La legge Biagi non è da rivedere, è da abrogare in toto.
E' una legge che parte dalle necessità dei datori di lavoro (parte forte) piuttosto che dai diritti dei lavoratori (parte debole).
Non so, e non mi interessa, se fossero queste le intenzioni del 'povero' Biagi. So che questa legge sta riducendo ad animali da soma migliaia di giovani, so che se un datore di lavoro può assumere per duecento volte in un anno la stessa persona per un solo giorno con contratti inviati via fax è perchè la legge glielo consente, non perchè manchi un controllo.
La legge Biagi non trova corrispettivo, nelle forme e nelle intenzioni, in nessun altro paese civile al mondo.
La legge Biagi resta la più grande sconfitta del sindacalismo italiano, che ha preferito ignorarla del tutto, concentrandosi su inezie come la ventilata abolizione dell'articolo 18 (che era solo lo specchietto per le allodole) piuttosto che impegnarsi a garantire a TUTTI i lavoratori (e non solo a quelli isccitti a CGLCISLEUIL) il diritto al lavoro, alla malattia, alla pensione...
La necessità è che il lavoro sia flessibile? Oppure, le aziende preferiscono che il lavoro sia flessibile?
Rispondere a queste domande è il punto della questione. Se è davvero necessario che il lavoro sia flessibile, è chiaro che deve essere reso tale. Ma se ciò risponde a una lista dei desiderata dei datori di lavoro, le cose cambiano. Un datore di lavoro fa il suo mestiere, ed è chiaro che, per portare le cose agli estremi, troverebbe vantaggioso poter disporre di personale qualificato a costo zero. Ma è corretto che le leggi privilegino le sue esigenze rispetto a quelle dei lavoratori, cioè dell'altra parte del rapporto? Secondo me no. E' sensato che i sindacati del lavoratori appoggino una riforma del diritto del lavoro che punta in quella direzione? secondo me no.
Si dirà: vi sono molti casi in cui un'improvvisa quanto imprevista circostanza rende necessario un amumento provvisorio della manodopera dell'azienda X. Se il lavoro non è flessibile, il proprietario dell'azienda X non assumerà nessuno, perché dovrebbe tenerselo anche quando l'esigenza sarà venuta meno, e si troverebbe ad avere più dipendenti di quelli che servono alla sua azienda. Benissimo. Non ci trovo nulla di male a consentire che *sulla base di dimostrate esigenze di questo tipo* si assumano lavoratori a termine. Ma la legge Biagi non fa questo, bensì disegna un quadro nel quale l'eccezione non è la temporaneità del contratto di lavoro ma la stabilità.
Quanto all'esempio che Maria porta della piazza di Barletta (città che ha dato i natali anche a Carlo Cafiero e, incidentalmente, anche a un pezzo d'asino che ho avuto la sfortuna di incontrare nella mia carriera), ciò che descrive è, né più né meno, quello che fanno le agenzie di lavoro interinale: costruire un parterre di manodopera potenziale da "affittare" a chi ne fa richiesta dietro pagamento di un compenso. In breve, siamo di fronte alla legalizzazione del caporalato per opera di un escamotage da avvocato difensore. Soltanto che la chiamano legge. E docono che è per il nostro bene, e ne difendono financo la moralità.
Aspetta Persio: le agenzie interinali, al contrario dei caporali, non tolgono soldi al lavoratore ma all'azienda che lo assume. Io, interinale, infatti sono inquadrato nello stesso contratto dei miei colleghi assunti a tempo indeterminato.
L'interinale può essere usato gabbando la legge facendo e disfacendo contratti, così come il lavoroa progetto viene interpretato a favore dei datori di lavoro, ma in linea teorica (teorica, si basi bene) non sono strumenti del demonio. Lo diventano in mano al 99% delle aziende italiane e se la legge è stata concepita, come da noi, per far loro un piacere, senza il rispetto dovuto ai lavoratori.
Alessio
Infatti ho scritto che lo affittano dietro pagamento di un compenso. L'azienda paga l'agenzia per l'affitto, diciamo così per semplicità, della manodopera che le fornisce. Che poi i denari non siano tolti al lavoratore è da vedere: pagherei 100 per Pippo se dovessi assumerlo direttamente, a lo assumo tramite un'agenzia interinale così, ammesso ancora che io paghi 100, 80 finiscono a Pippo e 20 all'agenzia interinale ManPower di Gambadilegno.
Sì ma sono soldi che comunque non andrebbero al lavoratore. Piuttosto che da chiedersi per quale oscuro motivo si è creata questa situazione. Una agenzia interinale seconda me ha ragione di esistere in un paese dove l'occupazione è altissima e i pochi disoccupati sono tutti altamente specializzati e in competizione tra loro aiutati dalle relative agenzie... nel contesto italia mi sembra invece che tra agenzie e aziende ci siano una qualche specie di scambi di favori. E' l'unica cosa che giustificherebbe da parte dell'azienda un costo aggiuntivo per un lavoratore... poi boh...
Difficile dire se sono soldi che comunque non andrebbero al lavoratore. Secondo me non è così chiaro, perché bisognerebbe poter sapere quanto l'azienda sarebbe disposta a pagare per avere quel lavoratore e confrontarlo con quanto paga all'agenzia per quel lavoratore più il servizio.
D'accordo, però, sullo scambio di favori, anche perché chi lavora o ha lavorato con interinali qualche segnale in questo senso spesso lo ha notato.
Infine, credo che la possibilità di non rinnovare il contratto senza alcuna motivazione sia un beneficio, per l'azienda, molto maggiore del rsparmi di qualche decina di euro, soprattutto se si pensa a come volano bassi i lavoratori assunti a queste condizioni, che sono tenuti sotto ricatto permanente.
io penso che lo scandalo non sia dovuto alla percentuale che un'agenzia interinale percepisca come anello di congiunzione tra domanda ed offerta, cmq rende un servizio, ma siano gli altri gli elementi di scandalo e di abuso della suddetta legge, vediamo qualcosa di questa legge per capirci qualcosa meglio ad esempio analizzando il contratto di apprendistato:
Dlgs 276/2003 individua tre tipologie di contratto, con finalità diverse:
apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, che consente di conseguire una qualifica professionale e favorire l'entrata nel mondo del lavoro dei più giovani
apprendistato professionalizzante, che consente di ottenere una qualifica attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-professionale
apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione, che consente di conseguire un titolo di studio di livello secondario, universitario o di alta formazione e per la specializzazione tecnica superiore .
Destinatari:
apprendistato per il diritto-dovere di formazione: giovani e adolescenti che abbiano compiuto 15 anni (prevalentemente la fascia d'età tra i 15 e i 18 anni)
apprendistato professionalizzante e apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione: giovani tra i 18 e i 29 anni e diciassettenni in possesso di una qualifica professionale (conformemente alla Riforma Moratti)
Settori:
L'apprendistato si applica a tutti i settori di attività, compreso quello agricolo. Il numero complessivo di apprendisti assunti non può superare del 100% il numero del personale qualificato e specializzato già in servizio presso il datore di lavoro. I datori che non hanno alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o specializzati (o ne hanno meno di tre), possono assumere fino a tre apprendisti. Alle imprese artigiane si applicano limiti diversi (Legge 443/1985, artt. 4).
DURATA
L'apprendistato per il diritto-dovere di formazione ha una durata massima di 3 anni, determinata in base alla qualifica da conseguire, al titolo di studio, ai crediti professionali e formativi acquisiti, nonché al bilancio delle competenze realizzato dai servizi pubblici per l'impiego o dai soggetti privati accreditati. L'apprendistato professionalizzante può durare da 2 a 6 anni, in base a quanto stabilito dalla contrattazione collettiva. È possibile sommare i periodi di apprendistato svolti nell'ambito del diritto-dovere di istruzione e formazione con quelli dell'apprendistato professionalizzante. La durata dell'apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione deve essere stabilita, per i soli profili che riguardano la formazione, dalle Regioni in accordo con le parti sociali e le istituzioni formative coinvolte.
CARATTERISTICHE
Il contratto di apprendistato deve avere forma scritta e indicare la prestazione alla quale è adibito l'apprendista, il suo piano formativo e la qualifica che conseguirà al termine del rapporto di lavoro. Il compenso dell'apprendista non può essere stabilito in base a tariffe di cottimo e il suo inquadramento non può essere inferiore per più di 2 livelli rispetto a quello previsto dal contratto aziendale per i lavoratori che svolgono la stessa mansione o funzione. La qualifica professionale conseguita attraverso uno qualsiasi dei tre contratti di apprendistato costituisce credito formativo per il proseguimento nei percorsi di istruzione e formazione professionale. Il datore di lavoro non può recedere dal contratto in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo, può però chiudere il rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato. Per tutti i contratti di apprendistato resta valida la disciplina previdenziale e assistenziale prevista dalla Legge 25/1955.
ATTUAZIONE
Perché sia operativa la disciplina relativa alle tre tipologie di apprendistato è necessaria la regolamentazione dei profili formativi demandata dal Dlgs 276/2003 alle Regioni e alle Province autonome. È inoltre necessaria la definizione delle modalità di riconoscimento dei crediti formativi da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali - di concerto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e previa intesa con le Regioni e le Province autonome. La disciplina delle modalità di erogazione della formazione aziendale, nel rispetto degli standard generali fissati dalle Regioni competenti, verrà inoltre stabilita dai contratti collettivi di lavoro.
Dunque rispetto al contratto di apprendistato apparentemente appoggia e sollecita la formazione e la preparazione tecnica dell'apprendista ma cosa succede in realtà?
1)Il datore di lavoro in virtù delle agevolazioni di fatto ottenute, può corrispondere, a parità di mansioni e per più anni, due livelli contrattuali inferiori a quanto stabilito per quel tipo di attività.
2) non può lincenziare se non in virtù di giusta causa o giustificato motivo, ma può mettere la parola fine a termine del periodo di apprendistato.
3) dovrebbe in virtù della formazione dell'apprendista operare di concerto con le scuole professionali , regioni e università affinchè vengano accreditati gli anni svolti in azienda, qui sorge spontanea la domanda: la concertazione tra il ministero del lavoro, la rappresentanza imprenditoriale, il ministro della pubblica istruzione, le agenzie formative provinciali e regionali , il sindacato hanno garantito che questo patto fosse osservato?
rieprendendo il filo del discorso la considerazioen che emerge è che Biagi pre quanto riguarda il contratto e la prestazione d'opera dell'apprendistato sarebbe stato saldamente legato alla formazione scolastica , partendo da quella di 2° grado al livello univeritario, così da formare una nuova classe lavoratrice specializzata e in grado di reggere le necessità dell'attuale mondo produttivo, praticamente spostare gradualmente da attività prettamente manuali , svolte oramai in realtà extranazionali a costi minori, a quelle specializzate e altamente qualificanti.
Ma in 4 anni questo patto tra le parti ha mostrato non essere stato assolutamente praticato, le scuole di formazione regionali sono in realtà scatole chiuse e vuote, completamente slegate dalle realtà industriali e legate a sigle per lo più mangia-soldi , l'università catalizza pochissimi iscritti nelle materie tecnico-scientifiche e non istituisce corsi orientativi necessati alle produzioni industriali.
Nel contempo cosa è diventato il contratto di apprendistato?
l'ennesimo contratto a risparmio , utile a mettere quattro soldi in tasca, pronto a contratto terminato a ricominciare di nuovo con altri apprendisti e nel frattempo coloro che ne sono usciti avranno la necessità di trovarsi un lavoro di nuovo precario e a termine, con le altre modalità previste che andremo a vedere e a valutare.
Maria, tu analizzi un aspetto della legge c.d. Biagi. La legge, però, è ben di più, e le modifiche profonde che apporta sul diritto del lavoro sono di portata enorme. E, secondo me, quasi tutte negative, per i motivi che ho già scrtitto più sopra e, in generale, per l'effetto che ha di indebolire enormemente la forza contrattuale del lavoro dipendente rispetto al datore di lavoro. Ribadisco, un sindacato che si presenta soprattutto come tutela dei lavoratori dipendenti dovrebbe combatterla con tutta la forza possibile. E lo stesso avrebbe dovuto fare fin dall'inizio, quando al governo c'era la cosiddetta sinistra e passò senza colpo ferire il c.d. Patto D'Alema-Blair (welfare to work).
Alcuni anni fa, ricordo di aver visto una vignetta su Umanità Nova nella quale si vedeva un operaio con un documento in mano davanti a due portoni, uno con l'insegna "CGIL" e l'altro con l'insegna "Confindustria". A fianco a lui un suo collega gli diceva più o meno: "è la stessa cosa. Conviene andare dove c'è meno fila allo sportello".
persio io non dico che tu abbia torto, ho solo cominciato ad analizzare la legge proprio per capire dove sono i punti negativi che erano stati venduti per innovativi e che hanno sancito invece la fine della sicurezza sociale dando avvio alla precarizzazione.
Tale legge fu venduta come positiva, poichè avrebbe reso flessibile il mercato del lavoro facendo convergere l'offerta con la domanda, operazioen che avrebbe contenuto i danni dovuti alle flessioni del mercato e della produzione, inizialmente doveva servire alla formazione o all'assunzione di mano d'opera specializzata, poi è diventata altro, ora si tratta di scoperchiare la pentola e di cominciare a dire esattamente come stanno le cose, cioè che non è servita a dare formazione a nessuno, nonostante i finanziamenti incanalati nelle scuole formative e patrocinate dalle regioni e province, che è diventata un'arma impropria per controllare il personale, a cui non si riconoscono i più elementari diritti, malattia, ferie, retribuzione idonea alla mansione e in più la cosa più grave ha generato squilibri e insicurezza ad un'intera generazione.
Dobbiamo togliere ogni alibi a chi continua a rimandare il problema della precarizzazione , la contrattazione va rivista al tavolo e tra tutte le parti in questione, governo, imprenditoria e sindacato.
Ieri un imprenditore mio conoscente mi diceva che un serio datore di lavoro ci tiene alla formazione e alla stabilità dei propri dipendenti, sa perfettamente che con quelle cifre non si può campare , solo i disonesti agiscono come pirati nel mercato del lavoro e questi non favoriscono di certo nè la stabilità produttiva nè la sua crescita, prendendo e mollando lavoratori a piacimento non si ottengono nè si cercano le reali garanzie utlili a reggere la concorrenza , a controllare la recessione e l'inevitabile globalizzazione.
Avremo sempre di più un'impreditoria fasulla che si regge solo sull'abuso, roba da terzo mondo e non consona ad una nazione che si vanta di essere tra le prime potenze mondiali.
secondo me questa legge è un salto nel passato,un azzeramento di tutti i diritti conquistati lottando.uno stato civile dovrebbe fare leggi per la tutela ed il benessere di tutti e non per avvantaggiare la sola imprenditoria.io sono uno studente di 21 anni e sono cosciente del fatto che sarò un lavoratore precario,quindi non potrò fare il mutuo per la casa,non potrò tirare su una famiglia,non avrò i contributi per la pensione...insomma,non ho futuro.e questa è la sorte alla quale ci ha abbandonato lo stato,ormai subordinato totalmente alle grandi multinazionali e all'interesse di una strettissima oligarchia.mio padre ha lavorato una vita per darmi un'esistenza sicura,e io non potrò fare lo stesso.il lavoro è un diritto inalienabile!o meglio lo era!
stefano magari avesse avvantaggiato l'imprenditoria sana e produttiva, quella ha tutto l'interesse a coltivare il rapporto azienda-dipendete salvaguardando la produzione e investendo sul personale, attraverso la continua formazione, il patrimonio aziendale non è solo quantificabile nel fatturato prodotto ma anche in quello umano, i lavoratori inseriti a tempo indeterminato e senza precarizzazione continua sono parte del capitale aziendale al pari di altre voci che concorrono a formare il suo satus.
Lo stravolgimento della legge cosiddetta impropriamente Biagi è servita a ben altro, a foraggiare una forma di capolarato occulto che per l'assestamento finaziario dello stato e per la stagnazione produttiva italiana è stato fin troppo tollerato ed abusato.
ora si tratta di metterci le mani dentro, rendendo questa forma di lavoro meno appetibile per le aziende poco serie, investendo di più nella formazione tecnica dei lavoratori, cercando di intervanire nei periodi del calo di produzione con degli interventi integrativi economici di supporto , pretendendo un patto sociale economico ed etico tra le parti investite, stato, sindacato e imprenditoria, dimenticare i giovani in un limbo eterno di precarizzazione sarebbe un suicidio per la collettività tutta.