Autorità e autorevolezza
Si fa un gran parlare della classe insegnante stanca, sfiduciata, quasi smarrita di fronte ai cambiamenti dei comportamenti dei ragazzini. Proprio oggi ho pronunciato la frase che mai avrei voluto sentire uscire dalla mia bocca, un po' perché è brutta un po' perché significa che invecchio: “Ero alla lavagna, spiegavo e a un certo punto Alexis con la mano mi ha fatto cenno di spostarmi perché disturbavo la visuale e, se proprio ci tenevo a che copiasse sul quaderno il riassunto del mito della lupa capitolina, dovevo farmi più in là… Io, mai, dico mai mi sarei rivolta così a un mio insegnante. E non ho 40 anni più di Alexis, ma solo 14, sono uscita dal liceo nel 94!” Questa affermazione, infelice più per me che per i miei interlocutori, ha provocato una serie di lamentele dei colleghi: io, se a 15 anni tornavo a casa con una nota sul diario mi prendevo una scarica di botte da mio padre; se solo mi fossi rivolta a un mio insegnante come oggi la Seconda H si rivolge a me sarei stata sospesa a vita; mai sarei entrata in classe con le cuffie del lettore MP3 nelle orecchie, mai avrei sbuffato come fa Leila quando le dico di togliersele (faccio notare che 15 anni fa tutti 'sti aggeggi tecnologici non esistevano)… e via dicendo con il classico declino dell'adulto che non si riconosce più in quel che fa. Insomma, una pena totale.
Poi entra gridando la collega di ginnastica a cui la “vostra” Seconda E avrebbe rubato il libretto della macchina (in momenti difficili le classi non sono più di tutti noi, ma dei colleghi ancora non vittime dalle azioni criminose delle pesti). La dinamica del reato è fumosa, surreale e poco interessante. L'unica cosa certa è che se la Seconda E non renderà il libretto entro martedì, prima della lezione di ginnastica, la prof si metterà in sciopero e il preside le toglierà la giornata di stipendio. E il declino continua.
Guardo i miei colleghi: nessuno supera i 45 anni. Per come è organizzata la scuola francese, questa gente è entrata a scuola a 5 anni e non ne è più uscita. Senza nemmeno tentare un'altra via, a 23 anni si è laureata e a 25-26 anni era già davanti a dei ragazzini. Nessuno mette in discussione la passione e l'interesse, però non è facile capire cosa è il mondo di fuori se si è semplicemente passati da un banco a una cattedra. Aggiungo anche che l'università francese è molto più vicina al liceo italiano che all'università italiana, con tutti i pregi e i difetti che ne conseguono. Non dimentichiamo poi che la maggior parte degli insegnanti viene da contesti sociali non difficili e, ancor più importante, è sempre stata brava a scuola. Potremmo arrivare al paradosso: meglio i trecento lavoretti che ho fatto, al nero, in Italia per pagarmi l'università; me la sono sudata e, grazie all'impegno, ogni anno ho avuto diritto a una borsa di studio. Prima di vincere il concorso, ho fatto un altro bellissimo mestiere, so cosa significa avere un capo che sbuffa quando ti ammali e non ti dà le ferie in corrispondenza con le ferie del fidanzato. Fra i miei colleghi, nessuno ha fatto un altro mestiere prima, tranne alcuni che hanno animato le colonie delle vacanze comunali. Molti sono proprio motivati e felici, e i risultati si vedono!, altri invece sconsolati ammettono che sono lì soprattutto perché non sanno fare altro. Come se insegnare in certi contesti non fosse già una gran cosa…
Avere insegnanti giovani e che passano di ruolo rapidamente è sano, soprattutto per i ragazzi. I venticinquenni di solito portano un'ondata di freschezza nelle sale insegnanti, ma, come ogni cosa, non è buona per forza, per definizione. Ci sono anche tanti giovani che si sentono inadeguati dal primo giorno, forse perché loro erano molto bravi a scuola e si ritrovano davanti a ragazzi che vorrebbero essere altrove, oppure perché fanno questo mestiere perché ritengono sia la via più facile per avere uno stipendio. Leggo che in Italia c'è la classe insegnante più vecchia d'Europa. Non è bello, ma non credo sia questo il problema più grave. C'è un evidente e innegabile problema generazionale, ma sarebbe poco saggio non andare oltre: il problema è il modo in cui si accede a questo lavoro, soprattutto in Italia. Gente entusiasta come me, per esempio, non può fare la SISS perché sono 2 anni con obbligo di frequenza e senza la certezza di avere un posto di lavoro. E a me chi me lo paga l'affitto? Dopo la laurea non c'è più la voglia di fare la vendemmia, la cameriera, la baby sitter. Tutte cose che ho fatto volentieri, ma dopo i 25 anni e una laurea sono fuori luogo.
I cinquantenni precari sono un problema sicuramente per loro stessi perché accettare di essere precari a vita non è positivo, ma anche e soprattutto per i ragazzi che si trovano davanti adulti smarriti e sfiduciati, mentre hanno un reale bisogno di adulti che sappiano rassicurarli con la loro posizione, con il loro guardare serenamente al futuro. La lingua italiana ha una parola che il francese, per esempio, non ha: l'autorevolezza. Quando pronuncio questa parola i francesi credono parli di autorità. Niente di più sbagliato e di più lontano dal concetto di autorevolezza. Sarebbe meraviglioso che l'Italia rispecchiasse un po' di più il suo bello e ricchissimo vocabolario: la lingua è una delle basi della cultura, dell'identità di una nazione. Perché non aiutare, anzi no, perché non lasciare a chi ha talento, passione accecante per qualcosa la possibilità di esprimersi e realizzarsi? Potremmo cominciare da chi vuole insegnare ai giovani a crescere, lottare per ottenere ciò che desiderano. Con la chiusura delle SSIS che altro non sono che luoghi in cui si attende, perché si impara a insegnare solo insegnando. Con un concorso severo di conoscenze, nozioni, tutorati veri con chi è più esperto (e ci rendiamo conto che l'età più avanzata e l'esperienza sono preziosissime), controlli frequenti nelle classi, ispezioni. Pretendere autorevolezza ed essere autorevoli.