Non si fa abbastanza per i bambini
Al di là dell’emozione per il caso di Samuele Lorenzi e del caso giudiziario di Anna Maria Franzoni o per l’imbarazzo e i non detti che contornano la vicenda di Rignano Flaminio, la macchina della curiosità ambigua è tornata in campo da protagonista.
Si potrebbe dire che a lungo nella storia i bambini sono stati oggetto di attenzioni morbose, di violenza, di violazione del loro corpo. Si potrebbe sostenere che il rispetto per l’infanzia, l’idea che esista un diritto di tutela dei minori siano il risultato di una lunga e tortuosa vicenda – culturale soprattutto più che giuridica – che solo nel corso del Novecento e non su tutto il pianeta si è affermata. E’ vero.
Dire questo in parte attenua la questione dello scandalo che anche nel caso di Rignano Flaminio è tornato sulla questione generale dell’infanzia oltraggiata, ma non ha impedito finora che anche questa volta si cadesse nella retorica. Rispettare l’infanzia non è un dato comportamentale naturale nella storia delle società. E’ l’effetto di una scelta e di una formazione. In altre parole è un risultato artificiale. Sembrerà banale affermarlo, ma è bene dirlo, perché riconoscerlo include rievocare i motivi e ritrovare i percorsi che ci hanno portato a quella scelta.
Oggi i bambini occupano la nostra quotidianità in relazione e in conseguenza a fenomeni di passioni pubbliche che animano e agitano la nostra vita, più spesso sulla scorta di timori o di non detti, comunque di apprensioni. Tanto nel caso di Cogne, come in quello di Rignano Flaminio, il tema intorno all’infanzia riguarda il rapporto con gli adulti e, soprattutto, con il male con la violenza – in un caso mortale, nell’altro mentale, emozionale – che segna per sempre il destino del bambino.
Il problema tuttavia in questa vicenda non riguarda solo la sfera dell’infanzia. E’ stato osservato, in seguito alla sentenza emessa dalla Corte di Assise di Torino, come quella sentenza possa anche essere stata condizionata dalla presenza mediatica. Ovvero come in questa storia abbia pesato in misura schiacciante l'infinito processo parallelo costruito dalla televisione. Un meccanismo che ha immediatamente prodotto i due partiti classici di ogni caso giudiziario – quello degli “innocentisti” e quello dei “colpevolisti”. Una divisione che prima ancora di riflettere su prove, indizi, circostanze, riflette sulla simpatia e l’antipatia, sulla necessità comunque di schierarsi per un partito.
E’ un rischio che sta correndo velocemente anche l’inchiesta di Rignano Flaminio. In entrambi i casi l’effetto è la presunta conoscenza di un fenomeno, di un contesto e la loro assolutizzazione. La trasformazione di un caso in simbolo. A questo contribuisce certamente anche il clima da “tifo” che casi giudiziari di questo tipo sollecitano, anche in forza dell’accanimento di informazioni che ci forniscono elementi di conoscenza che spesso appaiono e sono dei pettegolezzi, comunque dei dati assolutamente marginali e inessenziali nell’economia delle cose da sapere, che non degli spunti capaci di suscitare riflessione pubblica. Non è che continuando a parlare di qualcosa, se ne sa necessariamente di più. Più spesso si continua a sapere la stessa cosa di prima, con le stesse imprecisioni di prima. Anzi, peggio.
Come per Cogne anche per Rignano Flaminio non sappiamo niente sul piano dell’ambiente: quali conflitti e inimicizie lo attraversino; che tipo di inquietudini lo caratterizzino; come si può fare uscire dei bambini da una scuola senza che nessuno se ne avveda; come una vicenda possa allungarsi nel tempo senza che si diano dei segnali chiari di turbamento; come funziona un sistema scolastico e quali sono le responsabilità di chi lo governa.
In questo caso con alcune domande generali che non sarebbero fuori luogo: come si responsabilizzino i genitori rispetto alla scuola che frequentano i figli? Quali segnali dovrebbero cogliere? A quali gesti, parole, oggetti, ma soprattutto silenzi dovrebbero prestare attenzione per comprendere se sta accadendo qualcosa e comunque se qualcosa di strutturale è accaduto nella quotidianità dei propri figli.
Tutto questo non c’è e ancora continua a non esserci. Al di là delle voci e, dei clamori, delle divisioni che anche a Rignano Flaminio si sono ripresentati rispetto a come gli adulti si rapportano all’infanzia, il problema rimane costantemente lo stesso: come genitori sappiamo affrontare e sostenere l’imprevisto o le circostanze problematiche? siamo in grado di reggere il peso dell’educazione e della crescita dei figli?
I bambini sono tornati ad occupare il centro della scena e del nostro discorso pubblico. Sarebbe opportuno che lo fossero rispetto a problemi della quotidianità – quale modello educativo seguire, con quale tipo di fiabe o di letteratura per l’infanzia renderli appassionati o almeno interessati al mondo della scrittura, che occasioni di socialità proporre. In breve che consuetudini, stili, in una parola quali sensibilità, aiutare a costruire nella loro personalità e nel loro sistema di relazione interpersonali. Tutto ci dice, che anche questa volta, almeno per ora, non è così.
03.05.07 12:15 - sezione
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