Il presidente dei democratici Usa: avremo un partner internazionale più autorevole
«La sfida dell’unità è un valore. Insieme dobbiamo affrontare grandi problemi globali»
di Umberto De Giovannangeli / Firenze
NON HA UNA TESSERA socialista in tasca. Viene da oltre oceano. Parla di valori, di un potere che «è del popolo e che noi politici abbiamo solo in prestito». Dice che la guerra preventiva di George W.Bush è stata disastrosa e che la volontà del 71% degli americani è di «andarcene dall'Iraq, e noi questa volontà vogliamo rispettarla». La platea del Mandela Forum ha tributato una vera ovazione ad Howard Dean, presidente dei Democratici Usa. Uomo di sinistra, ma una sinistra che guarda al futuro. E, in Italia, guarda alla costituzione del Partito Democratico: «Ciò che sta avvenendo qui a Firenze e a Roma - dice - segna un momento storico, non solo per i due partiti coinvolti, ma per l'Italia. Ciò che si sta facendo è mobilitare le energie migliori del popolo, ricostruendo un più forte senso di partecipazione alla vita politica». Questo è Howard Dean, 59 anni, governatore del Vermont dal 1991 al 2003, dal febbraio 2005 presidente dei Democratici Usa. E' la prima volta che un leader dei Democratici americani del suo livello (Dean ha conteso a John Kerry la designazione per la candidatura alla Casa Bianca) parla a un congresso della Quercia.
La platea dei delegati e dei militanti dei Ds le hanno tributato un'ovazione al termine del suo intervento. Cosa ha provato?
«È stato per me un grande onore. Mi sono sentito parte di un grande progetto condiviso: quello di donne e uomini che in Italia come nel mio Paese scelgono di unirsi ad altre donne e uomini sulla base di valori, ideali, battaglie di civiltà. L'unità come valore, come sfida. Per noi Democratici americani la nascita del Pd significa avere un partner più forte in Italia. Con il Pd ci sarà un governo progressista più stabile».
Lei parla di valori che uniscono, ma la storia della sinistra in Italia è stata segnata da divisioni e rotture.
«Dividersi non è mai una soluzione del problema, semmai lo aggrava. Ma sono ottimista, perché ritengo che i valori che motivano la scelta del Pd sono molto più forti e duraturi di ciò che in passato vi ha divisi. Mi lasci aggiungere: i partiti progressisti sono quelli che uniscono, sono i partiti del «Noi», mentre i partiti della destra sono i partiti dell'«Io». Ciò che ci unisce è la determinazione a batterci, superando le vecchie appartenenze ideologiche, per una società più equilibrata, più giusta; una società che ampli i diritti di cittadinanza…».
Al Congresso dei Ds lei ha molto insistito su una idea partecipativa della democrazia.
«Sì, è un punto davvero cruciale. Parlo a ragion veduta: noi Democratici abbiamo deciso di unirci per battere l'estrema destra repubblicana. Ci siamo uniti, abbiamo lavorato duro e nel 2006 abbiamo vinto: oggi siamo maggioranza al Congresso e al Senato. Abbiamo vinto perché abbiamo capito che il potere viene dal basso, che è dato al popolo, noi politici lo abbiamo solo in prestito. Abbiamo vinto perché abbiamo imparato dalle nostre sconfitte…».
E qual è la lezione più salutare?
«Se vogliamo vincere, prima di parlare dobbiamo saper ascoltare. Sì, ascoltare. Ascoltare il punto di vista di ciascun cittadino, di ciascun elettore. Dall'ascolto si imparano tante cose e si trae maggiore forza, ascoltare significa saper coinvolgere…».
Nella vulgata politica italiana si pensa ai Democratici Usa come un partito "leggero"…
«Abbiamo perso quando ci siamo ridotti a pensarci come un "Comitato elettorale" che entra in azione solo per le elezioni presidenziali. Il Partito Democratico che ha vinto nel 2006 ha cercato, e in parte ci è riuscito, a radicarsi sul territorio, in ognuno dei 58 Stati federale. Ha saputo utilizzare Internet per allargare i canali di partecipazione. Altro che partito "leggero"…».
Un partito che cerca di unire valori e concretezza. Cosa significa sul piano internazionale?
«Significa non accettare di considerare la globalizzazione come ineluttabile corsa al ribasso, ma far sì che rappresenti una straordinaria opportunità di emancipazione per i diseredati della Terra, che non popolano solo i Paesi del cosiddetto Terzo e Quarto mondo, ma che oggi sono anche i nostri vicini della porta accanto, sono i nuovi homeless delle nostre società opulente quanto socialmente ingiuste. Questo significa essere Democratici oggi, negli Stati Uniti come in Italia: non mi pare poca cosa…».
Parlare di valori ci porta anche a parlare di pace. E dell'Iraq. Qual è la posizione del suo partito?
«È chiara e condivisa dal 71% degli americani, ed anche da diversi e rispettati ex generali, pluridecorati ed eroi di guerra: i Democratici hanno un piano per uscire dall'Iraq, continueranno a battersi perché la posizione Usa cambi. Anche per questo abbiamo vinto nelle elezioni di midterm, e ora dobbiamo realizzare la volontà degli elettori. È davvero l'ora di cambiare rotta in Iraq. Ed è ciò che ha più volte sostenuto la nostra speaker al Congresso, Nancy Pelosi…».
Una italo-americana…
«Una donna di grandi capacità, di cui noi Democratici siamo orgogliosi. Le democrazie saranno tanto più avanzate e stabili quanto più donne e uomini ne condivideranno la leadership politica ed economica…».
A proposito di donne: oggi i francesi voteranno il nuovo Presidente...
«L'elezione di Nancy Pelosi al Congresso è stata un passo avanti. Un passo in avanti per le forze democratiche sarebbe l'elezione in Francia di Segolene Royal».
Sul piano internazionale cos’altro vi unisce al nascente Pd italiano?
«Una nuova visione multilaterale delle relazioni internazionali. Per noi Democratici Usa significa l’impegno a cambiare i rapporti dell'America con il resto del mondo; batterci per il rispetto dei diritti umani e civili. L'America deve impostare un diverso rapporto con il mondo musulmano. Un cambiamento che non sarà né facile né a breve, ma non possiamo fallire nella costruzione di un ponte per i musulmani che cercano di costruire forme democratiche. È un altro terreno di convergenza con i Democratici italiani».
Condivide la battaglia ambientalista di Al Gore?
«In tutto. Una forza politica non può dirsi davvero progressista se non ha tra le priorità assolute la difesa-e la valorizzazione dell'ambiente e la diversificazione delle fonti energetiche. Un buon cittadino del mondo deve in primo luogo rispettare l'ambiente».