Povera vecchia scuola invasa da una brutta realtà
In un racconto di Rudyard Kipling - L’uomo col fucile – il cacciatore bianco si trova ad uccidere non perché lo voglia, ma perché obbligato dalla folla degli indigeni che si aspettano quel gesto. Egli è prigioniero del suo potere apparente, in realtà anziché governare la folla dei sudditi che lo circondano, ne è governato.
Qualcosa del genere sta accadendo nel sistema scolastico italiano: un sistema i cui malesseri sono stati spesso interpretati come “tecnici” a cui si doveva rispondere agendo sul piano degli strumenti.
In un primo momento sono stati gli insegnati.. Un mondo lavorativo che è passato dalla condizione di “pastori di un gregge”, di costruttori della nazione a categoria marginale, comunque a espressione di un servizio.
Come tutti i paesi arretrati, l’Italia nel lungo Novecento è passata velocemente da un paese in cui al centro stavano i maestri intesi come “missionari laici” in rappresentanza di uno Stato spesso lontano, comunque assente o di accompagnatori verso un’Italia finalmente paese industriale maturo (non era questo forse Alberto Manzi, la figura forse più famosa dell’Italia televisiva in bianco e nero, quello di “Non è mai troppo tardi”?) allo stadio in cui contano i fruitori di un prodotto.
Nel passaggio da paese produttore a paese consumatore l’attenzione è stata spostata dlla qualità del prodotto alla soddisfazione del cliente.
Poi, in seconda istanza, si è pensato che il tema fosse una scuola vecchia che insegnava cose “vecchie”. Si innestava così una seconda metamorfosi che riguarda non solo la qualità del personale o l’autorevolezza della figura, ma che si concentrava sui programmi e dunque leggeva la necessità di modernizzare la scuola entrando nelle discipline, riscrivendone gli statuti, ridisegnando i programmi...
Il tema, in questo caso, era la una chiarezza dei saperi e delle discipline, pensando di potere costruire una cultura che allo stesso tempo era sospesa tra il concetto di “utile” o di “utilizzabile” e quello di spendibile, di comunicabile. In fondo la vecchia immagine per cui la cultura serve se contribuisce a far vincere al telequiz – secondo unna equazione mai dichiarata esplicitamente, ma strutturalmente radicata nel senso comune collettivo. Diversamente è un “optional”. La cultura è in questo caso merce di scambio, riproduzione semplice. Non è una cassetta degli strumenti, per cui è importante avere padronanza dei tutte le potenzialità, ma è conoscenza a memoria. Non è una chiave inglese, estendibile e adattabile, ma un set di singoli pezzi monouso.
Infine, in terza istanza, è stato pensato che si trattava di modernizzare le strutture, e di dotarle di strumenti che fossero all’altezza dei tempi nuovi e dunque una serie di interventi che in gran parte toccavano l’edilizia scolastica, la modernizzazione delle reti informatiche, la disponibilità di strumenti per la ricerca.
Nemmeno questo ha funzionato perché le dotazioni scolastiche sono spesso state lo scarto di ciò che sul mercato non andava e dunque ammesso che gli intenti fossero buoni, l’immagine era quella di una struttura che utilizzava materiale di seconda scelta. Una lenta condizione di sfaldamento cui ha corrisposto anche l’abbandono pubblico nei confronti della scuola – quella pubblica essenzialmente.
In tutto questo, non è mai esistita l’educazione del consumatore. L’effetto è così il trionfo della goliardia, dove per sopravvivenza, per solitudine, e anche per disinteresse la riforma del “far finta” si è arenata. Perché comunque non si è data una formazione e un aggiornamento che non dipendesse principalmente dalla volontà del singolo; perché sia nella versione della pedagogia rilassata che in quella autoritaria la scuola da tempo è stata resa autonoma dalla realtà. Con il risultato che quest’ultima anziché fermarsi alle soglie dell’edificio, vi penetra in altro modo, incontrando, alternativamente: un contrasto impotente; un adeguamento per sopravvivenza; la condiscendenza per mantenere un minimo di autorità che non c’è più. Come il cacciatore bianco, appunto.
di
David Bidussa
fonte: Il Secolo XIX
30.07.07 17:17 - sezione
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