Raipolitik
di Marco Travaglio
Immaginate la scena e dite se non vi piacerebbe: Romano Prodi e Paolo Gentiloni si affacciano in conferenza stampa e annunciano: «Da domani la Rai non sarà più governata dai partiti. Il Cda lo nomina una fondazione dove i rappresentanti della politica sono in minoranza, e per concorrere bisogna esibire un curriculum professionale di prim’ordine. Comandano i dipendenti e gli utenti. Abolita la commissione parlamentare di Vigilanza, perché è la tv che deve vigilare sul Parlamento e non viceversa. Riforma totale delle Authority, con divieto assoluto di farne parte per gli iscritti ai partiti e per chiunque abbia ricoperto cariche elettive o di governo locale o nazionale. Le norme hanno effetto immediato perché contenute in un decreto - motivato da ragioni di urgenza visibili a tutti - che manda a casa l’attuale Cda della Rai: tutte brave persone, per carità, ma da oggi si volta pagina. Il fatto che Mastella minacci la crisi di governo significa che siamo sulla strada giusta. E ora, al lavoro».
Purtroppo è un sogno, un bellissimo sogno che i 60 cittadini che avevano firmato la proposta di legge di iniziativa popolare «Perunaltratv» promossa da Tana de Zulueta, Sabina Guzzanti e tanti altri s’erano impegnati a tradurre in realtà. Quella proposta, intendiamoci, non è stata inutile: ha, almeno inizialmente, costretto l’Unione a porsi il problema della departitizzazione della Rai. E a partorire un disegno di legge, quello varato l’altroieri dal Consiglio dei ministri ritoccando un po’ il testo portato da Gentiloni, che le somiglia parecchio. Fuorché in due punti, purtroppo decisivi: la mancata abrogazione della Vigilanza; e il rapporto di forze stanza dei bottoni, dove la legge Perunaltratv dava la maggioranza ai rappresentanti della società civile e della cultura esterni al Palazzo, mentre la Gentiloni garantisce la preponderanza dei partiti (6 contro 5 «esterni», che poi tutti esterni non sono). Ecco perché, nonostante le apparenze e alcune apprezzabili novità rispetto all’indecenza del sistema attuale, è troppo ottimistico il titolo de l’Unità di ieri: «Riforma Rai, messa fuori la politica». Magari fosse così. Com’è noto, il ddl varato dal governo, e da oggi sottoposto al prevedibile mercato delle vacche partitocratico tra Camera e Senato, trasferisce la proprietà azionaria della Rai dal Tesoro a una Fondazione pubblica governata da 11 consiglieri con mandato di 6 anni non rinnovabile. Chi li nomina?
I seguenti soggetti: 4 la Vigilanza, 2 la Conferenza delle Regioni, 1 i dipendenti Rai, 1 il Cnel, 1 il Consiglio nazionale utenti e consumatori, 1 l’Accademia dei Lincei, 1 l’Accademia dei rettori. Facciamo i conti della serva. La Vigilanza, per non scontentare nessuno, manderà in Fondazione due politici di destra e due politici di sinistra. La Conferenza delle Regioni manderà un politico di destra e uno di sinistra, con un bell’accordo nazionale. E già questi 6 su 11 bastano a fare il bello e il cattivo tempo. Ma non è finita, perché il Cnel è un organo che più partitocratico non si può: sulla carta (costituzionale), è il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. In realtà è uno dei tanti uffici di collocamento per politici trombati. Basti pensare che il presidente è l’italoforzuto Antonio Marzano, l’ex ministro delle Attività produttive, così meritevole da essere scartato persino dal governo Berlusconi. La conferenza dei rettori universitari, visto come funziona l’università in Italia e quante interferenze politiche nasconde, è un altro ente a rischio: potrebbe nominare Umberto Eco come un amico degli amici (o, più probabilmente, un parente dei parenti). Restano, di veramente «esterno», i Lincei, i Consumatori e i dipendenti Rai (almeno i non raccomandati, che non sono molti): 3 rappresentanti su 11. Pochini per poter incidere sulla nomina del Cda della Holding, che gestirà la Rai con 1 presidente più 5 amministratori (tra i quali verrà scelto il direttore generale). Mastella non è ancora contento, parla di «demonizzazione del Parlamento» (come se la gente eleggesse i parlamentari perché occupino la tv) e annuncia «modifiche in aula», ovviamente per partitocratizzare la Rai ancor di più: infatti, comprensibilmente
spaventato per l’ingresso del mondo della cultura in un’azienda culturale, trova «singolare dare un rappresentante ai Lincei, con tutto il rispetto»: meglio darlo all’Udeur, dall’alto del suo 1,4 per cento. Dopo Pomicino e Nuvoli, avrà qualche altro pregiudicato da sistemare.