, grazie a cui si controllava la curva con metodi militari. C’erano poi altri favori, come la concessione di giocatori per serate in ristorante o locali (su cui alcuni capi tifosi hanno costruito piccole fortune). Fino a casi limite, come le contestazioni o manifestazioni effettuate dietro cospicue mance dei club. Ma la principale fonte di ricavi per gli ultras è sempre stato il merchandising. Come sanno bene le forze d’ordine britanniche, che da anni sottolineano quanto sia importante valorizzare la vendita di materiale ufficiale negli stadi per stroncare quello non ufficiale. E quindi una fonte di ricavo per molti gruppi organizzati.
Che scoperta! Perché, invece, il materiale venduto dai baracchini fuori dagli stadi è ufficiale? E poi mi sa che è anche legale che un club costituito in associazione venda ai suoi soci materiale autoprodotto...che poi questi soldi se li intaschi il capo ultrà anziché spenderli per la curva è un altro discorso...
Si stava meglio quando si stava peggio...
la riflessione di Scalfarotto e' piu' che legittima, l'articolo di de carolis e' stupido.
per quanto si possano detestare i "professionisti del tifo" li si deve colpire per le attivita' illegali che coprono e su cui camoano ma non per le attivita' legali e legittime; fabbricare e vendere oggetti con il marchio di un gruppo ultras e' la prima forma di autofinanziamento e non e' in contrasto con alcuna legge, i club piangono miseria perche' i tifosi preferiscono i materiali autoreferenziali ai materiali ufficiali, ma per moltissimi tifosi e' piu' importante l'identificazione in una "comunita' della curva" che la maglietta col nome di ronaldo (come dargli torto?).
la parola d'ordine del momento e' "colpire il tifo organizzato" ma questa parola d'ordine non tiene conto dei movimenti peculiari delle "comunita' della curva", mi riferisco al famoso slogan dei fedayn della Roma "noi non siamo un Roma club!" ed al movimento dei "casuals" che si e' diffuso negli ultimi 10 anni sull'onda della moda della c.d. "curva inglese".
erano "casuals", ovvero un gruppo informale di tifosi che si riunisce solo per le partite senza fare vita di club, anche quelli che colpirono Claudio "Red" Spagna a genova nel 1995.
a tutti coloro che sparano sciocchezze sul mondo degli ultras non rimane che consigliare qualche libro del grandissimo Valerio Marchi con le seguenti ragionatissime e curatissime bibliografie.