Il caimano che c’è in ognuno di noi
di Diego Novelli
Il «Caimano», contrariamente a quanto pensano in molti, non è Silvio Berlusconi (dal film di Moretti). No. Il «Caimano» è uno strano e misterioso animale che alberga al fondo delle viscere di ogni essere umano, sempre proteso alla risalita, per condizionare i comportamenti e il modello di vita di chi lo ospita, con l’obiettivo preciso di determinarlo. È quello che gli studiosi di psicologia umana chiamano «l’istinto naturale». Come lo si domina e lo si governa? Se c’è istruzione, cultura, intelligenza, razionalità, spirito di solidarietà, senso della giustizia, altruismo, la «bestiaccia» viene soffocata, laggiù, dove sguazza abitualmente. Se invece prevalgono egoismo, individualismo, incultura, razzismo, becerismo il «Caimano» cresce, sino ad esplodere, magari nelle forme e nelle sembianze dell’onorevole Borghezio.
Ho pensato al ruolo del «Caimano» ascoltando i risultati elettorali relativi ad alcune realtà che per ragioni diverse ho avuto modo di conoscere più da vicino. Ferme restando valide molte delle analisi fatte in queste ore dai leader politici del centro-sinistra, mi permetto di domandare loro cosa intendono per «questione del nord». Ad esempio, due popolarissimi sindaci uno ad ovest e l’altro ad est del settentrione, hanno posto al centro delle critiche (e quindi delle ragioni della sconfitta del centro-sinistra) la questione fiscale e il federalismo. Va detto che in questi anni non li abbiamo visti molto impegnati a spendere una parola sulla vergognosa evasione delle tasse che si consuma nelle città da loro governate da parte di quelli che Fortebraccio chiamava «lor signori». Un tempo, non lontanissimo, quando era in vita «l’imposta di famiglia» la sinistra tentava almeno, come elemento di pressione, di fare i conti dell’ammontare di quanto, ad esempio, la famiglia Agnelli evadeva ogni anno di quella tassa a Torino e su quanto lucrava attraverso i frequenti condoni che amministrazioni comunali compiacenti concedevano, consentendo, tra l’altro, il pagamento a saldo con anni di ritardo, quando l’inflazione galoppava al 20%.
Sul caldeggiato federalismo fiscale va ricordato che questa rivendicazione fu avanzata per la prima volta in Piemonte dal MARP (Movimento Autonomia Regionale Piemontese) una sorta di poujadismo subalpino, inventato all’inizio degli anni Cinquanta da alcuni droghieri che maledivano Garibaldi, Cavour e l’unità nazionale e consideravano il sud Italia, una regione appartenente al continente africano. Dopo quasi sessant’anni ci risiamo, non per opera di un gruppo di trogloditi, ma di autorevoli esponenti del centro-sinistra che propongono che il prelievo fiscale effettuato al nord rimanga nelle regioni che vanno dal Piemonte al Veneto. Quale sia la cultura di governo e lo spirito di solidarietà nazionale contenute in questa rivendicazione è facilmente intuibile.
Ma veniamo al voto. Mi riferisco a due realtà che ho avuto occasione di conoscere, seppure fugacemente da vicino, nel corso della recente campagna elettorale. Verona e Alessandria, due comuni governati dal centro-sinistra passati alla destra. Il candidato della CDL (leghista doc) vincente nella città scaligera (una sorta di marines della riserva, sia nel linguaggio che nell’aspetto) si è dichiarato il figlio naturale di quel Gentilini (Treviso) che fece togliere le panchine dalle piazze per impedire agli immigrati di sostare, e che proponeva di usare, in certe occasioni, anche il lanciafiamme. L’energumeno, candidato della destra, nel corso della campagna elettorale ha deriso il sindaco uscente perché «non aveva le palle», ed era una «pasta frolla». Ad Alessandria, qualche giorno dopo, ho ascoltato la propaganda della destra concentrata su tre questioni considerate primarie: no alla pedonalizzazione del centro storico con il conseguente divieto alle automobili; no alla raccolta differenziata dei rifiuti; lotta senza quartiere agli stranieri e ai nomadi. Argomenti che hanno conquistato, evidentemente, la stragrande maggioranza dei votanti di questa città a me particolarmente cara per ragioni familiari. Perché è passato in questi ultimi vent’anni in tante regioni del nord questo «modello» politico? Non credo si possa liquidare la partita con la scusa del mancato federalismo: di che cosa? Dell’ignoranza e dell’egoismo più sfrenato?
No, è mancata una cultura, sono mancati gli anticorpi nei confronti del veleno emanato dal «Caimano». È mancata la funzione di una forza politico-culturale capace di svolgere un’azione educatrice, pedagogica, civile. Ogni giorno buona parte dei dirigenti della sinistra italiana mostrano al Paese come sanno consumare le loro energie per correggere, smentire, contraddire quello che hanno detto il giorno prima. Ogni riferimento, per stare alle ultime settimane, ai Dico, alle tossicodipendenze, al «referendum truffa sulla legge elettorale», non è puramente casuale. In genere, si raccoglie quello che si è seminato.
Modena ha il centro storico pedonale da circa trent'anni, mi pare. E' una piccola oasi in cui non si viene investiti da ottantenni distratti a cui la patente è stata rinnovata chissà come e nella quale si respira un po' più decentemente. Le persone girano a piedi e in bici. Certo, appena fuori dal centro troviamo migliaia di SUV, segno del malcostume diffuso. Dovremmo fare caso all'ambiente, praticare la raccolta differenziata, fare qualcosa per gli altri, acquistare auto più piccole per il problema dei parcheggi, usare il trasporto pubblico, punire il crimine di ogni nazionalità, dare fiducia e ascolto e magari anche diventare amici degli immigrati. Invece la gente ti vota Tosi al 70%... Paura? Rifugio nel passato? Ignoranza? Noto anche la psicosi riguardo al tema "sicurezza"; la gente pensa a costruire inferriate, installare allarmi, lamentarsi anche quando i reati calano... Una piccola Gaza alberga nel loro cervello, perennemente insidiato dal diverso.