Via dall’Iraq, il Senato Usa contro Bush
Passa la legge che lega i fondi per la missione al ritiro entro marzo 2008. Il presidente pronto al veto
di Umberto De Giovannangeli
IL SENATO degli Stati Uniti contro George W.Bush. Non è un impeachment, ma è la sconfessione della guerra preventiva scatenata, con conseguenze disastrose, in Iraq. Dopo l’importantissimo voto di martedì sera (bocciato con 50 voti contro 48 un
emendamento repubblicano che chiedeva di stralciare la richiesta di un calendario sul ritiro della legge) e in un clima di scontro aperto con la Casa Bianca, i democratici del Senato appoggiati da due repubblicani ribelli, hanno approvato ieri una legge che stabilisce al 31 marzo 2008 la scadenza del permanere delle truppe Usa in Iraq. I senatori hanno approvato la misura per 51 voti a 47, sfidando la minaccia del presidente George W.Bush di porre il veto a qualsiasi legge che stabilisca un calendario di ritiro delle truppe. La misura, annessa ad una legge che stanzia 122 miliardi di dollari per le guerre in Iraq e in Afghanistan, prevede che l’inizio del ritiro delle truppe scatti 120 giorni dopo l’approvazione della legge e fissa nel 31 marzo 2008 il limite massimo (ma la data non è vincolante) della presenza dei soldati americani in Iraq. Il voto è avvenuto mentre il presidente Bush era in riunione alla Casa Bianca con i deputati repubblicani, una iniziativa che ha pochi precedenti, per incoraggiarli a resistere nel braccio di ferro ormai scattato tra la maggioranza democratica del Congresso e la Casa Bianca sulla permanenza delle truppe in Iraq. Visibilmente irritato per lo «schiaffo» politico ricevuto dal Senato, Bush ha ribadito la sua intenzione di mettere il veto alle leggi che hanno un calendario di ritiro delle truppe ed è tornato ad accusare i sostenitori di tale misura di voler interferire con le decisioni dei comandanti militari sul campo. «Siamo compatti nell’affermare con forza che quando le nostre truppe sono impegnate in combattimento devono ricevere tutti i fondi necessari - dichiara il presidente durante una breve apparizione sotto il portico della Casa Bianca circondato dai deputati repubblicani - abbiamo i nostri comandanti militari impegnati sul campo in difficili decisioni e non devono avere le mani legate». «Le conseguenze di imporre una data precisa e arbitraria per il ritiro - aveva insistito l’altro ieri Bush - sarebbero disastrose. I nostri nemici si segnerebbero semplicemente il giorno del calendario, passerebbero mesi a preparare il modo migliore per sfruttare il loro nuovo santuario, quando ce ne saremo andati. Non ha senso per i politici a Washington dettare la strategia ai comandanti che operano a diecimila chilometri di distanza».
Alle accuse del presidente avevano immediatamente replicato i democratici. «Il presidente si calmi e la pianti con le minacce - ha sostenuto il presidente della Camera Nancy Pelosi - c’è un nuovo Congresso a Washington. Noi rispettiamo il ruolo istituzionale del presidente, il presidente rispetti il nostro». «Questa guerra - ha ribadito la leader dei senatori democratici - deve finire, gli americani hanno perso la fiducia nella capacità del presidente di portarla avanti». Il consiglio finale: «Il presidente - afferma Pelosi - faccia un respiro profondo e capisca che dobbiamo rispettare i nostri rispettivi ruoli. Gli tendiamo la mano in segno di amicizia». Alcuni giorni fa la Camera aveva a sua volta approvato una legge che stabiliva nel primo settembre 2008 la data del completamento del ritiro delle truppe Usa dall’Iraq. Si tratta adesso per il Congresso di armonizzare i due testi approvati dalla Camera e dal Senato, ma appare chiaro che il testo finale della legge, destinato a giungere sulla scrivania di Bush per la firma, conterrà ad ogni modo un riferimento al calendario di ritiro delle truppe facendo così scattare il veto presidenziale e bloccando fondi destinati alle truppe. Per vanificare il veto presidenziale, i democratici avrebbero bisogno dei consensi dei due terzi di Camera e Senato, numeri di cui per ora non dispongono. Ma ogni volta che si vota sulla guerra i voti critici sulla gestione Bush sembrano aumentare. Inesorabilmente.
Quella che secondo Berlusconi sarebbe "Il tempio della Democrazia" in realtà è la parodia di ogni forma democratica, dove il popolo elettore non conta assolutamente nulla a fronte dello strapotere concesso al presidente per gli anni del mandato.
Praticamente si tratta di una dittatura a termine, con la possibilità di porre il veto alle risoluzioni che provengono dai rappresentanti del popolo legittimamente eletti.
Era quello che voleva fare lo stesso Berlusconi con lo stravolgimento della nostra Costituzione, ma che fu decisamente eliminata da un referendum pronunciato dalla vera maggioranza del popolo italiano; quella maggioranza che oggi, purtroppo, nessuno più tenta di mobilitare per rifolmulare le condizioni democratiche della politica.
Adoro l'espressione "ex ubriacone piu' potente del mondo."