A dispetto del cognome “illustre” e della nazionalità,
Saverio Costanzo dimostra di essere regista impegnato e mai banale anche con questa sua opera seconda: un’opera che non avrà la completezza tematica e narrativa di
Private (eccellente esordio), ma non deluderà i gusti di chi ricerca un cinema “filosofico”, fatto di interrogativi, analisi e critiche, prim’ancora che di facili risposte.
In memoria di me cala lo spettatore in un universo – quello del seminario cattolico – fuori dal mondo e alla continua ricerca di se stesso: un universo di silenzio e precetti, preghiere e lavoro, che allontanano dalla ricerca della vera religiosità e spiritualità, svuotando i gesti rituali di ogni senso. “Il silenzio in questa Chiesa è vuoto”, afferma cogliendo nel segno il protagonista (
Christo Jivkov), giovane giunto al noviziato da una vita che non lo soddisfa: entra nel seminario, ma è ben presto il seminario ad entrare in lui e ad abituarlo a imposizioni e comportamenti che mutano la fede in simulazione. Il contatto con i noviziati più dubbiosi e lo scontro con la mentalità del sotterfugio e del tradimento delle mancanze altrui lo porteranno a meditare l’abbandono dell’Ordine.
Insomma, un film con i ritmi e i silenzi del seminario, fatto di inquadrature, musiche e scene ripetitive (seppur di pregevole fattura) come le liturgie quotidiane, denso di sguardi silenziosi e indagatori, spaventati e diffidenti. Un mondo isolato, quindi, che porta ad inevitabile solitudine, omologazione e morte interiore (emblematica la splendida scena delle ombre che camminano in controluce), nonché alla perdita di se stessi, proprio laddove si dovrebbe cercare il proprio io più profondo.
“Non stiamo cambiando il mondo, lo stiamo solo replicando”, afferma uno dei novizi. Ma è proprio in questo suo “elogio” descrittivo della ripetitività che il film rischia di deludere, mancando di trama e rischiando continuamente di annoiare lo spettatore meno sensibile alla tematica. D’altra parte non si può certo togliere nulla al sapiente uso della macchina da presa che compie la grande regia di Costanzo: sequenze poetiche e quasi oniriche, primi piani e carrellate verso i volti estremamente espressivi e laconici di attori per gran parte di provenienza teatrale e con importanti carriere alle spalle (e si vede).
Sono d’altronde le due facce di questo film, che da un parte cita Dostoevskij (nella famigerata e casta scena del bacio) e accusa con la forza muta dello sguardo, ma dall’altra gira pure su se stesso e non coglie davvero nel segno. Troppe domande e poche risposte, è vero: ma ce ne fossero di giovani registi così seri dalle nostre parti.
Genere:
L’ora di religione, con bestemmia sopita nel silenzio
Consigliato: per riflettere su chi governa nell’ombra la nostra italietta
Sconsigliato: a chi si annoia presto e a chi cerca arringhe da film militante
In collaborazione con Binario Loco