La sinistra e il vizio della divisione
di Nicola Tranfaglia
La storia recente della sinistra nel nostro Paese è stata percorsa di continuo da contrasti e scissioni. Troppi e troppe, non c’è dubbio. E da una continuità impressionante nei gruppi dirigenti. Senza mai osservare regole elementari come quelle di sostituire i leader che hanno commesso errori gravi alla guida dei loro partiti, come ha dimostrato l’uno e l’altro congresso, ma anzitutto quello che si è svolto a Firenze dei Democratici di sinistra.
Quando Fabio Mussi, che ha parlato con grande franchezza ai suoi compagni di partito, ha detto che l’ultima svolta è figlia di un fallimento non sarebbe onesto contestarlo e dargli torto. Molti, la grande maggioranza degli editorialisti, hanno scritto in questi giorni che la nascita del Partito democratico ha introdotto una semplificazione del sistema politico ed elettorale e si può essere d’accordo. Ma bisogna aggiungere che, accanto a quel risultato, i contenuti sono cambiati e hanno messo da parte in maniera maggioritaria (molto maggioritaria) le ragioni della sinistra, di quella nuova come di quella maggioritaria.
I grandi temi della sinistra e del socialismo moderno che vanno dal lavoro, all’istruzione e ai saperi, all’ambiente, alla questione morale, alla riforma della politica, alla laicità dello Stato emergono impalliditi ed esangui nel congresso di Firenze. Come in quello della Margherita a Roma. Ci sono stati discorsi più freddi e altri più caldi ma i contenuti non sono diversi l’uno dall’altro.
Walter Veltroni a Firenze ha detto una cosa molto ragionevole come quella che mette insieme riformismo e radicalità e che non c’è l’uno senza l’altra, ma non ha fatto esempi chiari di questa connessione e soprattutto nessuno al congresso lo ha seguito su questa strada. Così il segretario dei Democratici di sinistra, nelle sue appassionate conclusioni, ha ricordato che essere democratici significa restare di sinistra.
Ma, nel suo lungo discorso introduttivo, Fassino che pure ha avuto parte centrale nella nascita del nuovo partito, non ha riempito di contenuti concreti una simile affermazione, eccetto il riferimento generico all’adesione di un Partito socialista europeo che ha assunto peraltro da anni posizioni indubbiamente moderate sia al parlamento europeo che in tutte le altre assise in cui è presente.
Si discute, insomma, di nomi e di schieramenti piuttosto che di problemi reali che segnano nella lotta politica le differenze notevoli che in Italia come altrove dividono i partiti di centro da quelli di sinistra.
La verità è che la nascita del Partito democratico nel nostro Paese rappresenta l’accantonamento della sinistra di fronte alla sconfitta elettorale del 1994 e all’egemonia di Berlusconi che ha percorso nell’ultimo decennio la politica italiana. Questo lo si vede da simboli assai chiari che ormai campeggiano nell’orizzonte mediatico e politico:si riabilita Craxi e si critica duramente Berlinguer, si difendono le ragioni dei governi statunitensi anche dove è difficile farlo, almeno finora nei lavori parlamentari si mantengono in vita quasi tutte le leggi approvate nella precedente legislatura berlusconiana. E, di conseguenza, si sfiora la crisi tutte le volte che si rischia di cadere perché si toccano temi controversi come la politica estera, l’informazione e molti altri temi che dispiacciono al centro-destra. Insomma, non si può parlare con chiarezza di “larghe intese” già realizzate ma i segni di una tale tendenza sono assai chiare in parlamento, come in tutte le altre istituzioni del Paese.
Il risultato complessivo dei due congressi, e in particolare di quello di Firenze, non sarà caratterizzato tanto dall’aderire oppure no al Partito socialista europeo quanto dalla concreta politica che farà il nuovo partito nei prossimi anni dell’attuale legislatura.
Da questo punto di vista è, a mio avviso, importante cogliere i mutamenti che interverranno nei prossimi mesi in Italia, a livello di governo e di scelta tra i numerosi obiettivi che sono davanti alla coalizione di centro-sinistra per quanto riguarda le riforme presenti nel programma dell’Unione, rispetto al quale tutti i partiti dichiarano ancora di esser fedeli. E si vedrà anche con la legge elettorale in discussione quale orizzonte si profilerà.
In questo senso, alla sinistra che vuole restar legata a quel programma e a quei contenuti, spetta un lavoro rapido di riorganizzazione e di unificazione che sostituisca all’attuale frammentazione la nascita di un nuovo soggetto politico, in grado di allearsi ma anche a competere con la prospettiva moderata che ormai caratterizza il nuovo Partito democratico. È una sfida che non si può perdere, pena davvero la fine delle forze socialiste nel nostro Paese.
Rilinko un link di Maria.
E' un Tortorella noioso fino al midollo ma in ogni caso interessante.
http://www.larivistadelmanifesto.it/archivio/43/43A20031002.html
Craxi rubava, ma politicamente aveva ragione.
Berlinguer non rubava, ma aveva un politica antiquata e ambigua (a cavallo tra il vecchio pci ed il muto che stava per crollare; il tutto infarcito dall'orrida linea dell'incontro con i catto piuttosto che con la socialdemocrazia).
Ci fosse stato un socialista moderno senza il vizietto dello scippo non ci troveremmo come ci troviamo ora.
Ma con i se ed i ma..