Telecom e il conflitto che non interessa
di Elio Veltri
Il caso Telecom si presta come un manuale per capire quanto il capitalismo italiano sia ostico alle riforme, quanto le Autorità di controllo di fatto non hanno mai controllato perché senza strumenti necessari per farlo e troppo legate alla politica e quanto la politica abbia fallito perché legata a logiche familiste e feudali. Di tutto questo l’emblema sono state le privatizzazioni, avviate con le migliori intenzioni e abortite. Facciamo un passo indietro. La tesi n. 48 dell’Ulivo del 1996 recitava: «Uno Stato leggero persegue con determinazione e senza tentennamenti la privatizzazione delle imprese pubbliche italiane; ma uno Stato che non è indifferente deve evitare che dal monopolio legale si passi all’omologo monopolio legale privato o che si rafforzino le solite “mani private”; si deve dunque cogliere l’occasione della privatizzazione per allontanare i partiti dalla gestione dell’economia, per creare nuovi mercati, per far nascere nuovi imprenditori, per dare una robusta base di competitività alle industrie e alle banche italiane, per accrescere il mercato dei capitali privati. In sintesi la privatizzazione costituisce l’occasione propizia per allargare le ristrette basi del capitalismo italiano, per accrescerne la pluralità dei protagonisti». Il risultato è esattamente opposto. Telecom, la più grande azienda italiana, è stata privatizzata e comprata, prima da Colaninno e poi da Tronchetti Provera senza soldi e capitali di rischio propri, sponsorizzati entrambi dalla politica, con la moltiplicazione del sistema delle scatole cinesi e dei patti di sindacato, con evidente danno agli azionisti piccoli, passando da monopolio pubblico a monopolio privato. Guido Rossi, cacciato prima dal calcio e per la seconda volta da Telecom, in una intervista a Federico Rampini aveva detto: «Talleyrand disse che il legislatore fallisce se il suo intervento è uguale a un non intervento: purtroppo è quello che possiamo dire oggi della legge sulle privatizzazioni».
Tronchetti Provera ha comprato Telecom mettendoci di suo 153 milioni di euro ed ha esercitato il potere su un gruppo che valeva 55 miliardi di euro. E cioè, con un euro di suo ne ha mossi oltre 5000 di proprietà altrui. E quel che è più grave è stato lasciato indisturbato, trattato come un principe rinascimentale, dispensatore di giudizi imprenditoriali e di giudizi morali. Del suo enorme conflitto di interessi, il vero cancro della politica, dei partiti, delle istituzioni, della finanza, dell’economia e dell’industria del nostro Paese, nessuno si era accorto. Eppure Tronchetti con una piccola società in accomandita non quotata in borsa e controllata dalla famiglia diventa padrone e controllore di Pirelli, che a sua volta lo diventa di Olimpia, che a sua volta lo diventa di Telecom. La catena di comando è tutta nelle sue mani e ad ogni passaggio è controllore-controllato. Quindi decide tutto quello che vuole, riempie di debiti Telecom e Pirelli e vende comparti importanti di una delle ultime grandi industrie italiane, mette Telecom nelle mani delle banche che in queste ore stanno decidendo se comprarsela, venendo meno ai loro compiti istituzionali. Ma di tutto questo nessuno si accorge. Solo l’Unità nel mese di Settembre del 2004 aveva scritto: «sebbene Olimpia non abbia il controllo delle azioni con diritto di voto, esercita un potere significativo su Telecom derivante dalla maggioranza degli attuali membri del consiglio di amministrazione eletti nel maggio del 2004». Allora di Olimpia-Telecom si occupava la Sec americana mentre la Consob si riservava di valutare se il controllo di Olimpia su Telecom fosse legale o no. Eppure, a causa dell’imperversare dei conflitti di interessi, l’Italia, per competitività, è al 70esimo posto della graduatoria della Banca Mondiale. Purtroppo, non ci sono né autocritiche né ripensamenti. Né, il che è più grave, proposte per rimediare ad una situazione che rischia il peggio.
Questo avviene perché non esiste nemmeno consapevolezza di cosa siano i conflitti di interessi e quindi nessuno pensa alla necessità di intervenire con una legislazione rigorosa e di sistema che riguardi il problema. La controprova è data dalla proposta di legge del centro sinistra che limita l’intervento ai soli membri del governo e anche in maniera inefficace. Al punto che viene in mente l’affermazione di Montesquieu: «le leggi inutili indeboliscono quelle necessarie».
Manca la consapevolezza che i conflitti di interessi violano valori e principi costituzionali fondamentali come l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e, in economia, la concorrenza del mercato. Su questi problemi il silenzio è totale.
Solo due giorni fa a Spoleto, in un incontro organizzato dall’amministrazione comunale per la presentazione del libro «Il governo dei conflitti», un docente universitario molto noto che fa parte dello staff di Fini, poneva una giusta domanda: «Perché la gente se ne frega dei conflitti di interessi? La mia risposta è stata questa: “Non capisco perché i cittadini dovrebbero comportarsi diversamente, dal momento che tutta l’informazione televisiva, complice della politica, ignora il problema. Il centro sinistra l’ha adoperato come arma di polemica nelle campagne elettorali contro Berlusconi per cui i cittadini si sono convinti che si trattava di un espediente polemico e basta. Nel governo Prodi, al momento della fiducia, ben 24 tra ministri e sottosegretari erano in conflitto di interessi e dalle informazioni provenienti dall’antitrust risulta che nemmeno tutti hanno inviato la loro scheda per i controlli necessari. Dai 12 punti prioritari di Prodi il problema è scomparso. La proposta Franceschini fa esplicito riferimento positivo alla legge Frattini. Berlusconi negli ultimi tempi è stato corteggiato perché entri in una delle cordate Telecom. Tutto ciò non è sufficiente perché i cittadini seguano con disinteresse un argomento usato il più delle volte a mò di clava per ragioni politiche di parte?».
E' vero che adesso va di moda Tronchetti,
ma guardate, giornalisti miei carissimi censori dell'ultima ora, che tutte le societa' quotate in borsa in Italia funzionano allo stesso modo, dalle banche a Fiat, dal Gruppo Espresso alla Piaggio, dalla Benetton alla Luxottica e chi piu' ne ha piu' e metta.
Perche' i giornalisti sono sempre un branco di pecore?
Perche' hanno aspettato Grillo per fare queste analisi?
Perche' sono un branco di pecore!
E poi hanno anche il coraggio di scioperare!
Quoto l'articolo al 100%. Spero venga tradotto e pubbblicato sull'economist e sul Wall Street Journal!
È anche per i motivicitati dal medesimo articolo che dall'altra parte si introduce il DL per il controllo dell'informazione relativa agli atti giudiziari.
Sono sempre le stesse mani, gli stessi identici attori che in una maniera o l'altra manovrano e controllano il sistema economico e politico, in un intreccio che confonde senza tregua i ruoli di pupo e puparo.
Allora è quindi più che dannatamente giusto che il pubblico sappia, che sia informato, che si informi attivamente e - si spera - che altrettanto attivamente si opponga ad questo perverso e drammaticamente radicato "(mal)affarismo".
Faccio inoltre notare che a Wall Street, che non è certo un tempio di virtù ne di morale, quasi mai si assiste agli spettacoli proposti in Italia (es. Antonveneta, Ricucci, Fazio...) in occasione di operazioni finanziarie. Da quelle parti al limite si assiste al solito endemico caso di insider trading che prima o poi viene alla luce e regolarmente punito. Ricordate Martha Stewart? Roba da asilo infantile in confronto a tutto ciò che è stato inscenato solo nel corso degli ultimi 24 mesi alle nostre latitudini...
E poi ci si domanda perchè taluni si ostinino a descrivere l'Italia come una "repubblica delle banane"....
Sergio
In Italia fai i soldi solo se li hai già e fino a che non verrà riformato il sistema bancario, sarà così.
Se chiedo un prestito per aprire una nuova attività in Italia, mi chiedono garanzie a copertura del prestito: e allora è inutile...
In USA, o comunque nel sistema anglosassone, me li danno e se non li restituisco mi mettono al gabbio.
Siccome è così che funziona in Italia, il succo del nostro capitalismo si riduce a trovare accordi e cordate che consentano di dare garanzie bancarie agli istituti di credito per farsi approvare un progetto di finanziamento.
Questo è.
Non a caso ora a Berlusconi è stato proposto di entrare nella cordata per Telecom...
Buongiorno giornalisti, ben svegliati. Come va? tutto bene? Passato il torpore? Avete ancora gli occhi a pamprinedda? Vuliti nu cafè?
"Il caso Telecom si presta come un manuale per capire quanto il capitalismo italiano sia ostico alle riforme, quanto le Autorità di controllo di fatto non hanno mai controllato perché senza strumenti necessari per farlo e troppo legate alla politica e quanto la politica abbia fallito perché legata a logiche familiste e feudali."
Perchè non è stato scritto almeno 3-4 anni fa questo?
nino, questo doveva essere scritto e applicato dalla legge 40 anni fa!
Credo che il motivo di tale ritardo dell'Italia sia fondamentalmente culturale. Nel senso che gli Italiani non capiscono un cazzo.
Concordo con i giudizi sui giornalisti, ma invito a fare una riflessione:
I giornalisti sono in sciopero da due anni perchè gli editori vogliono ABOLIRE il contratto nazionale. Vogliono, in pratica, solo giornalisti "free lance" con contratti a progetto vista la natura del loro lavoro.
La repubblica è in scopero da una settimana.
Tutti i giornali fanno ormai scioperi quasi ogni sei mesi.
I giornalisti hanno le loro colpe.. ma la mancanza di professionalità del giornalismo è qualcosa che è stata attentamente coltivata essenzialmente dagli editori...
I giornalisti si sono svegliati? O forse i padroni gli hano lasciato un po' più libere le briglie?
per quanto mi riguarda, tutti i giornalisti possono diventare free lance.
Si e' mai visto uno scipero degli stenografi quando e' stato introdotto il personal computer?
http://www.beppegrillo.it/2007/04/intervento_di_g.html
Intervento di Grillo all'Assemblea Telecom
Grande.