Allarme dell’Onu per Gaza: l’80% dei palestinesi è alla fame
La maggioranza della popolazione sopravvive solo grazie agli aiuti umanitari. A rischio denutrizione il 51% dei bambini
di Umberto De Giovannageli
NON È UN GRIDO d’allarme. È molto di più. È la radiografia di una situazione ormai oltre la crisi umanitaria. È il racconto, sintetizzato in cifre, di oltre ottocentomila esseri umani, donne, bambini, uomini, la cui sopravvivenza quotidiana, il cui sostentamento è oggi totalmente dipendente dagli aiuti internazionali. È ciò che documenta l'ultimo rapporto sulla Striscia di Gaza elaborato dal Programma di mondiale di alimentazione delle Nazioni Unite (Wfp), che l'Unità ha potuto visionare in anteprima.
L'80 per cento della popolazione della Striscia dipende dagli aiuti del Wfp e dell'Unrwa, l'agenzia Onu per i rifugiati. «Senza questi aiuti decine di migliaia di famiglie non riuscirebbero a tirare avanti. La loro condizione è di assoluta indigenza», dice a l'Unità, la portavoce del Wfp per i Territori Kirstie Campbell. Oltre l'emergenza. La situazione, che l'Unità ha monitorato e denunciato più volte negli ultimi mesi, peggiora di giorno in giorno e il rapporto del Wfp lo testimonia con dati agghiaccianti. Come questo: il 46% degli abitanti dei Territori (Striscia di Gaza e Cisgiordania) non hanno la possibilità di accedere a quella che viene considerata dagli standard minimi del Wfp una «equilibrata alimentazione». Ciò significa, spiega ancora Campbell, che il 46% dei palestinesi è impossibilitato a produrre sempre e/o accedere all'alimentazione minima necessaria per una vita sana e attiva.
Nella Striscia di Gaza - altro dato angosciante - quattro palestinesi su cinque sono sotto la soglia di povertà (due dollari al giorno pro capite). Le prime vittime di questa situazione sono i bambini e gli anziani. Altri dati angoscianti: il 51% dei bambini di Gaza soffrono di gravi carenze vitaminiche, e per molti di loro lo sviluppo è compromesso. «Stiamo vedendo sempre più bambini che vengono a scuola senza aver potuto consumare la prima colazione e senza potersi comprare qualcosa da mangiare - racconta la portavoce del Wfp -. Molte famiglie possono dare soltanto un pasto al giorno ai loro bambini. La situazione è particolarmente grave a Gaza, ma segnali inquietanti cominciano a giungere anche dalla Cisgiordania».
Per quanto riguarda la popolazione anziana, nell'ultimo anni i decessi conseguenti ad un «indebolimento organico irreversibile» (inedia) sono aumentati del 38% rispetto all'anno precedente. Disperata. È la valutazione delle condizioni di vita che emerge dal rapporto. Una parola che Kirstie Campbell ripete più volte nella sua testimonianza. L'indigenza si sta estendendo a gruppi sociali che fino a qualche tempo fa ne erano solo sfiorati. Mentre in passato, rileva il rapporto dell'Agenzia Onu per l'alimentazione, la scarsità dei generi alimentari di prima necessità riguardava essenzialmente le zone rurali, ora è un fenomeno che investe anche gli abitanti di Gaza City, e categorie sociali - commercianti, funzionari pubblici - ritenute «privilegiate». L'economia palestinese si configura sempre più come una «economia di baratto». Il Wfp fissa a 1,60 dollari pro capite al giorno la soglia di «indigenza alimentare»; 1,60 dollari al giorno è il minimo richiesto per una alimentazione nutrizionalmente sufficiente. A Gaza, centinaia di migliaia di persone non mangiano altro che pomodori e pane. Non sono solo numeri. Sono volti, storie, che raccontano di una situazione che si fa sempre più disperata.
Nel silenzio, complice, della Comunità internazionale e nella bancarotta morale, oltre che politica, di una leadership palestinese il cui unico interesse appare quello di definire la spartizione di poltrone nel nascente governo di unità nazionale.
È la storia della piccola Dana (8 anni), dei suoi sette fratelli, del padre Yusuf e della madre Basma. È la storia della famiglia Hassein. Dal 2004, racconta Basma, l'alimentazione dei suoi bambini è sempre la stessa: pitta e humus e la mattina, ogni bambino beve una tazza di tè. Una volta a settimana, quando va bene, mangiano pollo o carne rossa. Niente latticini, niente verdura, niente riso o pasta. Senza l'aiuto del Wfp il destino di Dana e dei suoi sette fratelli sarebbe già segnato. Non esisterebbe. Perché è solo grazie all'assistenza Onu che la famiglia Hassein, e come lei altre decine di migliaia, ricevono, ogni due settimane, farina, sale, olio da cucina, tè.
Questa è la «vita» quotidiana in quella prigione a cielo aperto, isolata dal mondo, che è Gaza. Questa è la «vita» che sta sfiorendo all'ombra del «muro» che spezza in mille ghetti la Cisgiordania. Indigenza. Disperazione. Dipendenza pressoché totale dalle agenzie umanitarie. Una situazione, denuncia il rapporto del Wfp, che si andata ancor più aggravando dopo che i migliaia di palestinesi che si recavano giornalmente in Israele per lavoro si sono ritrovati disoccupati in conseguenza delle disposizioni delle autorità israeliane in materia di sicurezza e a seguito della costruzione della barriera di separazione.
E c'è ancora chi parla di diritto di difendersi da parte di Israele. Difendersi da una popolazione di affamati? E ci si meraviglia ceh persone che muoiono di fame siano disposte a farsi saltare in aria per soldi o per finti ideali... Resto convinto del fatto che se i palestinesi avessero lo stesso tenore di vita dei loro oppressori nessuno di loro si farebbe saltare in aria. Perchè non provare?
Andatelo a dire a questi personaggi qua:
http://www.sinistraperisraele.it/
"La legittima opposizione ad alcune AZIONI dei governi di Israele non deve tradursi in condanne generalizzate e boicottaggi a tutta la società israeliana...Il TERRORISMO è un crimine inaccettabile, che deve essere condannato con forza e senza condizioni" (il maiuscolo è mio).
"Azioni" da una parte e "terrorismo" dall'altra: che bello quest'uso poetico, libero, delle parole! Siamo proprio sicuri che certe "azioni" del governo di Israele non siano PEGGIO DEL TERRORISMO? Riusciamo o no a distaccarci dalla schiavitù mediatica affrontando la cruda realtà?
Uno legge quest'articolo e gli vengono i brividi. Ma a noi ci commuovono di più i pischelli israeliani che - poverelli - non posssono andare liberamente in discoteca. Ci riconosciamo in loro, mica nei ragazzini che tirano le pietre ai carri armati.
Questa è la nostra superiorità occidentale: la possibilità che ci viene garantita d'essere ipocriti.