le motivazioni di Fiano sono altre: per la prima volta da mitterand si profila un presidente filoisraeliano e questo glielo rende immediatamente simpatico. Quanto all'atteggiamento di sarko sulle banlieu delle due l'una o a ragione e allora fiano che fino a prova contraria è un parlamentare della repubblica di maggioranza si dia da fare per adottare il modello o quelle di sarko sono solo butades e allora fiano si aggreghi a calderoli.
Quanto al servizio civile per gli immigrati, proposta che ricorda molto esperienze della germania anni 30 (ricordate il lavoro rende liberi?) è talmente cretina, qualunquista, irrealizzabile, anticostituzionale, anti europea, razzista e contraria ai diritti dell'uomo che nemmeno rauti l'ha mai proposta. Se il neosegretario ds l'ha fatto è solo segno di demenza giovanile
Ora gettano la maschera, dopo non essersi mai schierati seriamente per la Royal durante la campagna elettorale, adesso addirittura dicono "Sto con Sarkozy"...bene, prendiamone atto, ma non rompeteci i coglioni con la sinistra e il riformismo!
la cosa bella e' che nessuno si rende conto quanto siano veri i manifesti di an che parlano di un cambio radicale in europa: con sarkozy (bell'assonanza col sarcoma) c'e' un presidente francese filoamericano, occidentalista, figlio di emigranti ma profondamente razzista e classista.
tutto l'opposto della tradizione francese, sia di destra che di sinistra.
se fiano "sta con sarkozy" avra' fatto i suoi conti, ma non gli converrebbe "stare" con il capofila bush a questo punto?
ps: telefonata tra me e mio fratello il giorno delle elezioni in francia: fratello "ma secondo te ce la fa 'sta royale?" io "assolutamente no, non e' nient'altro che una letizia moratti di sinistra, una faccia rispettabile che rappresenta il nulla"
Le motivazioni di ragiunatdegauche sono altre: c’è un presidente che forse qualcuno pensa che sia filoisraeliano e questo glielo rende immediatamente antipatico. Evviva Pavlov, il filosofo che è in tutti noi.
Ciò detto:
1) Non mi pare che Fiano abbia difeso Sarkozy. Ha affermato che non è il diavolo;
2) Non mi pare che Fiano abia dichiarato che la questione posta e la linea politica proposta da Sarkozy siano le sue.
2) Non mi pare che Fiano abbia fatto l’elogio della linea repressiva messa in atto da Sarkozy nelle banlieu.
Ciò detto qualcuno, per favore, prima di leggere un commento e commentare un commento, legga gli originali! E'chiedere troppo?
Mah. Sarko non è fascista per cominciare, che è la cosa più importante. Ha giocato duro con l'estrema destra francese, ma portando via 2/3 dei consensi a Le Pen eh? Un fatto positivo. Poi, tenendo comunque conto che i gaullisti discendono da De Gaulle e non da Petain, e che gli altri dovrebbero forse dare miglior prova di discendere da Mitterrand, si può condividere o meno la linea della "destra senza complessi", che a volte proprio rinnega principi di solidarietà base (ne ha parlato Barbara Spinelli recentemente su "La Stampa"). Però tenendo conto anche le debite proporzioni dei fatti, e un minimo senso di giustizia.. Cee se il problema è il politically incorrect, qui ne abbiamo le palle piene tutti... anche di quello di cosiddetta "sinistra"...
Carolina
Mah. Mi sembra un post un po' "pasticciato". Nel senso culinario: un pasticcio dove c'è un po' di tutto...
Da un lato un attacco a Lele per aver detto che "Sto con Sarko" e su questo forse sarebbe segno di una informazione corretta e completa che chi polemizza con qualcuno metta un link alla fonte e dall'altro un attacco a Martina per la sua idea sul servizio civile per avere la cittadinanza.
Discutiamo pure e senza risparmiarci critiche reciproche anche feroci, ma evitiamo il fritto misto: non serve a nessuno.
Personalmente ad esempio penso che Sarkozy sia stato un ministro pessimo e reazionario, ma potrà dare un contributo importantissimo da presidente e mi piacerebbe lo si giudicasse per quello che farà e non per quello che ha fatto.
Quanto alla proposta di Martina, anche io sono scettico, ma dobbiamo almeno riconoscergli di aver innovato il modo di affrontare una questione così delicata. Forse eccessivamente pragmatica, ma credo che una sinistra più pragmatica non sia così da disdegnare
per Marco: é Fiano a citare Sarkozy e Martina (il pasticcio è, insomma, proprio alla fonte).
Prima di continuare coin il fritto misto vorrei sommessamente ricordare che la proposta di servizio civile per gli immigrati non è di Sarkozy, ma di Ségolène Royal.
Pardon? Cosa è il servizio civile per gli immigrati?
Tempo fa ebbi a litigare con un amico rifondarolo il quale pretendeva l'obbligatorietà del servizio civile (per gli indigeni) al posto del morente servizio militare. Ora royal o sarko (chi sa? ma la proposta ha un'arietta di sinistra) lo vogliono imporre agli immigrati.
L'idea che l'individuo debba essere lasciato in pace e che la bontà non possa essere imposta per legge è del tutto estranea a costoro.
Il volontariato deve essere una libera scelta, non un'imposizione o peggio, come da noi, una professione retribuita.
il ragionamento vale anche per la scuola?
Mi perdonerà Pippo, ma non riesco a replicare stasera al suo post, butto li però questo testo di GLUCKSMANN uscito oggi sul Corriere, di cui consiglio la lettura, domani vorrei replicare con calma alle critiche, anche se suggerisco di non giudicare il titolo della mia intervista di oggi, che non centra nulla con quello che penso e che ho detto.
Lele Fiano
E la bandiera dei diritti umani tocca al profeta della «rottura»
di ANDRÉ GLUCKSMANN
La possibilità che Bernard Kouchner sia nominato ministro degli Esteri è rivelatrice del sisma intellettuale — e non solamente elettorale — che scuote la Francia. A parte gli apparatcik del Partito socialista pronti ad accusare il loro compagno di «tradimento», l'elettorato applaude, a destra come a sinistra. Quando, su queste colonne, in gennaio, avevo difeso un «ticket Sarkozy-Kouchner», mi presero per un mite sognatore. Oggi, la nomina del fondatore di «Medici senza Frontiere», l'uomo più popolare del Paese, testimonierebbe l'emergere di un'idea nuova della Francia.
Una parola, «rottura», ha dominato e riassume la campagna presidenziale. Nicolas Sarkozy l'ha lanciata, per primo, come una bomba nel proprio campo, compiendo in maniera spettacolare un «assassinio del padre» simbolico e necessario secondo Freud, di cui hanno fatto le spese Jacques Chirac e Dominique de Villepin. Il la era dato. Ségolène Royal, a sua volta, impersonava l'immagine del rifiuto di un passato «elefantiaco» e François Bayrou non era da meno quando si vantava di far cadere un nuovo «muro di Berlino» — addirittura! Ogni candidato accusava i suoi rivali di programmare una rottura apparente, confermando così che il desiderio di rinnovamento passa oltre le divisioni ordinarie e infiamma l'insieme del corpo elettorale. Alla fine, Sarkozy intasca i diritti d'autore ben meritati ed entra all'Eliseo. Prima che l'ordine di rottura diventi un luogo comune sbiadito che condisce le salse politico-mediatiche, cerchiamo d'interrogare il segreto di un'esigenza che ha sorpreso e infervorato la Francia.
Chi dice «rottura» non dice «rivoluzione». Né «contro-rivoluzione». Mai, da trent'anni, si è avuto un simile afflusso di votanti; mai così pochi voti per i partiti estremisti. Possiamo scommettere che per l'ultima volta la Francia ha stupito il pianeta schierando tre trotzkisti che ambivano alla magistratura suprema. Assaporiamo la catastrofe di uno degli ultimi partiti comunisti d'Europa. Ancora più impressionante è stata la sconfitta di Le Pen e della sua esortazione finale: astenetevi! Evitate un candidato, «ebreo da parte greca, ma non ebreo da parte ungherese», eleggibile dai magiari ma non da noi. Solo un quinto degli ultimi fedeli del vecchio capo razzista ha ubbidito. Separandosi dall'ultra-sinistra e dall'estrema destra, la Francia rinuncia ai sogni di fare tabula rasa e di purificazione etnica. Rinuncia con il buon senso democratico.
Chi opta per una rottura non desidera abbattere il «sistema», ma nemmeno è soddisfatto da riforme parziali e settoriali che rischiano di cadere in un catalogo clientelistico, difetto delle «cento proposte» alla Mitterrand del Patto di Ségolène Royal. La rottura vuole essere una risposta globale a una situazione d'insieme: il vantaggio va dunque a Sarkozy, che promette di rompere con «le idee e le abitudini del passato» e promuove un vero e proprio capovolgimento copernicano per la classe politica della Francia. Per trent'anni, le nostre élite hanno esaltato narcisisticamente «l'eccezione francese» - a sinistra come a destra, secondo Mitterrand come secondo Chirac. In verità la Francia, per i suoi partner d'Europa occidentale, stava sfiorendo, era il fanalino di coda del tasso di crescita e la maglia gialla del tasso di disoccupazione. Da qui, la necessità di riesaminare il «modello sociale francese», fonte ormai di malessere, di mancanza di occupazione e discriminazioni.
Osserviamo la Germania. Dalla sua riunificazione (1989) è riuscita, non senza crisi e difficoltà, ad assimilare 17 milioni di tedeschi dell'Est che vivevano in condizioni miserabili, appena usciti dal comunismo. Questo, grazie al coraggio dei leader di sinistra e di destra che hanno saputo adattare il vecchio sistema renano alle realtà contemporanee. Mentre il nostro vicino integrava i propri cittadini e ritrovava il suo dinamismo, il nostro Paese emarginava e rinchiudeva nelle periferie diseredate giovani e meno giovani senza lavoro. Triste bilancio di un'impasse sociale e mentale. Quasi tutti i paesi sviluppati riescono a fare conversioni dolorose ma efficaci: perché noi no?
Eppure, la Francia dispone di
atout incredibili. Quinta potenza mondiale. Campionessa in tutte le categorie di investimenti esteri. Vivaio di alte tecnologie. Numero uno europeo dell'indipendenza energetica, grazie al nucleare. Ammirata per l'eccellenza della sua rete di comunicazioni, per la sua urbanizzazione su scala umana, il suo primato nella produttività del lavoro orario, il suo sistema di sanità, possiede la chiave per una ripresa economica rapida e sicura. E' potenzialmente così forte che gli esperti si meravigliano della sua stagnazione: non sarà, la sua malattia, immaginaria?
In realtà, mancava un fattore decisivo: la volontà politica di agire. Abbiamo trascorso tre decenni maniaco- depressivi, oscillando fra «declinismo» nevrotico — il nostro Paese non si può riformare — e autocompiacimento suicida — il nostro modello è ontologicamente giusto: difendiamolo fino alla morte! Talora piangevamo sul decadimento della nostra gloria. Talora esaltavamo una Francia che imponeva il proprio modello all'intero pianeta. «Noi abbracciamo tutto, ma non stringiamo che il vento» (Montaigne). Sarkozy non ha ceduto all'ottimismo narcisistico né al pessimismo lacrimevole, i due volti dell'impotenza.
La rottura agognata non è soltanto un obbligo interno. In trent'anni, «la grandeur della Francia» tanto spesso celebrata è stata severamente sbrecciata da una diplomazia senza anima e senza una visione. La fine della guerra fredda ha colto Parigi alla sprovvista. I nostri dirigenti sono scivolati senza successo nell'import-export. L'amicizia interessata che li lega ai despoti africani, arabi o post-comunisti ha prevalso sull'attenzione volta al vento di libertà che scuote il mondo. Abbiamo preferito Putin non solo a Bush e a Blair, ma ai dirigenti dell'Est europeo che hanno avuto soltanto «il diritto di tacere». Abbiamo puntato su un'asse Parigi-Mosca contro la fantasmatica «iperpotenza» americana, a spese dell'Unione Europea che abbiamo finito con il bloccare con un sonoro «no». Rompere significa porre fine a una realpolitik disastrosa e non credere più di essere protetti da demoralizzanti dimissioni. Rompere non significa chiudere gli occhi davanti alla minaccia dei terrorismi razzisti, religiosi e nazionalisti. Significa rialzare la bandiera dei diritti dell'uomo, osare condannare i massacri in Cecenia come nel Darfur, farsi portavoce degli umili e degli oppressi, ascoltare le donne che lottano per sopravvivere nel rispetto e nella dignità. Rompere significa annunciare chiaramente: «Non credo alla realpolitik
che fa rinunciare ai propri valori senza ottenere un solo contratto» (Nicolas Sarkozy).
La Francia cambia. Chi avrebbe immaginato, venti o trent'anni fa, che un figlio di immigrati potesse accedere alla più alta carica dello Stato e che una coppia di divorziati, una famiglia ricomposta, potesse abitare all' Eliseo? Sono passati di moda i convenevoli ipocriti e i sottintesi equivoci che ieri alimentavano i salotti della Repubblica! «Questa terra ancestrale non può donarsi a un ragazzetto troppo frettoloso», aveva predetto il Presidente uscente, ai tempi della loro rivalità. Errore: lo spirito pubblico si è trasformato prima di quanto pensasse.
Le vacche di Chirac, il trattore di Bayrou, il profumo della terra che Mitterrand santificava appartengono a una mitologia passatista. Nel 1945, il trenta per cento dei francesi era composto di contadini, nel 2007 questi ultimi rappresentano solo il tre per cento, è ora di accorgersene. Un grande solitario aveva presentito la metamorfosi spirituale che manifesta, oggi, la volontà di rottura. Nel 1965, il più illustre dei francesi scriveva: «All'antica serenità di un popolo di contadini, certi di trarre dalla terra un'esistenza mediocre ma sicura, è subentrata nei figli del secolo la sorda angoscia degli sradicati» (de Gaulle). La rottura celebrata durante le presidenziali è al tempo stesso una confessione, una presa di coscienza e assunzione di un rischio: figli del secolo, affrontiamo le sfide del XXI secolo, siamo tutti sradicati, sia i francesi di origine sia i francesi per scelta. Questa comunità di destino crea una forza.
La Francia deve accettarsi così com'è, urbana e diversa. E ancora su questo terreno, malgrado i ghetti, le discriminazioni e le chiusure comunitariste, il catastrofismo non è ammissibile. Secondo una recente inchiesta internazionale concernente 13 Paesi - realizzata dal Pew Global Attitudes Project nella primavera 2006 - sui «musulmani» che vivono in Occidente (Usa, Gran Bretagna, Germania, Spagna, Italia…), coloro che abitano in Francia sono: 1)i più convinti che il modo di vivere occidentale non si opponga alla loro religione (74%); 2)i più soddisfatti per la separazione fra chiese e Stato (73%), 3)i più positivi sui loro buoni rapporti locali con cristiani (92%) ed ebrei (71%). Quest'ultimo caso è unico al mondo. Con grande sorpresa dei commentatori internazionali, lo «scontro delle civiltà» in Francia non è una fatalità, tutt'altro. Però bisogna mostrare volontà politica: si torna sempre a questo, perché in definitiva è la condizione di tutto. Un piano Marshall per i giovani dei quartieri sfavoriti, l'applicazione di una discriminazione positiva alla francese, la possibilità per lo Stato di finanziare la costruzione di moschee sono tutte misure che rivelano un Nicolas Sarkozy aperto sulla diversità, ben lontano dalle caricature fornite da una sinistra a corto di idee. Un ministero dell'immigrazione e dell'identità nazionale non è un ministero dell'identità nazionale contro l'immigrazione.
Nulla è acquisito: egoismi, corporativismo, disperazione fanno durare il sonno di certuni e le rivolte nichiliste di altri. Troppo a lungo la Francia ha interpretato il ruolo della bella addormentata nel bosco. I bloccaggi si sono accumulati. Né il mercato del lavoro, né l'università e la ricerca, né la politica degli alloggi, né il suo ruolo nelle vicende del mondo sono all'altezza della sua storia e del suo destino. L'elezione di un principe azzurro non ha virtù magiche. Sta a ciascuno avere una parte di iniziativa; l'angoscia dei figli del secolo sarà sormontata dai figli del secolo stessi. Soprassalto o no? All'indomani dei risultati, interrogati da Opinionway per un sondaggio, i francesi, di qualunque tendenza essi fossero, hanno risposto al 77 per cento in favore della rottura.
eddaje emanuè, qui serve un'interpretazione autentica. quando hai ripreso forze forniscila, eh?
perché come vedi, la "feccia" delle banlieues sta tracimando anche nei cervelli di qui e questo momento (come quasi tutti, peraltro) è piuttosto delicato da noi.
in più tu e molti altri state partecipando alla decostruzione dell'ex pci-pds-ds per fare una cosa che parte d'italia noncapiscemasiadegua, e qualche dettaglio in più serve: non a me, che voterò (finché lo sento necessario) nel punto più a sinistra che riesco a trovare, ma ad altri che invece possono sostenere il tuo progetto.
ora, se sarcoma chiama ghandi al governo e quello accetta, per me vuol dire che il primo sta facendo lo sborone per farsi bello (ricordi ruggiero con berlusca? quant'é durato?).
tanto per rassicurare la france et le monde.
poi si vede per strada, che succede.
ma né io né te abbiamo la palla di vetro funzionante.
però farsi prendere per il culo, eh be'...
come dire: acca'nisciun'e'ffess
per Lele: è tremendamente prevedibile che tu risponda con Glucksmann. Spero te ne renda conto...
e comunque se noi siamo feccia (racaille) voi facce di cazzo
il ragionamento vale anche per la scuola?
???
la scuola (cultura) è un servizio che lo stato da all'individuo, non il contrario..
Più che prevedibile, la citazione di Glucksman - uno che ha anticipato i tempi, facendo tempo fa quello che la sinistra italiana fa oggi - è dannatamente triste. Al grido "abbassiamo i toni" le categorie destra e sinistra si confondono.
Vorrei poter emigrare.
PS: secondo me la proposta di Martina è una cagata pazzesca e la dice lunga su quello che sono diventati i DS, ma visto che finirà dove merita - ovvero nel nulla - mi pare anche inutile discuterci sopra.
Più che prevedibile, la citazione di Glucksman [...] Al grido "abbassiamo i toni" le categorie destra e sinistra si confondono
non ha potuto citare sergio romano, ma non disperarti, ci arrivera'
Vorrei poter emigrare
spero non in francia