Male non dire, paura non avere
di Marco Travaglio
A proposito delle telefonate del caso Antonveneta-Bnl, come sempre quando qualche politico finisce nelle intercettazioni, si dicono cose ben oltre i confini della realtà. Il fatto è noto: informata dalla Procura dell’esistenza di 73 chiamate registrate sulle utenze dei furbetti del quartierino che - nel pieno delle scalate bancarie - parlavano con politici (Fiorani con i forzisti Berlusconi,Comincioli, Grillo e Cicu, Consorte con i ds Fassino, D’Alema e Latorre), la gip Clementina Forleo ne ha ordinato la trascrizione a una società di consulenza. Manca quella di Berlusconi con Fiorani per un banale errore dei pm, la cui richiesta è finita nel fascicolo sbagliato. Ma per fortuna si sa che cosa contiene: il 12 luglio 2005 il Cavaliere è a cena con Gnutti, che a un certo punto gli passa al telefono Fiorani, poi questo racconta tutto a Gnutti in una successiva chiamata: «Ho sentito il Presidente, commosso della cosa (l’ok di Fazio alla scalata Antonveneta, ndr)». E Gnutti: «Gli ho detto che andremo avanti con Rcs e che ci deve dare una mano». Fiorani: «Digli di chiamare il Number One (Fazio, ndr)». Gnutti: «Gli ho detto che, se non ci dà una mano, la sinistra prende tutto». Fiorani: «Ne parleremo domani a voce... La sinistra ci ha appoggiato più del governatore».
I testi ufficiali, sotto forma di perizia, arriveranno alla gip lunedì e subito saranno a disposizione degli 84 indagati e dei loro avvocati. Questi ultimi hanno già potuto ascoltarle due mesi fa, ma senza prendere appunti né registrare, per evitare fughe di notizie o trascrizioni imprecise di frasi controverse. Poi la Forleo scremerà le telefonate utili al processo, prossimo all’udienza preliminare, e le inoltrerà al Parlamento: in base alla legge Boato del 2003, spetta alle Camere autorizzare l’uso di telefonate che coinvolgono indirettamente parlamentari. Senza permesso, esse non sono utilizzabili a carico né dei parlamentari, né dei semplici cittadini che parlano con quelli. Ma per il nostro codice, appena l’indagato o il suo avvocato viene a conoscere un atto d’indagine, l’atto smette di essere segreto. Dunque le telefonate non sono più segrete da mesi: da quando gli avvocati le hanno ascoltate. Idem per le trascrizioni, che lunedì saranno note a decine di difensori. In ogni caso, tra qualche giorno saranno in Parlamento. Certo, magistrati non possono certo distribuirle alla stampa, ma se un giornalista è bravo a procurarsele, le può raccontare ai lettori. Se le pubblica integralmente, incorre in un blando divieto di pubblicazione punito con multa fino a 250 euro (con un’oblazione di 126 euro non parte nemmeno il processo). Il bene tutelato dal segreto non è la privacy dell’intercettato, che soccombe dinanzi alle esigenze di giustizia: ma solo il buon esito dell’indagine. Se il magistrato teme che l’inchiesta subisca danni dalla pubblicazione dell’atto, lo segreta. Se non lo fa, il problema non esiste. Ora su vari giornali si legge che il gip Forleo avrebbe «deciso di desecretare le intercettazioni dei politici», seguendo un’«interpretazione» soggettiva, ovviamente sbagliata. Lo ripetono Cossiga e gli on. avv. Pecorella e Balducci. Peccato che la Forleo non abbia deciso né interpretato un bel nulla. È la legge che le impone di mettere le perizie a disposizione delle parti, perché organizzino la difesa in vista del processo. Secondo il sen. avv. Guido Calvi la Forleo «crea un precedente pericoloso con un artificio giuridico di dubbia fattura: desecreterà intercettazioni prive di valore penale prima che le Camere diano l’eventuale assenso». Ma qui c’è un equivoco colossale: le telefonate, per ora, sono prive di valore penale a carico dei politici, ma non a carico degli indagati (Consorte e Fiorani). Servono a dimostrare i presunti accordi illeciti (i «concerti» occulti) tra gli scalatori di banche. Carlo Giovanardi, financo presidente della giunta per le autorizzazioni, delira: «Le telefonate vanno distrutte o mandate a noi, non c’è la terza via della pubblicazione» (come se il gip facesse l’editore). Repubblica riporta un commento del sen. Nicola Latorre: «Perché devono uscire intercettazioni che i giudici non considerano utili all’inchiesta? A che cosa servono?». La risposta è semplice: se i giudici non le ritenessero utili, non le invierebbero alla Camera. Se le inviano, è perché le ritengono necessarie. Aggiunge Latorre: «Come mi difenderò? Vediamo prima cosa esce». Ma lui già lo sa quel che ha detto a Consorte: se, come afferma, non ha nulla da nascondere, perché non gioca d’anticipo e non lo fa sapere anche a noi? Stando così le cose, non si comprende la lettera inviata al Tribunale di Milano dai presidenti delle Camere per avere «ogni elemento utile a fugare le preoccupazioni emerse in Parlamento sull’applicazione della legge Boato» o quella di Mastella che invoca l’immunità parlamentare. Se i nostri politici conoscessero almeno le leggi che approvano, saprebbero che la Boato prevede l’autorizzazione delle Camere per l’utilizzo delle intercettazioni con i politici. Non un segreto speciale per i politici. La legge, purtroppo, è uguale per tutti.
certo, è un potere pubblico che decide delle intercettazioni, mica io e nemmeno un singolo politico perché è un politico. detto questo escludere la possibilità che abbiano corso in determinate situazioni è da scemi, soprattutto perché è come voler predire i comportamenti del predetto potere pubblico...
Carolina
Sono tutti d'accordo a difendersi, tutti pappa e ciccia da Bertinotti a Berlusconi passando per D'Alema, Giovanardi e Mastella, tutti che non vogliono si sappia dei loro affari, tutti al di sopra della legge.... ma che schifo, che vergogna, che paese... ma perchè non ce ne andiamo via tutti e lasciamo questa cloaca a loro....