Ad aprile inizia l’estinzione della Quercia
di Mauro Zani
Naturalmente sapevo che sarebbe stata dura impegnarsi in una contesa congressuale il
cui esito è, come sempre, già scritto. Si vota per il segretario in carica. Sempre. E’ così
dalla notte dei tempi. Anch’io ne ho usufruito e so di cosa parlo. Ma lo “stile” di oggi è
alquanto diverso. C’è qualcosa di eccessivo, di debordante nel modo in cui si concepisce,
adesso, la lotta politica tra noi. In seguito non sarà inutile una riflessione. Dopo il
congresso. Ciò non toglie che l’impegno strenuo profuso da Piero Fassino per risollevare
le sorti dei DS dopo la batosta del 2001 si traduce in una fiducia, in larga parte spontanea,
verso un gruppo dirigente nazionale schierato a difesa di un’operazione politica che ne
garantisce comunque la continuità nel breve periodo. Ma, come si sa, nei tempi lunghi
saremo tutti morti. E gli uomini e le donne che hanno pieno accesso ai media televisivi lo
sanno bene. Se non sei in TV i tuoi eventuali argomenti non contano. Così va il mondo e
non lo scopriamo ora. Viviamo in un eterno presente. Le cose che dirai domani
cancellano inevitabilmente quelle che hai detto ieri. La coerenza non è di casa in
televisione, non sta nei palinsesti, e la politica spesso si adegua.
Il congresso dei DS si è già svolto ad Orvieto. L’ha detto la televisione. Dunque è vero.
Come l’influenza aviaria. Che non è mai arrivata, ma che ci hanno fatto credere fosse alle
porte mettendo così a rischio un settore importante dell’economia nazionale. Arduo
discutere in questo modo. Nessuno è davvero libero di farlo. Il pregiudizio consolidato in
tutto il periodo pre-congressuale da una campagna mediatica schierata senza precedenti
lo impedisce. Eppure ho trovato, anche a Bologna e in Emilia-Romagna, un gruppo di
donne e uomini dei DS, persone normali, che sono ancora animate dalla voglia di
partecipare, semplicemente motivate ad esercitare un diritto di critica nei confronti di un
evento che si vuole far apparire come ineluttabile, fin nei suoi minimi dettagli. Sappiamo, io
e loro, che saremo sconfitti in quei seggi elettorali che ci si ostina a chiamare congressi.
E,
in questi giorni, la ragione ci è ancor più nota: presto, bisogna far presto il partito
democratico, ci vuole “un’accelerazione spettacolare” perché la patria è in pericolo. Il
governo è messo a rischio dall’irresponsabilità di “certa sinistra”. Il trotzkismo alacremente
coltivato, alla stregua dei campi di papaveri afgani, nel roseto di Turigliatto pianta le sue
spine velenose nel fianco dell’Unione. E se ieri era bene non tagliare le ali, “perché senza
ali non si vola”, oggi si picchia sulla testa di una sinistra “radicale” che più mite e
responsabile non si era mai vista. C’è poco da fare, tutto fa brodo nel pericoloso intreccio
che la maggioranza dei DS, insieme alla Margherita, ha voluto instaurare tra le sorti del
governo e quelle del “partito democratico”.
Ma ciò che più di tutto sconcerta e amareggia è il modo disinvoltamente rassicurante col
quale la maggioranza argomenta le proprie posizioni.
Nei congressi in corso si ripete, ineffabilmente, secondo l’ordine di servizio che è stato
diramato, che non accadrà niente di irreparabile. Con Fassino l’organizzazione ha
ricominciato a funzionare come e meglio del tempo che fu. Niente è lasciato al caso. Tutti
parlano con una sola voce. Un’efficienza ammirevole: i DS non si sciolgono e il nuovo
partito aderirà, senza tema di smentita, al PSE. Si utilizza, in questo modo, il capitale di
fiducia ancora in dotazione al gruppo dirigente per far credere che la sinistra riformista
continuerà a vivere, come sempre, senza soluzione di continuità nel nuovo partito.
E’ un metodo come un altro per ottenere consenso, mi sussurrano sottovoce con garanzia
di anonimato, esponenti della maggioranza. Dire tutta la verità può essere traumatico. Non
è responsabile. E così quando mi capita di spiegare che nel manifesto dei saggi - la quarta
mozione del congresso e vero e unico atto fondativo del PD come forza liberaldemocratica
- la parola sinistra non compare mai, neppure declinata al passato, neppure
per rendere un estremo e compassionevole omaggio al caro estinto, la gente mi guarda
perplessa. Sarà vero? Non si vuol credere neppure a ciò che è scritto nella mozione
Fassino a proposito del rapporto con il PSE. E francamente lo capisco. Tutti i santi giorni
gli esponenti della maggioranza giurano che si starà nel PSE, perché metterlo in dubbio?
E intanto nei congressi si vota una mozione che afferma qualcosa di molto diverso. E’
questo modo di ottenere il consenso che non mi piace. Non capisco perché non si
sostengano apertamente le proprie rispettabilissime opinioni e proposte. Del resto
nessuno tra noi ha certezze granitiche. Tutti (o quasi) credo, ci rimettiamo in cammino alla
ricerca di una nuova sintesi, di pensiero e di cultura politica. Anzi nutriamo una gran voglia
di farlo mentre aumenta la nostra curiosità, mista all’inquietudine ma anche alla speranza,
sulle potenzialità di questo mondo globalizzato. Solo che qualcuno, come noi della terza
mozione, lo vuole fare da dentro il vasto e plurale campo del socialismo europeo, laddove
c’è una massa critica di elaborazione e di esperienze diverse che ci può aiutare in una
nuova ricerca. La maggioranza, invece, si dispone, con qualche mal di pancia, a
sacrificare l’attuale appartenenza socialista all’imperativo domestico della fusione con la
Margherita ai fini di chiarire chi comanda nell’Unione e con l’illusione di tornare a vincere
con un partito unico e una legge elettorale fatta a sua misura.
E così, come primo atto costitutivo del PD, dall’uscio spalancato ad Oporto a noi DS resta
solo l’opzione di uscire. Sono disposto a scommettere che, in futuro, rientrare tutti insieme
non sarà cosa né facile, né breve. Intanto noi, “democratici” del 2009, avremo qualche
seria difficoltà a spiegare agli elettori per quale strano ghiribizzo della politica politicante
vorremo accomodarci nei banchi socialisti del parlamento europeo mentre è già pronto ad
accoglierci un partito democratico europeo, il quale nel suo atto fondativo chiarisce - al
pari della mozione Fassino - che intende stabilire un rapporto privilegiato col PSE, salvo
aggiungere, alquanto contraddittoriamente, di voler assumere il ruolo di ago della bilancia
tra popolari e socialisti.
In quest’ambito mi piacerebbe, se vi fosse lo spazio, discutere su come si possa far
avanzare anche in Europa quel bipolarismo di cui ha recentemente e (a onor del vero)
lucidamente parlato D’Alema. Il tempo comunque dirà se stiamo andando, anche a questo
proposito, nella direzione giusta. Intanto da aprile i DS, accompagnati dalle rassicuranti e
amorevoli cure del suo gruppo dirigente, cominceranno ad estinguersi. Dolcemente. Poi
ciascuno, se vorrà, potrà iscriversi a quella confederazione di correnti altamente
personalizzate che già si profila nell’unione di fatto tra DS e Margherita.
Davvero non è possibile immaginare un percorso alternativo? Continuo a pensare di sì.
C’è un possibile piano B per un vero e grande e plurale partito democratico. Quello dei
“cani e dei porci”. Vabbé, anch’io come Mussi mi auguro che ci siano pochi porci. Ma
tant’è. Dato che da gran tempo mi sono stufato del politicamente corretto mi espongo
inevitabilmente alle battute. E questa è buona. Comunque questo partito, che ancora non
c’è, cerchiamo di descriverlo nella terza mozione. Non avendo niente da perdere confesso
che potevamo descriverlo persino meglio. Ma questa, come direbbe Lucarelli, è un’altra
storia. In ogni caso il tempo si consuma rapidamente. A Bertinoro sembra sui binari un
altro treno dopo quello di Orvieto. Chissà perché partono tutti da città del vino? Bianco di
Orvieto o Albana di Bertinoro? Per ragioni di campanile dovrei optare per quest’ultima, ma
obiettivamente non è facile. Forse è meglio un buon vecchio Chianti. E scusate se è rosso.
E’ un sogno. Ovvio. Ma si potrebbe pensare ad una grande politica che avesse il coraggio
di riunirsi a Firenze per riflettere sulle possibili alternative, per dar vita a un nuovo grande
partito in grado di coltivare l’ambizione di presentarsi, un giorno, alle elezioni e di vincerle.
Sarebbe un partito capace, nel tempo, di riunire le forze della sinistra, tutte (o quasi), con
quelle liberali e democratiche dando luogo ad una nuova identità socialista per
confrontarsi con le sfide inedite del XXI secolo. E’ un modo diverso e contrario rispetto a
quello che punta a costruire una forza moderata di centro che guarda, distrattamente, a
sinistra.
Ed è anche un modo diverso e contrario di liberare finalmente i DS dalla maledizione di
Tutankamen del postcomunismo.
Bersani ha detto, in più occasioni, che la sinistra esiste in natura e che dunque se la si
nega da una parte rispunta da un’altra parte. Bella e rassicurante espressione! Ma la
sinistra esiste, ovviamente, nella cultura e nella storia politica e sociale. Non può vivere
solo nei nostri cuori come un brivido naturale, un moto dello spirito, un lieve, inquietante
riflesso di un’antica memoria da custodire in segreto, in una sorta di intimistica doppiezza.
Ricordo cosa dicevano alcuni militanti all’epoca della grande svolta, dopo l’89: fate pure,
noi rimarremo comunisti dentro. Beh, a me non basta la transustanziazione della sinistra.
Non mi rassegno. A costo di aggirarmi notte tempo a scrivere sui muri che: la sinistra c’è.
Sempre meglio che sottoscrivere quel manifesto dei saggi le cui parole paiono scritte
(peraltro bene) alla luce incerta e tremolante d’una candela, in attesa di scorgere i primi e
pallidi albori del socialismo.
il problema è ancora più grave, perché il PD non sarà una forza socialista, ma nemmeno liberaldemocratica - fosse vero! - ma semplicemente clericale-confessionale su tutti i temi dirimenti.