Gli impuniti
di Marco Travaglio
A furia di parlare degli scandalosi costi della politica, si trascura l’aspetto forse più odioso della Casta degl’Intoccabili: il ritorno surrettizio dell’immunità parlamentare, abrogata nel ‘93 in un sussulto di dignità dal Parlamento degl’inquisiti. Caduta per le indagini, l’autorizzazione a procedere restò per arresti, intercettazioni e perquisizioni, che però può essere negata solo quand’è provato il «fumus persecutionis». Cioè in casi eccezionalissimi. Restò anche l’insindacabilità per le opinioni espresse e i voti dati «nell’esercizio delle funzioni parlamentari», molto ampliata nel 2003 con la legge Boato-Schifani: si stabilì pure che i giudici non possano, senza il permesso delle Camere, usare le intercettazioni quando un indagato intercettato parla con un parlamentare. Per usarle, a carico del cittadino comune come del parlamentare, occorre il permesso del Parlamento. Che lo nega sistematicamente. Così Montecitorio e Palazzo Madama son tornati a essere quello che erano prima di Tangentopoli: come le chiese e i conventi del Medioevo. Chi entra lì dentro, può aver fatto o fare quel che gli pare. Previti, interdetto in perpetuo dai pubblici uffici il 4 maggio 2006, è ancora deputato a nostre spese: l’altro giorno la giunta ha votato per cacciarlo, ma l’iter è ancora lungo e non si vede francamente perché, visto che la decisione l’ha già presa la Cassazione, inappellabile e immediatamente esecutiva.
In 61 anni di storia repubblicana si son potuti arrestare solo 4 deputati su 61 candidati alle manette: 2 richieste accolte per l’ex partigiano comunista Franco Moranino, condannato per 5 omicidi; una per il fascista Massimo Abbatangelo, coinvolto in storie di armi; una per il missino Sandro Saccucci, omicidio e cospirazione.
Nel primo anno della legislatura, tre richieste di arresto: tutte respinte coi voti determinanti di parte dell’Unione oltre a quelli, scontati, della Cdl. La prima riguardava Vittorio Adolfo (Udc), indagato per turbativa d’asta, corruzione e truffa aggravata. Respinta. La seconda era per l’ex governatore pugliese Raffaele Fitto (FI), proposto per gli arresti domiciliari per aver ricevuto 500 mila euro dalla famiglia Angelucci in cambio - secondo l’accusa - dell’appalto da 198 milioni per 11 residenze sanitarie assistite. Respinta con applausi bipartisan e abbracci festosi per l’onorevole miracolato. La terza investiva il forzista Giorgio Simeoni, ex vicepresidente della giunta Storace, eletto deputato, coinvolto nello scandalo della sanità del Lazio e accusato da “Lady Asl” (arrestata in quanto non parlamentare: non ancora). Secondo l’accusa, Simeoni «usava il suo ruolo per appropriarsi di denaro pubblico in modo reiterato» e «inquinava le prove». Nella giunta per le autorizzazioni a procedere l’Unione aveva annunciato il sì all’arresto, ma all’ultimo momento ha cambiato idea e ha votato no. Solo Vacca (Pdci), Palomba (Idv) e Samperi (Ulivo) han votato a favore. Arresto negato, Simeoni salvato.
Poi c’è l’abuso di insindacabilità. L’onorevole o il senatore diffamano o calunniano un privato cittadino; questo querela o chiede i danni; il Parlamento annulla il processo perché il suo membro agiva «nell’esercizio delle sue funzioni».
Qui, per fortuna, i giudici possono ricorrere alla Consulta, che sempre più spesso cancella il voto parlamentare, stabilisce che le Camere hanno abusato del proprio potere e sblocca il processo.
È accaduto per Previti che aveva diffamato l’Ariosto, per Iannuzzi e Sgarbi specializzati nel diffamare i pm di Milano e Palermo, per Bondi che se l’era presa con due ginecologi favorevoli alla fecondazione assistita, per la Maiolo che aveva insultato il giudice Almerighi, per Bossi che voleva «pulirsi il culo col Tricolore», per Boato che aveva lanciato accuse al gip Salvini. La Camera aveva salvato persino il ds Rocco Loreto, imputato non per le sue parole, ma per calunnia e violenza privata, cioè per aver convinto un imprenditore a calunniare un giudice.
Nelle ultime settimane il Parlamento ha negato - sempre coi voti della Cdl e di un bel pezzo di Unione - l’ok alle intercettazioni nei processi a carico di Altero Matteoli di An (imputato di favoreggiamento) e Michele Ranieli dell’Udc (concussione). E tra poco si vota sulle telefonate dei furbetti del quartierino e su quelle del duo Guzzanti-Scaramella. Gentilissimi politici preoccupati per la crisi della politica, ci fate sapere qualcosa?
Agelucci. Mani in pasta sia su Libero che sull'Unità. Il che spiega tutto.
sull'unità? non era il riformista l'altro giornale edito da angelucci?
Velardi vende il 51% de “Il Riformista” alla famiglia Angelucci (Tosinvest), già proprietaria di “Libero”- diretto da Vittorio Feltri - . Ricca plusvalenza per l’ex spin doctor di Massimo D’Alema che aveva investito 3,4 milioni di euro nel 2002 ed ora si trova fra le mani un’azienda valutata intorno ai 18 milioni di euro, ed un vero e proprio quotidiano con una foliazione più che raddoppiata ed 11 giornalisti al desk. Lo ha rivelato lo stesso Claudio Velardi a Carlo Marroni ex direttore di Radiocor ed ora giornalista del Sole 24 ORE con ottime entrature. Per tutto il 2006, il fondatore rimarrà presidente delle "Edizioni Riformiste" e garante della linea editoriale. Mentre le nuove risorse in cassa verranno utilizzate per potenziare l’attività di "Reti spa", società di comunicazione strategica e politica con mire all’estero. Non si escludono nuove iniziative editoriali. Intanto è già partito il toto direttori per non lasciare troppo solo l’attuale condirettore Stefano Cingolani.