La sconfitta laica sui Dico trent'anni dopo il divorzio
Nella discussione emersa sul programma aggiornato del Governo Prodi (altrimenti il “dodecalogo”), i Dico sono diventati ingombranti. La sensazione è quella della sconfitta dei laici, del trionfo dei teodem del centro-sinistra, un segnale che allude, per alcuni, anche al possibile profilo culturale del futuro “partito democratico” Un partito che molti temono a “sovranità limitata”. La sensazione è che coloro che si considerano figli della storia e non figli di Dio siano sostanzialmente dei “figli di nessuno” e dunque si debbano accontentare della condizione di “sopportati” o al più di marginali.
La questione non è tanto chi abbia vinto la partita sui Dico perché ha schierato le proprie corazzate. Alla rovescia: è come stata presentata e costruita un'argomentazione politica introno ai Dico alla loro legittimità.
Come nasce la questione dei Dico - non sul piano del disegno legislativo, bensì su quello della retorica pubblica? Nella stessa maniera e seguendo le stesse logiche con cui negli anni '70 si è costruita la questione prima del divorzio e per certi aspetti poi dell'aborto. Ovvero, una volta definita la questione come partita sui diritti civili, sulla loro estensione, il tema della legittimità della legislazione che immetteva il divorzio nel sistema giuridico italiano o introduceva - con moti distinguo - la questione dell'aborto, si costruiva intorno a due principi: il primo principio si preoccupava di sottolineare che quel diritto non avrebbe leso il diritto esistente e dunque non entrava in rotta di collisione con ciò che già c'era; in seconda istanza riconosceva quella figura come una possibilità in più che né sostituiva né insediava il primato di altre forme di etica.
Tutto rientrava nella categoria della emancipazione, ovvero riguardava una estensione di diritti, non una battaglia culturale laica sulla natura dei diritti. In altre parole lo sguardo era su una affermazione di estensione del diritto, di suo allargamento, non del suo fondamento. Per questo né il divorzio, né l'aborto hanno rappresentato una svolta di laicità nella società italiana, ma solo un allargamento delle possibilità. Riguardavano il costume, non la mentalità, ponevano un problema di pratiche, non di culture.
La Chiesa dovette in quel caso prendere atto che la società, al di là dei numeri, era altrove. Anche se quel collocarsi altrove non avveniva sul piano di un complesso sistema di valori radicalmente alternativo - appunto su un piano di etica - bensì su quello dei costumi.
La laicità, allora, non faceva parte della partita, quello che avveniva era l'ultimo strascico di un conflitto o di una rivolta o di una istanza di liberazione. Nemmeno ora la laicità è entrata in gioco. Allora sull'onda della secolarizzazione, parve che quella vittoria numerica fosse anche una vittoria culturale. Non era così. I laici allora, per non affrontare una questione di laicità della cosa pubblica scelsero una retorica che consentiva di portare a casa il risultato, ma non di avviare una pratica culturale, politica ed etica alternativa. La battaglia allora non ci fu. Sarebbe illusorio pensare che in nome di una battaglia non combattuta si potesse vincere trent'anni dopo una guerra culturale in una condizione complessiva di ripiegamento.
04.03.07 23:55 - sezione
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