L’amorale della favola
di Marco Travaglio
Prodigiosa la rapidità con cui trasformiamo le tragedie in farse. Non era ancora finito il funerale di Filippo Raciti, e già i volti listati a lutto dei presidenti del calcio volgevano al ridanciano e tornavano a parlare di soldi. Da «non si può morire per il calcio» a «il calcio non può morire», sintetizza Mattia Feltri sulla Stampa. Poi, dalla farsa, siamo passati all’avanspettacolo con la delegazione di presidenti che sfilava al Viminale per discutere della legalità negli stadi. Già la parola legalità, in bocca a certi presidenti, suona un po’ così. Senza contare che certi presidenti, nei corridoi del ministero dell’Interno, rischiavano di fare brutti incontri: tipo imbattersi in qualche poliziotto che aveva indagato su di loro. «Dottore, lei non sa da quanto tempo le do la caccia: ha deciso finalmente di consegnarsi?». «No, c’è un equivoco, sono qui per parlare di legalità col ministro». Dev’essere per questo che, prudenzialmente, alcuni si son tenuti alla larga dal Viminale: si sa quando si entra, ma non quando (e se) si esce. Il più scalmanato contro gli stadi a porte chiuse è Aurelio De Laurentiis, presidente del Napoli, che straparla di «ritorno al fascismo»: anni fa fu rinviato a giudizio per usura, poi fu assolto. Il presidente del Livorno Aldo Spinelli invece fu condannato nel ’90 dalla Corte d’appello di Milano a 2 anni per mazzette alla Motorizzazione. Il presidente del Torino Urbano Cairo, già segretario particolare di Bellachioma, ha patteggiato la sua brava condanna per fondi neri. Il patron del Perugia Luciano Gaucci non ha potuto intervenire: da tempo latita felicemente a Santo Domingo con una bionda mozzafiato, mentre i figli entrano ed escono di galera per le sue bancarotte. All’estero si trova pure il presidente del Cagliari Massimo Cellino: arrestato per 8 giorni, patteggiò 1 anno e 2 mesi per una truffa da 24 miliardi di lire all’Ue e al ministero dell’Agricoltura; condanna arrotondata con altre due per falso in bilancio, una provvisoria, l’altra definitiva. Ragion per cui, all’esplodere di Calciopoli, i colleghi di Lega gli affidarono il «codice etico». Ma ecco avanzare altri moralizzatori doc. Come Riccardo Garrone, il petroliere che nel ’73, quando aveva i calzoni corti, fu beccato dal pretore Almerighi a pagare mazzette ai politici. E come Claudio Lotito, detto Lotirchio, il re delle pulizie che alla Lazio fa pure il magazziniere e, vero riformista, ha brevettato una macchina sterilizza-magliette e mutandoni: intanto il fisco gli sterilizzava 157 milioni di tasse arretrate, poi diluite in comode rate fino al 2028; e la Procura di Napoli lo indagava per l’associazione a delinquere di Calciopoli. Come i fratelli Della Valle, mecenati della «nuova» Fiorentina. Ma anche i grandi club sono degnamente rappresentati. La «nuova» Juve post-moggiana ha Giovanni Cobolli Gigli, già indagato per i bilanci truccati di Rcs e salvato dalla riforma Berlusconi. Il Milan, non bastando il presidente, ha pure il dg Adriano Galliani, squalificato e indagato per associazione a delinquere: è lo stesso che nel ’91 versò 10 miliardi in nero al presidente del Toro in cambio del fantasista Lentini e, in pegno, ottenne le azioni granata, così il Milan controllò una società avversaria, con un illecito sportivo macroscopico che nessuno ovviamente sanzionò (quanto al penale, provvide la solita legge Berlusconi sul falso in bilancio). L’Inter di Moratti falsificava i passaporti e, secondo la Procura di Milano, pure i bilanci. La Roma di Sensi, invece, solo i passaporti. Ma il migliore, forse, è Zamparini, il presidente veneziano del Palermo che, oltre a fare il pupo nel teatrino di Biscardi, impiantò un bell’ipermercato Emmezeta a Cinisi, su terreni di Tano Badalamenti, e di recente è finito indagato a Milano per un giro di presunte mazzette all’Agenzia delle entrate in cambio di favori nel contenzioso da 209 milioni col fisco: sdegnato, aveva promesso di «lasciare l’impresa, il Palermo e l’Italia», perché «questo Paese non mi merita». Ma è sempre lì. Come Nino Pulvirenti, quello del Catania, che tre giorni fa si dimetteva per sempre in diretta tv e ieri decideva di restare «per non darla vinta ai tifosi». È un moralizzatore anche lui: ma è lo stesso Pulvirenti che fu sentito al processo Dell’Utri sulle estorsioni mafiose subìte quand’era responsabile della Standa di Mascalucia, e i pm sospettarono che le avesse nascoste. Dev'essere per questo che il governo vieta ogni contatto tra club e ultras: per evitare che gli ultras facciano brutti incontri.
Abolizione del calcio, esilio per calciatori, azionisti, presidenti e dirigenti. Ci si libera in un solo colpo del 30% dei brutti ceffi che girano in Italia (compreso il nano).
Dev'essere per questo che il governo vieta ogni contatto tra club e ultras: per evitare che gli ultras facciano brutti incontri.
grande Marco...l'esempio, conta.
mandiamoli tutti a lavorare e occupiamoci dei problemi seri dell'Italia
In Italia il calcio E' un fatto serio.
Serio per l'indotto, per gli investimenti, per le masse che muove e che sono appassionate.
Il calcio è una cosa seria perchè è capace di veicolare e distogliere (ora l'una ora l'altra, ora tutt'e due).
Ma il calcio è un fatto serio soprattutto per gli illeciti che vi si commettono. E' come una delle Cayman in piena Italia, raggiungibile con voli settimanali o plurisettimanali (dipende dalle coppe o da anticipi di campionato). E per di più il calcio gode dell'immunità diplomatica, tanto che nessuno, quando scoperto, paga.
Perchè dunque togliere un tale paradiso? Farebbe del male solo a noi (malgrado tutto) appassionati, perchè di certo tutti questi immuni da qualche parte andrebbero, con o senza di noi (soprattutto senza).
Viva il calcio senza Moggi. Senza lui e le sue telefonate Telecom viaggia in cattive acque, ma a parte questo, abbiamo potuto conoscere finalmente petrolieri onesti fino al midollo e filantropi. Soprattutto abbiamo potuto sentire qualcuno che afferma soddisfatto che finalmente ora il calcio è pulito...
Me lo faccia dire, caro Travaglio. Meglio un Moggi che fregava i compari d'ambiente che un ceffo che non paga i conti con lo Stato. Su questo dovrà fare autocritica.
Saluti