Il rifiuto e il dialogo: una «road map» per la monnezza
di Pietro Greco
L’emergenza rifiuti in Campania ha ormai assunto dimensioni tragiche. Ed è ora che lo Stato faccia sentire la sua autorità. L'analisi del presidente Giorgio Napolitano è impietosa. E il suo appello è tanto alto quanto accorato. Impossibile non aderire. Sia perché, con migliaia di tonnellate di «monnezza» nelle strade, il rischio ecologico e sanitario ha raggiunto un livello inaccettabile. Sia perché il rischio sociale, a causa anche della conflittualità politica, sta diventando un'emergenza nell'emergenza.
Napoli è la sola città in Europa e forse al mondo dove la raccolta e il trasferimento dei rifiuti solidi urbani avviene ormai sotto scorta della polizia. In cui vescovi e grandi intellettuali scendono in piazza, dove trovano i sindaci (spesso gli stessi che non hanno mai organizzato la raccolta differenziata) alla testa del corteo. Si tratta, si dirà, di una delle solite fiammate che, da quindi anni, costellano questa storia senza fine. Nulla di nuovo, purtroppo, sotto il Vesuvio.
E, invece, le novità - come ha lucidamente compreso il Presidente Napolitano - ci sono. E sono almeno due. Ahimé di segno opposto.
La prima è che - grazie a Guido Bertolaso, che gode dell'appoggio sia del governo sia della Presidenza della Repubblica - c'è una «road map» precisa, con tanto di obiettivi e di scadenze rigide e ravvicinate. Entro pochi giorni la «monnezza» deve sparire dalle strade. Entro e non oltre il 31 dicembre 2007 l'emergenza deve terminare e la raccolta dei rifiuti deve diventare, anche in Campania, un problema di ordinaria amministrazione. La «road map» di Guido Bertolaso deve essere assolutamente mantenuta, se non vogliamo che la crisi civile ed ecologica diventi definitivamente endemica e si trasformi, addirittura, in emergenza sanitaria.
La seconda novità è che c'è l'incomunicabilità divenuta preoccupante. Perché non riguarda più solo il rapporto tra le istituzioni e la società civile - e non sarebbe poca cosa - ma si sta propagando sempre più all'interno stesso delle istituzioni, tra le diverse articolazioni dello stato. Abbiamo verificato, infatti, una certa tensione nel governo: il decreto che conferisce nuovi poteri al Commissario straordinario è stato varato senza la firma di due ministri, incluso il responsabile dell'Ambiente, poco convinto di alcune delle decisioni di Bertolaso. C'è o c'è stata tensione, spesso neppure tanto velata, tra il Commissariato, alcuni autorevoli esponenti del Parlamento e una serie di enti locali: comuni, province, regione. C'è tensione tra il Commissariato e la magistratura (alcuni magistrati). C'è tensione tra gli enti locali medesimi. E tra loro e la magistratura (alcuni magistrati). C'è un sindaco che, addirittura, ha dichiarato guerra allo stato (senza rendersi conto, probabilmente, dell'enormità della boutade).
Questa tensione interna alle istituzione, tra molte delle diverse articolazioni dello stato, è una novità, almeno in questa sua forma estesa, anche per Napoli. Ed è una novità preoccupante. Che va subito ridimensionata. Ridando allo Stato autorità. Il che significa, anche, dialogo efficiente tra le sue diverse articolazioni.
L'incomunicabilità deve infatti cessare al più presto. Sia perché la storia dimostra che quando lo stato è debole la criminalità organizzata diventa più forte (e la camorra è uno dei principali responsabili dell'emergenza rifiuti in Campania). Sia perché l'incomunicabilità rischia di compromettere la realizzazione - lo ripetiamo, inderogabile e condivisibile nel suo impianto di fondo - della «road map» di Bertolaso.
Naturalmente per risolvere un problema, occorre comprenderne l'origine. Dove ha dunque origine l'incomunicabilità estesa che si è creata intorno al problema dei rifiuti in Campania? Una parte, è ovvio, nasce come reazione, forte e ambigua, al progetto, forte e chiaro, di Guido Bertolaso.
Gli interessi intorno all'emergenza rifiuti sono molti (e non solo di natura economica). E saremmo davvero ingenui a pensare che questi interessi se ne stiano con le mani in mano a osservare il Commissario che porta via la gallina dalle uova d'oro. Ma un'altra parte dell'incomunicabilità estesa ha un'origine diversa. Nasce da un'illusione. L'illusione, che è tra le poche costanti nella storia dell'emergenza rifiuti in Campania che i problemi tecnoscientifici e ambientali siano risolvibili solo e unicamente con un atto di autorità e un manipolo di esperti. Nell'era della democrazia ecologica quest'idea è, appunto, un'illusione. E genera inefficienza.
È un'illusione, non perché i cittadini non si fidino dei tecnici (scienziati, medici e ingegneri sono le figure professionali che godono di gran lunga maggiore prestigio in Italia come in Europa). Ma perché i cittadini - nell'era della «coscienza enorme del rischio» (talvolta distorta, ma pur sempre enorme) - non delegano le scelte sulla gestione del rischio a nessuno. Neppure a coloro che apprezzano di più. Neppure agli scienziati, ai medici e ai tecnici. Chiedono di essere coinvolti nelle scelte. E quando non vengono coinvolti protestano. Così come hanno fatto a Scanzano e ad Acerra, in Val di Susa e a Vicenza. Così come stanno facendo non solo i cittadini del contado di Serre. Ma anche, magari con altre forme ma analoga veemenza, alcuni vescovi campani e gli intellettuali delle Assisi di Palazzo Marigliano (inclusi scienziati e tecnici) che si radunano intorno a Gerardo Marotta, il fondatore dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. E persino, in tutt'altre forme ma con analoga veemenza, le istituzioni che non vengono coinvolte nel processo decisionale, pur ritenendo di averne un qualche diritto.
Questa mancata compartecipazione - pur nel quadro di una «road map» ben definita negli obiettivi e nei tempi - non è solo ingiusta. È anche inefficiente. Non consente di correggere gli errori. Errori che tutti possono commettere, anche il Commissario di governo. Anche nel quadro di un buon progetto. La richiesta di partecipare alle scelte, infatti, da parte di tutti coloro che a torto o a ragione credono di avere «una posta in gioco» funziona come una caotica, ma efficace «peer review». Come un'analisi critica spietata. Che consente di correggere gli errori, lì dove gli errori ci sono. Per esempio, l'originaria individuazione di un'unica grande discarica a Serre, in prossimità dell'oasi del Wwf e di un'area, quindi, di particolare pregio ambientale, è stato un errore commesso dal Commissariato.
E l'analisi critica di coloro che hanno protestato, magari in modo colorito, ha consentito di porvi, almeno in parte, rimedio. E oggi l'errore potrebbe essere completamente recuperato (il ministero dell'Ambiente ha individuato un sito alternativo meno problematico).
L'illusione che il problema rifiuti possa essere risolta solo con un atto di autorità e un manipolo di esperti deve dunque dissolversi per sempre. Se almeno il governo, la regione, il Commissariato, gli Enti locali, i magistrati (ciascuno, per la sua parte, portatore di interessi legittimi e di errori storici) si mettessero intorno a un tavolo comune per parlare e ascoltare, la soluzione del complesso problema della «monnezza» in Campania, sulla base di un'agenda con tempi precisi e inderogabili, si avvicinerebbe.
Se vogliamo avere le migliori garanzie che l'emergenza rifiuti si trasformi anche all'ombra del Vesuvio in ordinaria amministrazione, occorre che lo stato impari a dialogare. Almeno con se stesso. Solo così recupererà tutta e per intero quell'autorità efficiente auspicata dal Presidente Giorgio Napolitano.
Il modello sono i cantoni svizzeri.
Tante piccole entita' politiche facilmente governabili direttamente dai loro abitanti con una forma di democrazia diretta.
La via non e' il federalismo, ma la secessione.
Soprattutto per il bene del Sud.
@Massimo:
La forma potrà anche essere il modello svizzero.
La base deve essere una forma di democrazia diretta dove il cittadino si prende le sue responsabilità.
Il pretendere soluzioni rifiutando di assumersi i costi e/o sacrifici ad esse connesse (il famoso NIMBY statunitense), può portare al medesimo tipo di pantano anche nelle gestioni a scala ridotta.
Parlo per esperienza personale, per inciso.
Paul
Tratto da un mio articolo uscito su ItalianiEuropei l'anno scorso ed ovviamente totalmente ignorato.
"Considerate la condizione di un individuo: per valutare la magnitudine e la pericolosità d’alcuni temi tecnico-scientifici non abbiamo alcun organo sensoriale. Prendete il caso della radioattività o della diffusione di una sostanza tossica: nessuno “vede” la radioattività o avverte la presenza di una sostanza nociva nell’aria. Siamo incapaci di valutare individualmente la presenza e/o la natura del rischio.
Questo si traduce nella necessità per l’individuo di fare affidamento alla mediazione di qualcun altro ed al suo ambiente sociale in generale.
Essere “senseless” aumenta la dipendenza della persona verso gli altri per raccogliere informazioni e creare un’opinione a riguardo.
Per questa ragione abbiamo bisogno degli esperti, ma allo stesso tempo e’ necessario un rapporto di fiducia perché si possano accettare le informazioni che loro hanno.
Esiste, quindi, una fondamentale dimensione sociale nella valutazione del rischio che e’ stata trascurata per molto tempo. Se non ci si fida degli esperti, si rifiuteranno le loro indicazioni senza considerare il divario di conoscenza esistente.
La mancanza di fiducia degli esperti e’ spesso il frutto di una differente modalità di concepire la “certezza” di un valutazione. L’opinione pubblica esige valutazioni certe, ma nella comunità scientifica non e’ consuetudine esprimere certezze in termini assoluti (non senza ragioni ovviamente). E naturalmente esistono esperti di diversa opinione quando si valuta un rischio.
Un esempio di tale dinamica si e’ verificato di recente nel Regno Unito con il caso del vaccino MMR (contro il morbillo e la rosolia) sospettato di provocare una forma di autismo come effetto collaterale. La mancanza di una certezza assoluta da un punto di vista scientifico danneggio’ la fiducia nel vaccino e negli esperti (che erano divisi tra loro nel valutare l’entità del rischio) in un paese dove la fiducia negli esperti era stata duramente colpita dal caso BSE.
Inoltre, non meno rilevante, gli esperti sono spesso espressione di un attore politico-istituzionale e quindi sono valutati anche in base a questo aspetto.
In generale, una comunità può trovarsi a non accettare le valutazioni d’esperti per la mancanza di fiducia nelle istituzioni che essi rappresentano.
In questo caso, la frattura e’ di natura sociale, dove una comunità si sente priva di rappresentazione politica ed istituzionale e la conseguenza e’ il rigetto del ruolo degli esperti per via della mancanza di fiducia."
Per inciso, sono un psicologo sociale e faccio ricerca su questi temi.
G.V.: "un mio articolo uscito su ItalianiEuropei l'anno scorso ed ovviamente totalmente ignorato"
Embé, scusa, lo paghiamo tutti (profumatamente), ma lo leggono in tre ItalianiEuropei, pretendi anche che qualcuno faccia caso a un articolo, per quanto interessante? Scherzi a parte, se credi OMB è a tua disposizione (e ha anche più lettori della patinata rivista del partito senza elettori di D'Alema & C).
Nutrivo l'ingenua illusione che gente di governo potesse avere un interesse in questi temi..