La pornolocusta
Consentitemi una breve premessa entomologica con qualche spruzzata di nepotismo craxiano a favore di un carissimo vecchio amico, fotografo e giornalista che ha pubblicato anche su National Geographic e che gestisce uno
straordinario sito dedicato agli aracnidi e ad altre creature del genere amene e mostruose ad un tempo.
Qualche tempo fa egli decise di inserire un counter per le parole chiave che più spesso indicizzavano il suo sito sui motori di ricerca per ottimizzare e potenziare la visibilità del medesimo.
Rimase alquanto stupito quando si accorse che l'area maggiormente ciccata sul suo sito, con oltre il triplo di visite rispetto alle altre, era quella riguardante una feroce locusta carnivora, responsabile di scempi e devastazioni agricole di tutto rispetto.
Francesco rimase inizialmente assai stupito dell'improvviso interesse nei confronti di questo flagello dalle poderose mandibole.
Poi l'arcano si chiarì senza lasciare spazio possibile a dubbi: il nome scientifico del mostro devastatore è “Saga Pedo”.
Le parole chiave che così spesso riconducevano al suo sito erano “Pedo pictures”, con tutta probabilità digitate su Google da soggetti decisamente poco interessati all'entomologia quanto a fotografie “particolari”.
La cosa non mancò di suscitarci preoccupanti riflessioni inerenti agli usi e abusi di Internet, sulla facilità di accesso assoluta a contenuti che è eufemistico definire illegali, su quanto sia difficile, per non dire impossibile, contrastare efficacemente gli abusi del media telematico.
La prima riflessione riguarda l'utenza media: non credo che la maggior parte di quanti ricercano materiale pedopornografico sia composta da maniaci pervertiti.
Semplicemente immagino si tratti di persone “normali”, magari minorenni, che di fronte al bombardamento mediatico che riguarda certi tragici eventi sviluppano una curiosità amorale nei confronti di un determinato fenomeno criminale.
Un po' come quelli che ricercano foto di cadaveri o di incidenti mortali.
Internet è lì, aperta su tutto, senza freni o filtri di sorta (quanti genitori conoscete che utilizzano efficacemente e senza farsi far fessi password e blocchi per impedire ai figli di visionare contenuti pericolosi?), quindi perché non devo guardare? Che cosa dovrebbe impedirmelo? La morale? Quale? L'educazione ricevuta? Già meglio, ma a 13 o 14 anni è difficile essere persone già moralmente formate e graniticamente corrette.
La pornografia “standard” è diffusa e consumata a livelli preoccupanti già dagli infraquattordicenni, come riporta nel suo bellissimo libro “Ho 12 anni faccio la cubista, mi chiamano principessa”, Marida Lombardo Pijola, dalla lettura del quale si evince come il sesso, in ogni sua forma, sia diventato moneta di scambio o passatempo per vincere la noia…ma qua cominciamo a scadere nel moralismo e di deviare dal discorso principale, ovvero: cosa fare?
Inutile e potenzialmente pericoloso introdurre rigidi sistemi di censura, costituire una sorta di “panopticon” telematico che tutto vede, tutto controlla, tutto filtra.
A parte la difficoltà tecnica nel realizzare una mostruosità del genere, è indispensabile preservare l'anarchia che geneticamente caratterizza la rete e che ne fa un potente (il più potente?) strumento di informazione.
Eppure qualcosa contro “pedo-spammer” e “pedo-surfer” bisognerebbe fare.
Le pur necessarie operazioni di polizia non sono certamente sufficienti: ogni 100 arresti 1000 nuovi pedo-criminali reintegrano i ranghi di un esercito che è talmente cresciuto da volersi addirittura costituire in partito politico, come in Olanda, e a tentare di organizzare sfacciate convention.
Forse, riguardo a certi fenomeni aberranti, dovremmo accantonare per qualche istante quel relativismo di maniera che tanto ci piace, a tutti, sbandierare per sentirci moderni e accettati.
La pedopornografia su Internet, infatti, non è che la punta estrema dell'iceberg, a mio giudizio.
E'un significativo campanello d'allarme, certamente, che ci dovrebbe far notare come e quanto tanti aspetti della nostra società andrebbero pesantemente riveduti e corretti, dal sistema educativo ai reiterati tentativi legislativi di smantellare, in base a pregiudiziali ideologiche che tutti ci portiamo dentro, il tessuto sociale che, nel bene o nel male, ha retto fino ad ora.
E in questo discorso non centrano destra o sinistra, PACS o DICO: l'elogio dell'individualismo che spinge a disprezzare o a trattare con sufficienza la cosiddetta “comunità” è caratteristico di entrambi gli schieramenti, l'uno impregnato di mitizzazione dello yuppismo e del corporativismo aziendale, l'altro impregnato di un ormai stantio e inutile senso di superiorità culturale.
E forse è proprio nell'individualismo spinto che potremmo ricercare le prime cause del fenomeno: da un lato produce solitudine, senso di vuoto e abbandono, dall'altro, per quanti presentano un'attitudine più aggressiva, produce il superomismo, la coscienza di essere “dio di sé stesso”, tutti elementi che collidono per creare non tanto un sistema immorale, quanto caratterizzato da asepsi morale.
Indifferenza totale. Diritto di soddisfare ogni curiosità, ogni voglia, ogni desiderio.
Perché mai, in fondo, dovremmo rinunciare?
Stay Brutal!!
di
Bubbidolo