I «sognatori» del Botteghino
di Maria Laura Rodotà
Max D'Alema voleva sognare. Piero Fassino voleva una banca. Cioè, voleva una banca per l'Unipol. Cioè, tutti volevano una banca, è un plausibile sogno riformista. Insomma, è plausibile che la volessero, a leggere le intercettazioni. Però avevano detto di non volerla. Però forse si sono affidati alle persone sbagliate; magari come la classe media che hanno cercato di rappresentare; che ai tempi del primo centrosinistra rischiava sempre di finire in mano a promotori finanziari improbabili. Però ora quella classe media vede traballare due convinzioni su cui contava. Vale a dire: (a) D'Alema è intelligentissimo (uno statista al di sopra delle beghe locali, con la fondazione Italianieuropei, i «bye-bye Condi», eccetera); e (b) Fassino è una persona seria (piemontese tutto d'un pezzo, gran lavoratore, ecc.). Ed è un traballare ingiusto. Max è intelligente, Piero è serio; solo, sempre forse, sono vittime del loro sentirsi bravi. Di quell'autocompiacersi troppo presto che ha sempre danneggiato il centrosinistra della seconda repubblica. Che ora porta, con le telefonate rese pubbliche, a un certo imbarazzo generale. Le telefonate, aldilà delle polemiche sulla pubblicazione, raccontano molte cose sui personaggi, Max, Piero, Nicola Latorre e Giovanni Consorte, poi.
Vieni avanti fassino
Il segretario Ds non è un raider, o uno squalo della Borsa, o una vecchia volpe del risiko bancario. Ascolta l'amministratore delegato di Unipol; fa domande, si fa spiegare. Quando deve parlare con l'ad della Bnl Luigi Abete, chiede lumi. Consorte è contento: «Ti dico quello che puoi dire e non dire». Fassino risponde: «Ecco, meglio così, dimmi tu». Alla fine, in tutto il pasticcio, è lui l'unico a intenerire; a creare identificazione nei normali senza competenze finanziarie. Lo si vede estrapolando, dai dialoghi, le sue frasi: «Totale? Come totale?». «Ho capito» (più volte). «Mm». «Ehhh». «E chi sono le quattro (banche, ndr)? ». «Lui esce? Come mai quell'altro entra?». «Quindi non la comprate voi» (la banca). «Bravo, bravo» (più volte). Consorte risponde con pazienza: «No, no. Loro comprano il 27 per cento». «No, le comprano quattro banche italiane». «No, se mi arrivano le azioni dal mercato loro rimangono alleati nostri industriali». «No, soprattutto noi dobbiamo avere il 51 per cento domani». Domani, perfetto, dice Fassino. Che però (da piemontese tutto d'un pezzo) nella famosa telefonata in cui dice «abbiamo una banca?», si corregge subito: «Siete padroni di una banca, io non c'entro niente». E si fa spiegare «cosa viene fuori? Fammi un po' il quadro, alla fine».
Voto finale — Debito formativo in economia bancaria (non è un male, alle volte).
Il conte Max
D'Alema è più sicuro di sé. Dalle telefonate emerge l'uomo di mondo: «Ho fatto un po' di chiacchierate anche milanesi... insomma alla fine se ce la fate poi vi rispetteranno», rincuora il presidente della holding che controlla Unipol, Pierluigi Stefanini. L'uomo che non si lascia turlupinare: «Fate bene i conti, non sbagliate i conti». Il politico esperto che ingiunge a Consorte di non parlare troppo al cellulare. Lo spericolato marinaio che poi parla di Unipol al telefono e gli dice «facci sognare». Il cultore di storia del movimento operaio che si compiace quando Consorte gli dice: «Se ce la facciamo abbiamo recuperato un pezzo di storia. Perché la Bnl era nata come banca del mondo cooperativo». E lui risponde: «E si chiama del lavoro, quindi, possiamo dimenticare?». Rilancio di Consorte: «Esatto, è uno sforzo mostruoso ma ne vale la pena a un anno dalle elezioni». Tripudio di Max: «Va bene, vai!».
Voto finale — Distinto (per la verve, perché ci tiene).
I compari
Nicola Latorre, senatore Ds pugliese, dalemiano fedelissimo, è un caso di vita che imita l'arte. Quando parla con Consorte e Ricucci, si diverte a imitare i dialoghi dei Sopranos: «Dove cacchio stai? A cena stai eh?». Consorte: «No, sto qua con i nostri amici banchieri a vedere come cazzo facciamo a rimediare ‘sti soldi». Latorre: «Ah! Te l'ho detto firmo io la fideiussione, non rompere eh». Consorte (realistico): «Ma tu non sei credibile coi soldi, non c'hai una lira! Tu porti solo debiti». All'affaticato Ricucci che a furia di lavoro teme di non riuscire a sposarsi raccomanda: «Per l'amor di Dio, prima la famiglia, poi tutto il resto». E lo sfotte perché causa contatti vari sta diventando un pericoloso sovversivo, rosso oltretutto. Ricucci cerca di invitarlo al matrimonio, dove «ci sono tutti».
Voto finale — Buono, interpretazione un po' caricaturale ma di qualità.
Consorte lo sconosciuto
Ma da conoscere. Una frase per tutte: «Oggi quando gli ho detto ai nostri amici quello che mi sono inventato giuro che mi hanno fatto l'applauso». Competente, furbo, disinvolto e con tempra da combattente. Certo non in grado di diventare, per l'ex popolo di sinistra, un'icona da zona grigia come il Primo Greganti di Tangentopoli, no. Consorte pare un'altra cosa; un protomartire della casta di centrosinistra e di governo, sciolta nel muoversi tra assessorati, consorzi, società, ecc. Ma priva dell'eroica ipocrisia del compagno G (nel senso che non sono eroici, e come ipocrisia astuta sono meglio certi esponenti della Cdl, di ascendenza dc o craxiana, o anche non).
Voto finale — Nonostante il talento, insufficiente causa furbettaggine. Come sanzione non penale, dovrà mettere un video di scuse su YouTube (forse).