Il rischio di una crisi di sistema e il timore di un voto anticipato
di Massimo Franco
È forte l'impressione di assistere alla crisi non soltanto di un governo e di una coalizione, ma del sistema che ha plasmato gli schieramenti negli ultimi dodici anni. La confusione e le manovre che accompagnano le prime ore dopo le dimissioni di Romano Prodi lasciano capire che la soluzione non è facile. L'ipotesi di un Prodi bis appare improbabile. Ma anche un rinvio dell'Esecutivo al Senato per tentare di riavere la fiducia presenta molte incognite. Sulla carta, i numeri non ci sono, ma sembra che il premier dimissionario stia cercando di calamitarne qualcuno per presentarsi al Quirinale con un Unione di nuovo in maggioranza.
Come passaggio successivo si allunga l'ombra di un «Esecutivo del Presidente», promosso dal Quirinale: una prospettiva che significherebbe un rimescolamento degli schieramenti; e, come minimo, la disponibilità del fronte berlusconiano a farlo sopravvivere. Ma al Quirinale e nell'Unione qualcuno non esclude che il Cavaliere voglia andare alle elezioni anticipate; e che possa riuscirci, se Prodi fallisce e il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, non fa un miracolo.
Fi e la Lega lo dicono apertamente. In apparenza, sembrano aver rinunciato alla possibilità di modificare prima la legge elettorale: forse sono sicuri di incassare la vittoria comunque. E il centrosinistra compie l'estremo tentativo di rilanciare la leadership prodiana in un clima disperato. Il ritorno del governo al Senato potrebbe preludere a una resurrezione dell'Unione: magari cercando di arruolare qualche senatore d'opposizione. Ma non si esclude che finisca invece per sancire il tramonto dell'alleanza messa in piedi dal Professore.
Chi ha parlato col premier dimissionario lo racconta con un piede a Roma e l'altro già a Bologna. Prodi teme che la sua leadership sia ulteriormente logorata; ed esposta a una nuova umiliazione quando il Senato voterà il rifinanziamento della missione in Afghanistan, fra poche settimane. Per questo ha chiesto agli alleati una sorta di patto d'ubbidienza. Il documento che ha proposto nella riunione di ieri notte a palazzo Chigi parla di «condizioni obbliganti» per i partiti. Somiglia a un «prendere o lasciare» che dovrebbe esorcizzare nuove defezioni parlamentari.
Ma non è detto che recuperare il controllo della situazione alle proprie condizioni basti a evitare il disastro. Se anche l'Unione votasse compatta le indicazioni del proprio leader, difficilmente avrebbe la maggioranza al Senato. I numeri sono un ostacolo politico insormontabile. E per il momento le offerte rivolte ai settori centristi dell'opposizione sono state respinte quasi con disprezzo. Servono almeno 161 voti. E il governo ci arriva solo se vota compatto, dissidenti compresi, e recuperando il voto di alcuni senatori a vita che si sono astenuti. L'ultima sfida disperata si gioca nelle prossime quarantotto ore. Almeno dall'Unione, Prodi ieri notte ha ricevuto un via libera.
Spero si stiano rendendo conto ora di aver fatto una cazzata gargantuesca.
Altro che Rossi e Turigliatti.