Abbassare i toni... a cominciare da Mosé
di Moni Ovadia
Il talmud, la grande opera scaturita dalla torah she- be-al-peh, (la toràh-che-è-sulla bocca) che, secondo la tradizione ebraica, Mosè ricevette sul Monte Sinai insieme alla torah-she-bikhtav (la-toràh-chè-è scritta), contiene in sé uno sconvolgente insegnamento: è un libro sacro, ma è aperto ed accetta, anzi sollecita la propria rimessa in discussione. Il talmud è un libro dialettico fondato sulla discussione e sul confronto di centinaia di maestri nel corso di alcuni secoli e mostra il parere prevalso su ogni punto della legge anche il più apparentemente marginale ma, a quel parere fanno corona tutti gli altri pareri, perché in ogni generazione qualche studioso li possa rimettere in campo. Da questo punto di vista il vertice toccato dal pensiero talmudico è l’espressione elu ve-elu (quelle e quelle). La frase si riferisce al vigoroso scontro fra le opinioni della scuola talmudica di Hillel e quella di Shammai, due onorati maestri che esprimevano pareri apertamente divaricati e perfino opposti. Dopo una lunga e laboriosa discussione i maestri decisero ad un certo punto che le parole di Hillel erano le parole del Dio vivente. Ma subito dopo avere sentenziato così aggiunsero che anche le parole di Shammai erano le parole del Dio vivente e che forse in futuro le parole di Shammai sarebbero state per prime le parole del Dio vivente; il talmud approdava a questa sconcertante e contraddittoria apertura: elu ve-elu, ovvero quelle e quelle altre sono ugualmente le parole del Dio vivente.
Il talmud è dunque un’opera santa ma radicalmente antiidolatrica ed antidogmatica. Non è un caso che nei tempi oscuri delle persecuzioni antiebraiche il talmud sia stato ripetutamente dato alle fiamme per cancellarne l’insegnamento e persino la memoria. Il talmud si deve studiare con un khaver (compagno di studio) e, conditio sine qua non «litigando». Si deve instaurare fra i due compagni che studiano una makhlokhet, il termine potrebbe essere tradotto con il greco polemos, una sorta di «guerra» del pensiero il cui scopo è quello di sollecitare l’intelligenza e l’acume di ciascuno dei contendenti, ma anche quello di elevare il tono e il livello del pensiero stesso.
Intendiamoci, il talmud non è opera cerchiobottista, non chiede a nessuno di rinunciare alla sua opinione, né chiede di attenuare la passione rispetto ad essa, il talmud chiede di argomentarla e di mantenere la dignità dell’argomentazione anche quando la contesa si arroventa per non scadere mai nella calunnia o peggio ancora nella violenza.
Questa mia riflessione vuole dare un piccolo contributo ad uscire dalla frustrante litania dell’«abbassiamo i toni». L’appello a moderare i toni cade nel vuoto perché il nostro paese è stato intossicato da una cultura della volgarità, dell’aggressività diffusa, inaugurata dal centro-destra mediatico-populista ed è anche la sottocultura profonda di gran parte di quello schieramento politico, come testimoniano anche la separazione di Follini e la presa di distanza dell’Udc. Comunque sia, il vero problema dell’Italia è il bassissimo livello a cui si svolge sia il dibattito politico che quello ideale. Ferisce nella fattispecie vedere che il confronto fra cattolici e laici debba invelenirsi su scambi di battute e gazzarre mediatiche, l’umanità ha bisogno di ben altro.
Per onestà chiarisco di essere un agnostico e un laico che però vive con grandissimo interesse il dialogo con il mondo cattolico. Mi sono spesso confrontato con religiosi, sacerdoti e anche qualche prelato. Di alcuni mi ritengo leale amico, con altri condivido passioni spirituali e civili e proprio per un dovere di lealtà non ho paura della diversità di opinioni. È per me indiscutibile il diritto sacrosanto dei cattolici, di tutti i cattolici ad esprimere le loro opinioni, quand’anche siano scomode o scabrose per i laici, rispetto nel Sommo Pontefice la guida di un vasto popolo universale, ma, per me, i suoi pareri, le sue esternazioni pur autorevoli e degne di attenzione, sono solo le opinioni di un uomo. Con la stessa attitudine, io ebreo, considero le parole di grandissimi rabbini che rispetto, ma dai quali riguardo a molti argomenti dissento radicalmente.
Pertanto, è per me inaccettabile che principi morali religiosi, non negoziabili per chi aderisce ad una fede, siano imposti come principi assoluti a chi non è credente o a chi si riconosce in fedi diverse. Questa non è questione da politici di professione, né da religiosi per vocazione, ma attiene all’essenza della libertà stessa e dell’amore per il prossimo.
Bellissimo articolo. Ovadia si dimostra uomo di grande saggezza, amante della libertà di pensiero e profondamente rispettoso nei confronti di chi segue e professa idee, credenze e ideali differenti dai suoi. Purtroppo, non mi sembra che un atteggiamento simile trovi molti seguaci. A molti piace seguire idee non proprie per conseguire interessi personalissimi, ad altri piace dedicarsi al dissenso gridato e forsennato spinti più da un amor di polemica che da una vera conoscenza dei problemi.La vera laicità si consegue con la conoscenza, l'obiettività e la fermezza, dialettica, nel sostenere le proprie convinzioni.