La politica impotente sconfitta dal disagio
Opera gagia (dalla parola sinti “gagé” che significa “non sinti”) è un documentario prodotto dalla Provincia di Milano (un'operazione che ridimostra che un ente pubblico è in grado - se vuole - di produrre cinematografia d'inchiesta con lo scopo di fornire materiali di riflessione e discussione.
Al centro del documentario sta il lungo inverno di Opera tra il 19 dicembre 2006 e il 10 febbraio 2007, tra la discussione in Consiglio comunale per l'allestimento dl campo per 70 nomadi e alla fine l'abbandono dei rom, con una lettera agli abitanti di Opera in cui denunciano la loro paura.
Il film, diretto da Antonio Bocola e realizzato insieme a Alfredo D'Amato e Francesco Scarpelli ricostruisce l'intera vicenda attraverso immagini di repertorio, interviste ai protagonisti e riprese all'interno della comunità Rom e tra gli abitanti del paese: dal corteo spontaneo di protesta radunatosi sotto la sede del Comune, e concluso con l'incendio delle tende allestite dalla Protezione Civile (un atto su cui è aperta un'inchiesta ancora in corso), ai presidi permanenti all'ingresso del campo; dall'immediato ciclone mediatico, che divide gli abitanti di Opera e l'opinione pubblica tra chi è “contro gli zingari” e chi invoca i nuovi “imprenditori politici della paura”, fino alla partenza volontaria dei Rom, stanchi del clamore e dei continui insulti, annunciato cinquantadue giorni dopo con una lettera aperta a tutta la cittadinanza gagia, cioè non-zingara. Una partenza che molti vivono diversamente: gli organizzatori del Presidio come una loro vittoria; i volontari come una sconfitta; la Giunta come una gestione fallita di un'emergenza concordata con il Comune di Milano; Don Virginio Colmegna come il tentativo timido di intraprendere una strada diversa che porti allo smantellamento dei grandi campi alle periferie, che si preoccupi di favorire l'inserimento, e che è stato seriamente messo in discussione.
Fin qui si potrebbe dire sta il corpo della cronaca.
Ma il documentario non è solo la ricostruzione di una vicenda. E' anche l'indagine su un sentimento, al centro del quale stanno le paure, i disagi, le progettualità politiche. Stanno soprattutto le voci, più che i volti. Perché la maggior parte delle opinioni, - eccetto i singoli protagonisti e imprenditori politici che ci mettono in prima persona la faccia, sono espresse a obiettivo schermato: in breve noi sentiamo parole, ma non vediamo volti; prendiamo atto dello stato d'animo, ma questo non è individualizzato.
Un sentimento che non è equamente ripartito tra tutti i protagonisti della cronaca ma tra le voci che hanno preso corpo e funzione. La voce dei rom, infatti, non c'è se non in un rapido passaggio di un intervistato che racconta la sua impossibilità di avere un permesso di soggiorno; oppure quando cantano e recitano poesie raccontando la persecuzione nazista verso gli zingari (uno spettacolo che s'intuisce svolto in uno spazio con un pubblico, ma che non si intravede e non si sente, e dunque sembra una voce che parla “a nessuno”) oppure nella lettura della lettera inviata agli abitanti di Opera, in cui spiegano che, stanchi delle offese quotidiane ricevute da chi ha allestito il presidio di protesta, hanno deciso di abbandonare la tendopoli della protezione civile ad Opera. Le altre voci, che prevalgono, sono invece di chi era pro o contro l'accoglienza dei nomadi.
Il problema che pone il documentario è dunque quello della crescita di un sentimento che denuncia anche una inconsistenza delle soluzioni finora tentate, oltre lo sgombero e l'espulsione. La firma del patto di solidarietà e legalità il 27 dicembre che doveva legare quel campo temporaneo (da chiudere entro il 31 marzo 2007) a una responsabilità che vedeva coinvolti il gruppo dei 70 Rom, il Comune di Milano, il Comune di Opera, la Provincia di Milano, la Casa della Carità garantito dalla figura del Prefetto, era una soluzione, magari parziale, ma discendeva dal pendere atto che l' emergenza nomadi implica un progetto di inclusione e di requisiti richiesti e non significa solo politica dei sentimenti (la carità da una parte, la paura dall'altra). Soprattutto, richiede una politica di gestione delle grandi emergenze che oggi spesso le amministrazioni locali si trovano a fronteggiare da sole, senza il supporto di un progetto complessivo che sia in grado di governare gli effetti della globalizzazione e che dunque non può che coinvolgere il Governo e forse anche l'Europa.
Nei fatti quel documento non ha tenuto e ciò, prima di tutto, indica una sconfitta della politica (sconfitta che visti i sottoscrittori del patto è trasversale, a destra come a sinistra). I sentimenti hanno prevalso sulla politica, come in molte altre cose d'Italia, del resto. Un sentimento che si nutre di molte storie di disagio e che allo stesso temo si alimenta del senso di impotenza di una politica che non decide e che comunque anche quando decide non è in grado di applicare e far funzionare ciò che decide. Anche per questi fati di Opera costituiscono un pessimo precedente.
di
David Bidussa
fonte: il Riformista
26.06.07 17:16 - sezione
parole