Non possiamo non dubitare dello spirito religioso
Come allontanarsi da Damasco e non tornarvi mai più. Il programma non riguarda una linea di politica internazionale. Non si tratta della Siria in quanto paese sovrano, bensì della questione della fede e del suo posto in quota nella hit parade del sentimento di questo tempo.
In un contesto in cui la via di Damasco sembra bloccata dal traffico e dagli ingorghi che l’affollano, il testo di Chistopher Hitchens (Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa, Einaudi Stile libero 272 p., € 14,50) propone di invertire la marcia.
In generale il testo di Hitchens riprende alcuni temi cari allo scetticismo. Per esempio: attendibilità storiche del testo biblico, credibilità dei commenti tradizionali delle fonti (da Tommaso d’Aquino a Maimonide).
Tuttavia il nucleo essenziale del libro di Hitchens è costituito dalla forza del religioso e non la sua attendibilità logico-formale. E’ l’incapacità di rispondere alla violenza e alle minacce di chi non sopporta vignette perché considerate blasfeme; le pratiche riguardanti il corpo, il sesso, la circoncisione; la carica di violenza, di autoritarismo, di violazione del corpo degli altri predicata e praticata lungo il corpo complessivo dei testi sacri di tutte e tre le grandi fedi monoteistiche; è la convinzione che la morale e l’etica abbiano a che fare con la fede.
Tuttavia il nucleo essenziale del libro di Hitchens è costituito dalla forza del religioso e non la sua attendibilità logico-formale. E’ l’incapacità di rispondere alla violenza e alle minacce di chi non sopporta vignette perché considerate blasfeme; le pratiche riguardanti il corpo, il sesso, la circoncisione; la carica di violenza, di autoritarismo, di violazione del corpo degli altri predicata e praticata lungo il corpo complessivo dei testi sacri di tutte e tre le grandi fedi monoteistiche; è la convinzione che la morale e l’etica abbiano a che fare con la fede.
E’ dunque la mentalità religiosa, del vissuto religioso ciò di cui tratta Hitchens in questo suo libro. Una mentalità che non riguarda solo chi religioso è, ma anche il senso comune che al religioso è riconosciuto da chi credente non è. Una replica che è fondata sul rovesciamento del senso comune. E’ ciò che Hitchens fa, per esempio, riportando la risposta data a Dennis Prager (che gli chiede una risposta secca del tipo si/no), un conduttore televisivo di programmi religiosi, alla domanda se trovandosi in una città sconosciuta, e vedendo un folto gruppo di uomini che si avvicinava verso di lui, si sarebbe sentito più sicuro, sapendo che avevano appena terminato un incontro di preghiera. La sua risposta è pertinente, ma soprattutto, rovescia il senso della logica con cui l’attuale senso comune intorno al religioso. E infatti risponde: “Per restare alla lettera ‘B’ ho effettivamente fatto questa esperienza a Belfast, Beirut, Bombay, Belgrado, Betlemme e Baghdad. In ciascun caso posso dire senza titubanze – e posso fornire le mie ragioni – che mi sarei sentito immediatamente minacciato se avessi pensato che il gruppo che mi si avvicinava nel crepuscolo veniva da una cerimonia religiosa”.
In un saggio della tarda maturità, (per la precisione il 20 novembre 1942, ne "La critica") Croce pubblica Perché non possiamo non dirci "cristiani". In quella sede l'uomo Croce rivendica con passione l'efficacia insostituibile del sentimento cristiano per essere appunto uomini, nudi uomini legati da un patto di fratellanza ch'è la ragione stessa della loro individuale sopravvivenza e, insieme, della società in cui vivono non derelitti, ma felici come Dio ha voluto. In quel testo Croce avvertiva il "bisogno di dare risalto a ciò che più spicca nel cristianesimo e forma la sua prima e più diretta contribuzione alla storia del pensiero: l'etica non soltanto purificata da ogni utilitarismo, ma incentrata in una concezione divino-umana, che fa discendere Dio nell'uomo e l'uomo solleva fino a Dio".
E’ un sentimento che ha popolato a lungo l’immaginario e il pensiero di molti laici combattuti tra fede e ragione. L’invito di Hitchens, è in qualche modo diverso se non opposto. Ed è quello di rivendicare un pensiero, quello scettico, più che quello ateo, il senso del limite e della propria passione al sapere di fronte talora alla propria inadeguatezza, in ogni caso a non demordere, né a deflettere dalla propria condizione. Un invito, più di sessant’anni dopo Croce, a rivendicare il diritto di dirsi scozzesi (anzi ad affermare che essere moderni significa “non potere non dirsi scozzesi”), e a ritrovare quella logica che fu di Ferguson, di Berkeley, di Adam Smith e soprattutto di David Hume.
E’ dunque la mentalità religiosa, del vissuto religioso ciò di cui tratta Hitchens in questo suo libro. Una mentalità che non riguarda solo chi religioso è, ma anche il senso comune che al religioso è riconosciuto da chi credente non è. Una replica che è fondata sul rovesciamento del senso comune. E’ ciò che Hitchens fa, per esempio, riportando la risposta data a Dennis Prager (che gli chiede una risposta secca del tipo si/no), un conduttore televisivo di programmi religiosi, alla domanda se trovandosi in una città sconosciuta, e vedendo un folto gruppo di uomini che si avvicinava verso di lui, si sarebbe sentito più sicuro, sapendo che avevano appena terminato un incontro di preghiera. La sua risposta è pertinente, ma soprattutto, rovescia il senso della logica con cui l’attuale senso comune intorno al religioso. E infatti risponde: “Per restare alla lettera ‘B’ ho effettivamente fatto questa esperienza a Belfast, Beirut, Bombay, Belgrado, Betlemme e Baghdad. In ciascun caso posso dire senza titubanze – e posso fornire le mie ragioni – che mi sarei sentito immediatamente minacciato se avessi pensato che il gruppo che mi si avvicinava nel crepuscolo veniva da una cerimonia religiosa”.
In un saggio della tarda maturità, (per la precisione il 20 novembre 1942, ne "La critica") Croce pubblica Perché non possiamo non dirci "cristiani". In quella sede l'uomo Croce rivendica con passione l'efficacia insostituibile del sentimento cristiano per essere appunto uomini, nudi uomini legati da un patto di fratellanza ch'è la ragione stessa della loro individuale sopravvivenza e, insieme, della società in cui vivono non derelitti, ma felici come Dio ha voluto. In quel testo Croce avvertiva il "bisogno di dare risalto a ciò che più spicca nel cristianesimo e forma la sua prima e più diretta contribuzione alla storia del pensiero: l'etica non soltanto purificata da ogni utilitarismo, ma incentrata in una concezione divino-umana, che fa discendere Dio nell'uomo e l'uomo solleva fino a Dio".
E’ un sentimento che ha popolato a lungo l’immaginario e il pensiero di molti laici combattuti tra fede e ragione. L’invito di Hitchens, è in qualche modo diverso se non opposto. Ed è quello di rivendicare un pensiero, quello scettico, più che quello ateo, il senso del limite e della propria passione al sapere di fronte talora alla propria inadeguatezza, in ogni caso a non demordere, né a deflettere dalla propria condizione. Un invito, più di sessant’anni dopo Croce, a rivendicare il diritto di dirsi scozzesi (anzi ad affermare che essere moderni significa “non potere non dirsi scozzesi”), e a ritrovare quella logica che fu di Ferguson, di Berkeley, di Adam Smith e soprattutto di David Hume.
di
David Bidussa
21.06.07 08:47 - sezione
parole