Il leader della sinistra sionista: in piazza insieme solo per spingere alle dimissioni Olmert e Peretz
Yossi Beilin: «Io pacifista con i falchi pur di cacciare gli inetti»
di Umberto De Giovannangeli
«Cos’altro avrebbe dovuto aggiungere il rapporto Winograd per costringere il primo ministro e il ministro della Difesa ad un sussulto di dignità, personale e politica, l’unico possibile: le dimissioni». Rabbia. E indignazione. Sono i sentimenti che permeano le considerazioni di Yossi Beilin, leader di Yahad, il partito della sinistra pacifista israeliana. «Il rapporto Winograd - sottolinea l’ex ministro laburista - inchioda Olmert e il ministro della Difesa Amir Peretz a responsabilità pesantissime non solo per la conduzione della guerra in Libano ma anche per come questa gravissima decisione è maturata. Un misto di superficialità, improvvisazione, subalternità ai comandi militari. Il salto nel vuoto non è tornare al voto; il vero salto nel vuoto per Israele è mantenere in vita un governo guidato da un premier screditato». Stasera la sinistra di Beilin sarà in piazza, a Tel Aviv, per una manifestazione, che si annuncia imponente, indetta, insieme all’opposizione di destra, per chiedere le dimissioni immediate di Olmert. Beilin la «colomba» fianco a fianco con il «falco» del Likud, Benyamin Netanyahu. Il promotore dell’Iniziativa di Ginevra (il piano di pace elaborato da politici, intellettuali, militari israeliani e palestinesi) spiega così questo strano connubio: «Le mie idee sulla pace, il dialogo con i palestinesi, così come sulle questioni sociali ed economiche, sono agli antipodi da quelle professate da Netanyahu. Io non voglio dar vita a un nuovo governo con il Likud; io, come la stragrande maggioranza degli israeliani, chiedo che un primo ministro inchiodato alle proprie responsabilità da una Commissione d’inchiesta da lui stesso istituita, si faccia da parte. Lo dobbiamo innanzitutto alle famiglie dei giovani soldati e dei civili caduti in una guerra sbagliata».
Le pesanti critiche mossegli dalla Commissione d’inchiesta sulla guerra in Libano, non smuovono Olmert. Ha ribadito che non intende dimettersi. Come valuta questa affermazione?
«Si tratta di un atto di arroganza e al tempo stesso un segno di debolezza politica. Olmert è un premier sfiduciato dagli israeliani; una sfiducia rafforzata dalle conclusioni a cui è giunta la commissione Winograd. Olmert, denuncia il rapporto, ha agito "senza ponderatezza, responsabilità, prudenza". Cos’altro doveva contenere quel rapporto per portare Olmert a rassegnare le sue dimissioni?».
La richiesta di dimissioni del premier e del ministro della Difesa non può apparire come un regolamento di conti politico?
«No, non è così. Le dimissioni di Olmert e di Peretz sono un atto dovuto a un Paese che è stato trascinato in una guerra i cui obiettivi, cito testualmente il rapporto Winograd, "non erano chiari", così come mancava una "exit strategy". Con che faccia un primo ministro che ha fallito totalmente in Libano, potrà rivolgersi ancora all’opinione pubblica per chiedere il sostegno ad altre scelte drammatiche che potrebbero segnare il futuro di Israele?».
Lei chiede le dimissioni di Olmert e la caduta dell’attuale governo. Ma non teme che dietro l’angolo vi sia un nuovo esecutivo egemonizzato dalla destra oltranzista di Netanyahu?
«Non accetto la logica del "male minore", non di fronte a fatti gravissimi, a responsabilità pesantissime come quelle acclarate dalla commissione Winegrad. Israele ha bisogno di una classe dirigente affidabile, nella quale riconoscersi. Oggi non è così. Oggi quello che temo di più non è un ritorno al potere di Netanyahu, contro cui mi batterò politicamente; ciò che mi spaventa davvero è il distacco del Paese reale dalle istituzioni; è la disistima verso la leadership politica. Israele non può permetterselo. Spero che Amir Peretz lo comprenda e si comporti di conseguenza, facendo un doveroso passo indietro. Restare ministro della Difesa sarebbe un atto di arroganza politica ».
C’è chi sostiene che proprio la debolezza attuale potrebbe rivelarsi la forza di Olmert per tenere insieme il suo partito, Kadima, e la coalizione di governo.
«Dopo di me il diluvio…Olmert spera così di mantenere in piedi un partito che si va sfaldando. La sua è una illusione. Comunque vada, per Ehud Olmert è iniziato il conto alla rovescia. Se non sarà la protesta popolare a indurlo alle dimissioni, ciò avverrà, se non subito molto presto, per una rivolta di palazzo. Olmert è diventato un peso insostenibile anche per quelli di Kadima, e la richiesta delle sue dimissioni avanzata da Tzipi Livni (ministra degli Esteri, ndr.) ne è la riprova».