Pd, avanti verso dove?
di Mauro Zani
La situazione è deprimente. Lo stato di fatto non consente di esprimersi in altro modo rispetto al percorso del Pd, specie dopo l’esito delle elezioni amministrative. Naturalmente l’accusa di disfattismo è sempre dietro l’angolo. Ma al punto in cui siamo molti capiscono che il re è nudo. Fare silenzio non conviene. A nessuno. C’è un sacco di gente che se ne sta andando. A casa. In altri tempi si sarebbe detto che occorre un colpo d’ala. Salvo che tra breve, nell’aria rarefatta di un’estate che si annuncia torrida, si alzeranno in volo i corvi a compiere le prime ricognizioni sull’esile corpo di un progetto mal concepito e peggio propagandato, tra molte ambiguità e ipocrisie, nella stagione dei congressi. Meglio quindi lasciar perdere le metafore pennute. L’idea di un ulteriore, estremo sforzo di volontà, la famosa accelerazione, capace di trascinare (ma chi e dove?) fuori dalle secche partecipative cui si è confinato il progetto del Pd, mi appare alquanto problematica.
Con i chiari di luna che caratterizzano il rapporto tra i cittadini e la classe politica, mi par difficile immaginare, ad esempio, che eleggendo direttamente, insieme all’assemblea costituente, anche un leader si possa risolvere lo stallo. Se non altro perché nella percezione ormai largamente diffusa tra gli elettori il leader è anzitutto colui che guida un governo o che comunque si appresta a guidarlo in tempi non storici. Non basta dunque eleggere un presidente, un segretario, un capo di partito, un coordinatore. Bisogna indicare, contemporaneamente, un candidato alle prossime elezioni. Si può fare, adesso, a poco tempo dall’inizio di una legislatura? Mi sembra una faccenda complicata.
Mi si può obiettare che è quasi ugualmente complicato il non farlo. Già. Infatti, nella cosiddetta terza mozione del congresso Ds, d’ora in poi (per quanto mi riguarda) democraticiesocialisti tutt’attaccato, si era pensato di raggiungere almeno la data delle elezioni europee prima di battezzare il nascituro in modo da avvicinarsi alla scadenza naturale delle elezioni in Italia e, incidentalmente ma non troppo, anche per far maturare un’idea originale, ma decente, per risolvere il rompicapo dell’appartenenza internazionale del nuovo partito. La verità è che l’alleanza tra gli ultras democratici che fino a qualche tempo fa urlavano dagli spalti e le squadre di partito (malandate) cui urgeva un nuovo campo da gioco ha stretto un nodo che è ben difficile sciogliere adesso.
Forse, anche dopo il segnale negativo che c’è giunto nelle elezioni amministrative, qualcosa si potrebbe correggere almeno nella qualità della «mappa stradale» del Pd. Non essendo incline a maramaldeggiare lascio da parte la vicenda del comitato promotore. E in ogni caso mi appaiono del tutto semplicistiche e fuorvianti le scorciatoie generazionali. Non che non esista anche un problema generazionale. C’è, ma è il sintomo di una difficoltà di tipo culturale, politico e progettuale che non si risolve con il vecchio e paternalistico adagio: avanti i giovani.
La domanda è: avanti verso dove? Non si costruisce un partito senz’anima. Senza un orizzonte ideale, un profilo politico e progettuale nitido rispetto ai problemi e alle attese di un paese, da troppo tempo in bilico. C’è un problema enorme d’identità non risolto nei congressi o nel manifesto del PD, aggravato un bel po’ dalla diaspora a sinistra di cui nessuno si occupa poiché il problema è solo quello di tirare avanti, accelerare, inseguiti dal rischio di un clamoroso fallimento. In breve. Un moderno partito di centrosinistra (ancora una volta tutt’attaccato) deve stagliare nettamente una sintesi forte sul piano valoriale e programmatico capace di unire, anche in senso demosocialista, invece che continuare a dividere. La grande e diffusa volontà unitaria, tipica dell’esperienza dell’Ulivo prima maniera, si è perduta nelle more della fusione in atto, senza comunione di spirito e di beni, tra Ds e Margherita.
Per questo l’attenzione dovrebbe oggi andare anche alla forma partito, oltre che alla sua identità. C’è un legame tra questi due aspetti. La definizione dell’identità non può che procedere attraverso un processo inclusivo che dura nel tempo, con molti e diversi apporti. Penso all’idea federalista. Non quella di Bossi. Quella del federalismo europeo che stabilisce un nesso stretto tra la cooperazione e la competizione tra diversi. Di fronte alle «promesse mancate della democrazia» è destinata a tornare d’attualità, anche oltre l’attuale stallo, l’ipotesi federalista tanto in Europa e nel mondo quanto in Italia. E proprio da una cultura politica federalista, volta a rifondare la democrazia, se ne dovrebbe trarre il progetto di un partito organizzato su base federale. L’esatto opposto di quanto si sta facendo. Nello stesso tempo, andrebbe recuperata l’intuizione che fu nostra agli inizi degli anni ’90, di un principio federativo o federativista.
La possibilità cioè di adesioni collettive per gruppi e associazioni le più varie, da introdurre nello statuto del Pd per farne un grande e plurale contenitore, una casa aperta come condizione necessaria per accogliere e dare agio ad una diversa e nuova concezione di militanza nella politica.
Tutto ciò può essere adeguatamente regolamentato senza far venir meno il principio di «una testa, un voto». Non si tratta di concedere rendite di posizione, ma di fare spazio a chi spazio non troverà in un partito concepito e organizzato in modo rigidamente centralistico. Per questa via si contribuisce anche al rinnovamento delle classi dirigenti. Vabbè.
Saranno ancora una volta parole al vento. Si sappia comunque che o il Pd avvia una piccola rivoluzione nel modo di far politica in Italia con l’intento di dar luogo davvero a quel meticciato di cui si parla, dal quale possa crescere (è un’ipotesi) la nuova sinistra del XXI secolo, o ci si condanna ad una rovinosa caduta i cui effetti si protrarranno molto lungo nel tempo.
"o il Pd avvia una piccola rivoluzione nel modo di far politica in Italia con l’intento di dar luogo davvero a quel meticciato di cui si parla, dal quale possa crescere (è un’ipotesi) la nuova sinistra del XXI secolo, o ci si condanna ad una rovinosa caduta i cui effetti si protrarranno molto lungo nel tempo"
il simpatico Mauro Zani ci prende per il culo, è evidente. Sa benissimo come funzionano i partiti. E sa benissimo che se ce n'è uno più "partito" degli altri è proprio il pd in gestazione. E poi, basta, cavolo! Ma quale sinistra del XXI secolo? Il pd con la sinistra non centra nulla. Il pd è il risultato di due eredità: la margherita porta i contenuti e il modo di comunicarli (democristiani entrambi), il pds la logica interna (lo stalinismo). Pensare che lo stalinismo democristiano possa essere "la sinistra del XXI secolo" è un insulto al vocabolario e alla nostra pazienza.
Si sappia comunque che o il Pd avvia una piccola rivoluzione nel modo di far politica in Italia con l’intento di dar luogo davvero a quel meticciato di cui si parla, dal quale possa crescere (è un’ipotesi) la nuova sinistra del XXI secolo, o ci si condanna...
La "piccola rivoluzione" è l'espressione massima del dissenso che il Sistema è disposto a tollerare. Accontentarsi di una rivoluzione piccola è la granzia che le cose rimarranno sempre così, temo.
Le Rivoluzioni (Solidarnosc docet....) furono Eventi di portata storica. Bisonga mettersi in gioco duramente. O c'è la volontà di farle o tanto vale continuare a giocare al gratta & vinci.
A fine anno sarà chiaro se, e chi, si potrà continuare a votare alle prossime elezioni... :|