Saranno i sensi di colpa, sarà il tentativo (populista e ipocrita) di dar voce a chi ha tanto urlato ma non è mai stato ascoltato, eppure la cinematografica d’oltreoceano si sta avvicinando sempre più alle vicende che hanno insanguinato la Storia recente del continente africano, per raccontare di tirannie e oppressioni, guerre civili e sfruttamenti.
E così, dopo Kevin MacDonald che affronta la dittatura di Amin Dada dal punto di vista del giovane medico protagonista de
L’ultimo re di Scozia, spetta a
Bille August (
La casa degli spiriti,
Il senso di Smilla per la neve) riportare alla luce una storia tutta africana, come quella della lotta di Mandela contro l’apartheid. Anche qui il personaggio storico è in secondo piano, anche qui la politica si mescola al sentimento, la Storia alla vita del singolo: il punto di vista scelto dall’autore de
Il colore della libertà (
Goodbye Bafana è lo splendido titolo originale) è infatti quello dell’ufficiale carcerario che visiona la detenzione del leader nero, interpretato qui dal sempre ottimo
Dennis Haysbert (chi lo ricorda come il primo presidente afroamericano nella fiction
24 lo vedrà perfetto nei panni di Nelson Mandela).
Ma i paragoni tra i due film possono terminare qui: il risultato stavolta non è all’altezza, il film finisce per diventare un’indagine della sfera privata dell’ufficiale carcerario (interpretato da
Joseph Fiennes) e della sua famiglia, riducendosi alla stregua di un fumettone educativo e buonista.
Bille August sceglie infatti di riassumere in un paio d’ore i 27 anni di detenzione patiti da Mandela: non la sua lotta, non la sua ascesa alla presidenza, nemmeno poi molto le sue idee. In un paese dove i bianchi crescevano in una cultura così razzista che nemmeno loro stessi riuscivano a spiegare e a giustificare presso i loro figli, le idee di Mandela fanno breccia nell’animo del suo carceriere, specchio di un sistema che si manteneva tramite l’ignoranza, la violenza e la disinformazione. E anche lo spettatore non può non stupirsi e non rimanere conquistato dal carisma di un uomo più forte di ogni ingiustizia.
I buoni presupposti insomma ci sarebbero anche ma, al di là della tematica affrontata (o che il film vorrebbe affrontare), la pellicola non decolla e si intrattiene troppo a lungo e senza motivo sulle vicende private dell’ufficiale carcerario. La storia politica e umana di Mandela appare piuttosto un pretesto, un contorno: il film ne svilisce lo spessore, la banalizza, non aggiungendo nulla di nuovo a quanto è già noto ai più. Una vera occasione sprecata per parlare anche alle giovani generazioni. Superficiale e deludente.
Genere: fumetto storico-didattico
Consigliato: a chi ama la Storia romanzata
Sconsigliato: alla generazione che ha conosciuto davvero la storia di Mandela
In collaborazione con Binario Loco