Di tanto in tanto mi chiedo se sia proprio vero che abbiamo tutte queste idee nuove ed eccezionali, oppure (cosa ugualmente importante) che abbiamo il desiderio e la determinazione necessari per realizzarle. È vero, i vecchi fanno di tutto per mantenere il potere, ma è così da sempre; prendiamo la generazione precedente, cioé quella dei boomer nati negli anni '40 e '50. Loro negli anni '60 e '70 hanno lottato, duramente, per affermare le proprie idee; noi cosa stiamo facendo?
E' una questione demografica e democratica.
Non ho dati alla mano, ma i 30-40 enni sono molti meno dei 50-60enni. Basta guardare nelle nostre famiglie. 30-40enni figli unici o con un solo fratello o una sola sorealla hanno genitori con 4 o 5 fratelli o sorelle.
Per essere piu' incisivi, secondo me, i "giovani" devono far capire ai "vecchi" che la rinuncia ai loro privilegi e' una rinuncia a favore dei loro figli, nipoti e pronipoti.
Io credo che i "vecchi" capirebbero. Ma da noi uno che spiega chiaramente queste cose come fa Barack Obama deve ancora arrivare.
Noi, Larry, non abbiamo gli spazi e i tempi che avevano loro.
Le generazioni che ci hanno preceduto hanno avuto vita difficile per molti aspetti, hanno dovuto lottare per garantirsi molti diritti. Ma avevano, facilmente, un lavoro a tempo indeterminato, una prospettiva di pensione sicura, una casa tutto sommato a costo basso; attualmente viviamo (e lo vedo tra i mie coetanei, generazione di trentacinquenni che si affannano a costruire il quotidiano senza certezze) un momento in cui è difficile andare fuori di casa prima di un'età a cui i nostri padri avevano già un paio di figli preadolescenti.
Tutto questo non fa altro che limitare gli spazi ed i tempi che la nostra generazione può dedicare allo sviluppo pratico delle idee, alla politica attiva, alla ricerca di uno stile di vita alternativo a quello, impraticabile, dei padri; a questo aggiungi una generale disillusione dei giovani (ma i trentacinquenni sono giovani o adulti?) nei confronti dell'autorità, del potere, delle istituzioni...
Hai ragione, Larry, a dire che non stiamo facendo niente, ma ho tutta l'idea che la colpa non sia solo nostra e che in fondo la generazone che ci governa (quella dei nostri padri-nonni) si impegni seriamente ad impedirci di fare qualsiasi cosa...
Concordo pienamente con te, Adimant. Negli anni '70 era molto più semplice interessarsi di politica e di diritti civili; si può dire che mentre negli anni '70 lo spazio riservato ai giovani e alle nuove idee era quasi sottinteso (per una serie di motivi non tutti dipendenti dal potere politico dell'epoca, anzi, direi quasi per niente), noi dobbiamo impegnarci duramente anche solo per ritagliarcelo, questo spazio. Per non parlare poi della rappresentanza politica, che è votata da gente perlopiù anziana e quindi porta avanti i loro obiettivi e mai i nostri. Anche questo è un grosso punto di differenza: negli anni '70 il PCI era veramente *il* partito dei lavoratori, adesso chi sta prendendo il suo posto? I quasi-democristiani del Pd o i partitucoli radical-chic pseudo-comunisti che si preoccupano più della loro sussistenza che altro?
Tutti questi sono senz'altro punti a favore del tuo ragionamento; però poi se consideriamo anche le idee di quei pochi che riescono a ritagliarsi uno spazio, o hanno almeno la forza di fare qualche proposta, mi pare che ci sia anche un deficit qualitativo, non solo quantitativo. E una forte tendenza a salire su treni che non sono nostri, solo perché sono già in corsa e quindi è comodo farlo. Mi riferisco al Pd ma non solo, anche in generale all'intera impronta politica portata avanti un po' da tutti già da una ventina d'anni.
Adimant conosco un paio di persone nate negli anni 50 che dissentirebbero fortemente da quello che affermi con assoluta certezza, specialmente quando dici "Ma avevano, facilmente, un lavoro a tempo indeterminato, una prospettiva di pensione sicura, una casa tutto sommato a costo basso"...ma chi ti ha raccontato queste cose? negli anni 60-70 i giovani non avevano nulla sen non una grandissima FAME, fame di diritti, fame di conoscenza (per lo più provenivano dal classi culturalmente poco elevate come quella contadina ed operaia), fame di spazio che prendevano con la forza se necessario (ma lo sai che in quegli anni le radio libere, vedi Radio Alice, venivano duramente represse?) ed è questo che manca alla nostra generazione, la forza e l'audacia di prenderci le cose, abbiamo paura del conflitto! ci hanno cresciuto dandoci tutto, accontentandoci in tutto e adesso che siamo cresciuti e non ci basta la favola del mulino bianco non siamo capaci di prendercelo da soli!
E' una nostra incapacità, è inutile continuare a dire che ci impediscono di fare qualsiasi cosa, negli anni 60 e 70 se lo sono preso, anche a caro prezzo.
In questo sito ci sono molti che probabilmente si credono dei rivoluzionari e si atteggiano di conseguenza. Bene, questi pseudo-rivoluzionari dovrebbero tenere bene a mente queste parole: il rivoluzionario è un uomo condannato, perchè consapevole di poter morire per le sue idee!
quella di mario mi sembra una divisione quanto meno semplicistica. fortunatamente non tutti sono così, anzi nemmeno la maggior parte dei nati negli anni 70 e 80 secondo me è così. Nemmeno in politica.
Sapete che questa storia del conflitto generazionale, dei vecchi che non si fanno da parte, dei giovani che avrebbero chissà quali fratture da proporre mi è venuta un poco a noia? Perché semplifica. Ed è sempre il vecchio andazzo dei nani sulle spalle dei giganti, del mala tempora currunt o, per dirla con Albertone, del "si stava meglio quando si stava peggio".
Allora: primo, le condizioni economiche sono decisamente peggiorate. Al livello di incertezza (la pensione, chi la vedrà? E conosco gente - sul serio, l'ho toccata, ci ho parlato, ho visto il suo libretto di lavoro - che ha usufruito del diritto acquisito di andare in pensione a 39 anni, 6 mesi e 1 giorno, dopo manco vent'anni di lavoro. Se penso che ne ho 37...). E a livello di potere d'acquisto. Io l'impoverimento dei ceti medi l'ho toccato in famiglia e nella famiglia di mia moglie. Però l'Italia non è omogenea. In Sicilia, con uno stipendio tra i 1500 e i 2000 netti, fai una vita dignitosissima. Al Nord, sono cazzi. Detto questo, le battaglie degli anni 70 non c'entrano col reddito e con la società del benessere che è arrivata prima (Istat docet). C'entrano (bicchiere mezzo pieno) coi diritti civili e c'entrano (bicchiere mezzo vuoto) coll'impoverimento attuale. Infine: le classi dirigenti. Ha ragione Pier Maran. Certo, c'è il figlio di (e il parente, l'amico dell'amico ecc.). Ma c'è anche (e Pier ne è la dimostrazione) chi ce la fa senza grandi protettori. Sputa sangue, ma ce la fa. E non è che venti o trent'anni fa non fosse così. Siamo in Italia, capperi. Casomai, le lagne sul ricambio (o, molto spesso, sul genere...) mi sembrano o ideologismi velleitari, o Cicero pro domo sua. Adinolfi ci sta facendo la carriera, dopo Da Empoli. Io la imposterei diversamente. Primo (e qui l'esempio di Obama ci sta tutto) occorrerebbe guardare lungo e "redistribuire" generazionalmente i diritti. Secondo, aprire l'arena della politica. Non con le quote, ma con meccanismi di selezione (penso alle primarie) che premino, per quanto possibile, chi ha idee. David Cameron e lo stesso Tony Blair sono nati così...
Guarda, Claudio, che sono d'accordo con te sulla nostra incapacità di agire, sulla nostra immobilità, come generazione. E sono anche d'accordo sul fatto che in buona parte è dovuta all'avere avuto tutto in maniera facile.
Il problema è che oggi quel tutto ci viene sottratto, ma non abbiamo gli spazi, i tempi, le strutture per difendere diritti che sembravano acquisiti.
Ti faccio un esempio banale: durante i vari comizi del 1 maggio ho sentito tanti sindacalisti scagliarsi contro il crollo del potere di acquisto dei salari o la difesa delle pensioni e cose del genere; pochi parlare del reale cancro del mondo del lavoro, ovvero l'istituzionalizzazione del precariato realizzata attraverso la legge Biagi; sai perchè? semplicemente perchè i precari, per il sindacato, non fanno numero: non sono iscritti al sindacato, non hanno alcuna struttura che li sostenga nella loro lotta e non hanno la capacità e la possibilità logistica di crearsi tale struttura, ostacolati come sono dal sindacato stesso, dai politici, dai datori di lavoro, dalla necessità di concentrarsi sulla ricerca del lavoro 'fisso'.
Questa è una situazione che negli anni sessanta e settanta non eisteva e da questo punto di vista la generazione che ci ha preceduto ha avuto, sì, le palle per lottare per i propri diritti, ma lo ha fatto in una situazione in cui il boom economico dei '60 aveva drasticamente ridotto le incertezze sugli aspetti, per così dire, logistici del vivere quotidiano.
Detto questo, continuo a invidiare la capacità del popolo francese (vecchi e giovani) di indignarsi e scedere in piazza a reclamare i propri diritti quando questi vengono negati.