Vademecum per uscire dalla palude Rai
di Alessandro Curzi
Sarebbe veramente un peccato se cadessero nel vuoto il grido d’allarme sulla Rai, l’analisi del presente e le indicazioni per l’immediato futuro del servizio pubblico fornite da Roberto Cuillo, martedì, sull’Unità. Vi sono esposti, in lucida sintesi, tutti gli elementi di una situazione paludosa, via via descritta e denunciata in questi mesi, nella quale la Rai rischia di sprofondare, «mentre tutta Europa rilancia il servizio pubblico radiotelevisivo».
Faccio mia, tanto per cominciare, la proposta di una «direzione editoriale dell’azienda» che coinvolga le più autorevoli risorse culturali del Paese. Si sa che oggi la Rai è priva anche di un vero e proprio piano industriale. Ma su questo credo che si stia finalmente lavorando. Ma un servizio pubblico che sta sul mercato - quindi una realtà assai complessa che, a differenza di tutte le altre aziende, deve coniugare qualità e ascolti - ha bisogno come il pane di un piano e di una sede di elaborazione culturale di altissimo livello. Non basta la cultura manageriale, né la pratica amministrativa, né l’approccio politico, per quanto animati da buone intenzioni di recepimento delle aspettative che arrivano dalla società e dal mondo globalizzato, delle più avanzate istanze del sapere e della tecnologia, e dei risultati delle più aggiornate ricerche sociologiche, antropologiche e quant’altro.
C’è bisogno di una sintesi altra e alta. Ci vuole un gruppo di saggi, d’esperienza e dall’inesausta curiosità del mondo, che valutino complessivamente quanto un’azienda come la Rai fa, che dia suggerimenti e costituisca un autorevole punto di riferimento per i contenuti della più grande azienda culturale del Paese. Si pensi solo alla fiction, un terreno sul quale la Rai fa molto e molto bene, specie in termini di ascolto. Ma procedendo sulla base di proposte e intuizioni, spesso eccellenti, che nascono e si sviluppano in un ambiente molto tecnico, quasi autoreferenziale, tutto interno a logiche sperimentalmente elaborate. Lo stesso CdA, ad oggi, non riesce a dare alle strutture aziendali - della fiction, così come degli altri importanti settori di attività (informazione, intrattenimento, ecc.) - indicazioni programmatiche o anche solo «editoriali» alle quali esse possano fare riferimento.
In considerazione anche dell’ormai fortissima competizione che anima il mercato dell’offerta televisiva (non si tratta più di confrontarsi con Mediaset, ma con una serie di altri attori del mercato che, grazie al cielo, diventano sempre più numerosi e forti, a cominciare dall’attuale monopolista della piattaforma satellitare), è arrivato per la Rai il momento di dotarsi di procedure e di risorse anche inedite. E l’idea di una «direzione editoriale» mi pare ottima. Cuillo fa i nomi di Cerami, Eco e Messori. Io aggiungerei qualcuno dei nostri riconosciuti maestri di cinema, personalità come De Rita, una figura morale come l’arcivescovo Martini (se non gli fossero di ostacolo le condizioni di salute), un uomo di cultura e di spettacolo come Fo e Camilleri, ma anche uomini di spettacolo e «di Rai» come Arbore e, perché no? lo stesso Baudo.Ma debbo dire, sinceramente, che considero l’intervento di Cuillo importante sul piano generale. Anche in considerazione della sua primaria responsabilità in materia per conto del più importante partito della sinistra.
Partiamo dalla vexata quaestio del consiglio di amministrazione, a maggioranza di centrodestra. Vedremo cosa succede giovedì, quando presumibilmente saremo di fronte ad una proposta di pochi e qualificanti cambiamenti direzionali da parte del direttore generale. Se il CdA confermasse di non essere in grado di adottare pur irrimandabili decisioni di copertura operativa e di innovazione del prodotto, e se neppure i cosiddetti «volenterosi» riuscissero a smuovere dalle loro pretese di immobilismo i detentori del controllo aziendale (dal CdA alle reti e alle direzioni più importanti) - come dice giustamente Cuillo - si faccia la riforma della Rai e si proceda finalmente ad un’organica azione di risanamento e rinnovamento dell’azienda. Se questo non fosse possibile o comunque non si ritenesse di far ciò nei necessari tempi brevi, il governo adotti subito i provvedimenti, pur praticabili in base alla stessa vigente legge Gasparri, per far uscire la Rai dalla palude.
Che dire di più? Che tutto questo chiama in causa, immediatamente dopo le responsabilità e l’eredità lasciata dal centrodestra, la maggioranza parlamentare e il governo di centrosinistra. E che questo ha fatto in pieno il suo dovere di proposta legislativa (con i testi sul sistema e sulla Rai affidati peraltro ad un’ampia consultazione) e ha osservato un atteggiamento di rigoroso rispetto nei confronti dell’azienda, ma forse poteva e può fare qualcosa di più come «azionista».
Capisco che la questione è difficile, con la gente che chiede: dov’è la nuova Rai? e con una Rai che se sta immobile viene criticata perché immobile, e se nelle condizioni date cerca di fare qualcosa viene accusata di «inciucio». In effetti il sentiero fra l’uno e l’altro atteggiamento è assai stretto, ma è l’unico dignitoso e trasparente a nostra disposizione: dire chiaramente ciò che vogliamo fare, proporlo, sfidare la compattezza e la impermeabilità alla ragione di chi vorrebbe che niente cambiasse, e nel peggiore dei casi fare emergere con nettezza il problema della materiale impraticabilità di un adeguato governo dell’azienda.
Quel che dico potrebbe sembrare viziato da conflitto di interessi, ma... Mai fidarsi di nessuno sotto gli ottanta!
Se penso che tra non troppo tempo avremo solo vecchi i cui ricordi saranno monopolizzati da Lascia o Raddoppia e simili anzichè dalla guerra e dalla Resistenza la tentazione di grattarsi furiosamente è forte... Non sono più i vecchi di una volta!
Invece che avere i saggi che cambiano quando cambiano le stagioni politiche, sarebbe meglio privatizzare due delle tre reit RAI.
Nulla e' piu' utile alla concentrazione che la paura di un cambio di regime vero. Da pubblico a privato.
La cosa poi che mi spiace per la RAI e' che ha un sacco di talenti inespressi soffocati dai burocrati messi su dai partiti.
...che verrebbero invece valorizzati da venditori di margarine. Come no.
Tra lottizzazione partitica e padronato cialtrone (Cordero di Montezemolo, Della Valle, Ricucci e compagnia orrida) c'è l'alternativa, molto più dirompente, di affidare la Rai proprio a quel "sacco di talenti inespressi". Per esempio.
Bravo marco, mi hai tolto le parole di bocca.
La RAI privatizzata e venduta ai dipendenti RAI!
C’è bisogno di una sintesi altra e alta. Ci vuole un gruppo di saggi, d’esperienza e dall’inesausta curiosità del mondo, che valutino complessivamente quanto un’azienda come la Rai fa, che dia suggerimenti e costituisca un autorevole punto di riferimento per i contenuti della più grande azienda culturale del Paese.
Bla bla ..tutto "alto",autorevolissimo, fatto di saggi, padri costituenti della fiction etc. etc.
trombonia allo stato puro.
Basterebbe una rai ridotta, che facesse servizio pubblico, un po' di sostegno al cinema, programmi interessanti.
lasciando il resto (la tv commerciale) al mercato.
ma si sa, la rai è un greppia troppo grossa..
Comunque "l'inesausta curiosità del mondo" è come "gli irreparabili cieli di versilia" e altre tronfie espressioni della peggior letteratura poetica..
L'espressione "altra e alta" ha fatto venire l'orticaria anche a me.
basterebbe non quello che dice Curzi, ma una legge alla Zapatero, sostenuta dal comitato "per un alra tv" http://www.perunaltratv.it/ dove la televisione rimane pubblica ma viene costituita in holding che viene sottratta al controllo dei partiti. come la Bbc.
Mi sembra che con tutta l’aria (per adesso solo dichiarata) di ricambio generazionale che c’è in giro, sia scattato un riflesso anti-giovanilista da parte di “saggi, d’esperienza e dall’inesausta curiosità del mondo”, la cariatidocrazia appunto. Istinto in parte neanche tanto criticabile, visto che spesso i “giovani” (soprattutto quelli che fanno politica) usano la categoria del ricambio generazionale come un’arma minacciosa. Solo se i giovani sapranno essere interpreti di un nuovo modello di partecipazione allora la legittima rivendicazione di un ricambio generazionale potrà apparire credibile e non strumentale.
Per avere una buona RAI in chiaro basta invertire le reti RAI satellitari con quelle terrestri. Chi vuole Cucuzza e Sanremo se lo cerca sul satellite, gli altri si ritrovano una televisione più che decente che a volte arriva addiruttura alle soglie del servizio pubblico (sconfinandoci dentro in alcuni casi).
No, Fra Laf, i giovani sono portatori di idee rivoluzionarie e innovative.
Le cariatidi sono quelle che governano.
Facciamo piazza pulita.
Vogliamo un altro di Pietro!
caro Mauro mi associo. Un altro Di Pietro. Ma proprio un altro. Che sia almeno abbastanza in sè da opporsi alla Torino-Lione, per esempio. E sia un po' (un bel po') meno indulgente con la polizia, specialmente quando è in servizio di ordine pubblico.
lasciamo stare le schermaglie vecchi/giovani che servono solo alle classi dirigenti rampanti, vecchie e giovani, ad allargare il proprio potere. il problema non sono le persone indicate da Curzi, ma il metodo. ci vuole un metodo di rottura, più liberale e trasparente, in una Rai pubblica ma in un altro modo. e cioè sottratta al potere dei partiti.
Caro Mauro, figuriamoci se non sono d'accordo con te, io che di anni ne ho 29.Ma c'è un rischio che va evitato: se non cambiano i canali e le forme di selezione della classe dirigente, i 30-35enni di oggi tra 20anni replicheranno gli stessi modelli dei "saggi" di oggi. Forse con qualche elemento inerziale in più:saranno quelli che hanno viaggiato un pò di più, con qualche dimistichezza in più con le tecnologie e poco altro. Un pò poco per una vera rivoluzione.