Il degrado e la demagogia
di Oreste Pivetta
L’esangue Letizia Moratti, da un anno ormai sindaco di Milano, sballottata di qui e di là dalla sua cospicua maggioranza di centrodestra che non l’ama, chiede ai suoi concittadini di scendere in piazza tramite una letterina infiocchettata di qualunquismo, ma irrobustita dal chiaro messaggio politico: contro il governo.
Perché si sa che è tutta colpa del governo e sarà responsabilità del governo se le cose non torneranno a posto. E propone il suo tetro elenco: «...aggressioni, rapine nei negozi e nelle botteghe, violenze personali e degrado ambientale».
Anche il degrado ambientale, che ci sta tutto, drammaticamente, al quale anzi attribuiremmo il primo posto nella classifica dei disastri milanesi, degrado ambientale che è facile documentare, basterebbe qualche passo in una direzione o nell’altra della città e aprire gli occhi, basterebbe, senza la fatica di muoversi, affidarsi al senso estetico dell’assessore alla cultura Sgarbi (sempre irrequieto), degrado ambientale del quale non si capisce quante colpe possa avere un governo nazionale (per interderci: il governo di oggi e quello di ieri), mentre si capisce bene che sta molto nella responsabilità di una amministrazione comunale, da undici anni sempre la stessa, sempre sotto la bandiera di Forza Italia, prima con l’amministratore di condomini (questo era secondo lui il mestiere di un sindaco) Gabriele Albertini e adesso con l’amministratore delegato (solerte nei propri affari e rispetto agli affari delle nuove lobbies del mattone) Letizia Brichetto Arnaboldi Moratti.
Spedire in piazza i cittadini nel lontano 1999 fu una bravata di Albertini, che chiese poteri speciali per l’ordine pubblico. Si ritrovò tra i suoi, nell’indifferenza dei milanesi, e non ottenne poteri speciali: ottenne solo quelli per il traffico e non combinò un bel niente. La Moratti ci riprova. Singolare che ci riprovi quattro giorni prima dell’annunciato ritorno in consiglio comunale di Berlusconi: il consigliere anziano Silvio si presentò alla seduta d’apertura, poi si diede alla macchia, malgrado avesse promesso ai milanesi assidue cure. La Moratti gli rende un piacerone: intorbida l’acqua come lui gradisce, stende una passatoia davanti alla sua demagogia. Forse il sindaco pensa anche alle proprie medaglie presenti e future: presidente della Rai, ministro, sindaco, le hanno fatto credere che potrebbe pure candidarsi “erede”, quando il fondatore deciderà di ritirarsi.
È evidente che i cittadini milanesi hanno in mente altro, soprattutto il modo di vivere questa città: il degrado è con loro, attorno a loro, dentro di loro. Se si dice ambientale si dovrebbe dire anche culturale, morale, eccetera eccetera. L’altro giorno, testimone oculare, mi è capitato di assistere alla scena di un giovane investito sulle strisce pedonali da un’auto; a terra, senza danni, il giovane ha cercato moderatamente di protestare; l’investitore è sceso e l’ha preso a calci. Era un bravo italiano. Non era uno slavo ubriaco seduto tra i giardinetti davanti alla Stazione centrale, non era un nordafricano addetto allo spaccio in via Padova, non era un senegalese venditore di elefanti. Niente. neppure un rom, uno di quelli cui i confinanti cittadini di Opera aizzati da un responsabile consigliere leghista avevano incendiato le tende, peraltro allestite dalla protezione civile italiana.
Di fronte al degrado di vario titolo, la Moratti potrebbe tentare qualcosa (ad esempio chiamare alla partecipazione prima che alle marce), ma ha scelto un’altra strada: non fare nulla. Le capita dai primi giorni dopo la sua elezione, quando aveva tentato di imporre il ticket d’ingresso agli automobilisti della provincia ed era stata investita dai frizzi e dai lazzi dei suoi sostenitori in consiglio comunale.
Per prender fiato all’ombra del fallimento, per rispondere al calo di popolarità (con tanto di fischi in recenti apparizioni pubbliche), la Moratti usa il disagio (autentico) dei suoi concittadini, mescolando degrado e criminalità, e strilla contro il governo (con il quale aveva trattato fino a poco tempo e che comunque l’aveva sostenuta: anche con i soldi della finanziaria a proposito di candidatura per l’esposizione universale e con soldi che il centrodestra aveva negato). Ricorre alla piazza (come mai è capitato ai sindaci del centrosinistra) per chiedere agenti al governo che le aveva già assicurato l’apertura di due commissariati. Invece di proporre, trattare, discutere e magari progettare, usare gli strumenti che ha (mentre il suo bilancio di previsione si presenta con i tagli in tema di sicurezza) alza, come può, la voce.
Di certo è una novità: solo due mesi in una alata intervista al Corriere della Sera s’era mostrata più cauta e fiduciosa: «Milano è come le altre grandi città, ma sento la responsabilità di migliorarla».
Che cosa è successo tra questi due mesi? Nella letterina ha comunicato d’aver ricevuto molte segnalazioni dai milanesi testimoni del “degrado”.
Ma, come racconta lei stessa, non ne avrebbe avuto bisogno: «Ho viaggiato in metropolitana, ho mangiato in una mensa scolastica, ho incontrato le guardie carcerarie... Soprattutto ho visto i posti critici della città... Ovviamente mi muovo in incognito. Non annuncio il mio arrivo e anzi mi camuffo in modo da non essere riconoscibile. Scelgo i posti più degradati, per capire come possano essere migliorati».
Avrà capito, dopo tanti travisamenti notturni, ma la responsabilità preferisce lasciarla agli altri.
da gente che si divide fra vicenza e manifestazioni pro diritto del papuasico orientale a farsi i cannoni possibilmente fuori dagli occhi di bertinotti e dentro il range di convenienza offerto da mastella e di pietro, che cosa ci aspettiamo? l'esegesi del diario di vacanze di philip dick quando proprio parliamo di genii e di buon umore anche...
Carolina