Presunzione di complotto
di Marco Travaglio
Sull'indagine che coinvolge
don Piero Gelmini per
presunti abusi sessuali ai danni
di alcuni ospiti della Comunità
Incontro non c'è niente da
dire, visto che nulla se ne sa (a
parte che c'è un'inchiesta da
oltre un anno, che la Procura
di Terni ha ricevuto varie
denunce, che per legge era
obbligata a verificarle, che ha
già chiesto e ottenuto una
proroga ritenendo - i PM e il
GIP - che le accuse non siano
campate per aria, e che nel
mese di maggio il sacerdote è
già stato interrogato nel più
assoluto riserbo). Non una riga
di verbale, un avviso di
garanzia, un'intercettazione,
un brandello di atto giudiziario
che lasci intuire gli indizi in
mano all'accusa è uscito dalla
Procura ed è finito sui giornali.
Ma i nostri politici, le cui
lingue non vanno mai in ferie,
han trovato ugualmente il
modo di diffondere fiumi di
parole senza letteralmente
sapere di che parlano.
La stampa segnala le
scombiccherate esternazioni di
Berlusconi (solidale con
chiunque, purché indagato),
Casini, Mantovano, Gasparri,
Villetti e financo del generale
Speciale, ultimo arruolato nella
compagnia di giro: tutti ignari
dell'oggetto del contendere,
dunque innocentisti a
prescindere. Tra i più lesti, il
solito ministro Mastella che,
distogliendo per un istante
l'attenzione dai rituali certami
ceppalonici, ha voluto
assicurare al popolo italiano
che lui è "vigile" per "evitare
cose fuorvianti e
strumentalizzazioni di
carattere anticlericale". Ora,
com'è noto, nel nostro
ordinamento il Guardasigilli
non ha alcun potere di
vigilanza sulle indagini. Può al
massimo esercitare l'azione
disciplinare, ma solo dopo che
un magistrato ha fatto
qualcosa di disciplinarmente
rilevante: non prima (l'azione
preventiva, alla Bush, non è
stata ancora introdotta).
E indagare su un prete o
interrogarlo non costituisce
infrazione disciplinare. Non
ancora, almeno. Dunque nulla
giustifica l'intervento del
ministro. Che, per il sol fatto di
aver parlato, ha già "stabilito
una disparità di trattamento
fra cittadini", come
giustamente osserva Borrelli.
Se un PM indaga su un quivis
de populo, nessun politico o
ministro si occupa della cosa
(com'è giusto che sia). Chi
invece conosce uno o più
politici, meglio se disseminati
in entrambi i poli, se viene
indagato ha almeno un quarto
grado di giudizio assicurato:
tutti i suoi amici potenti si
precipitano a esternare in sua
difesa e contro i PM che
l'hanno indagato, giornali e tv
rilanciano gli alti lai, così i
magistrati si sentono sotto
scopa e, se vogliono vivere in
pace, devono trattarlo in modo
diverso dal quivis de populo.
Cioè archiviare al più presto
con tante scuse. Se no il pianto
greco per il povero
perseguitato e l'assalto all'arma
bianca contro le toghe
aguzzine si ripeteranno tali e
quali in tutte le infinite fasi del
processo: eventuale arresto,
avviso di chiusura indagini,
richiesta di rinvio a giudizio,
rinvio a giudizio, primo grado,
appello, Cassazione. Si dirà: se
il magistrato applica la legge,
non ha nulla da temere. È vero
il contrario: in Italia è chi
applica che deve preoccuparsi.
L'altroieri era tutto un tuonare
con le solite parole d'ordine.
"Fuga di notizie" (inesistente:
l'indagine era nota persino al
prete indagato fin damaggio, e
da allora gli inquirenti non si
son fatti sfuggire una sillaba).
"Garantismo" (di chi vuole la
castrazione chimica dei
pedofili anonimi e difende
Mimun che manda in onda gli
interrogatori dei bambini di
Rignano, o Taormina che
chiede l'arresto delle maestre
perché non le difende lui).
"Gogna mediatica". Strana
gogna, visto che il reverendo
viene difeso a reti unificate e a
edicole quasi unificate. In
realtà l'unica gogna è quella
toccata ai PM, di cui peraltro
s'ignorano i nomi, le facce e le
voci; e ai presunti molestati,
subito dipinti da Gelmini &
fans come ricattatori
vendicativi bugiardi
delinquenti (come se
l'ipotetico movente della
vendetta potesse inficiare
l'eventuale attendibilità delle
accuse). Mentre il giornale
della Cei Avvenire raccomanda
"rispetto per tutti: per chi
indaga, per chi denuncia e per
chi è indagato", il sant'uomo
sparacchia dall'Aspromonte
sui "giudici mascalzoni",
sugli ebrei (complotto
"ebraico-radical chic", anzi
"massonico" in onore
dell'amico Silvio) e sugli
accusatori: "Uno è parente di
un boss, un altro l'ho cacciato
perché aveva rubato una
bottiglia di liquore". Severità
davvero encomiabile, se non
provenisse da un prete che in
passato, quando girava in
Jaguar, si fece 4 anni di galera
per truffa, assegni a vuoto e
bancarotta. E che vanta, nel
suo ampio collegio difensivo,
l'ex ministro De Lorenzo,
pronto a giurare sulla sua
innocenza. Il che, detto da un
condannato a 7 anni per
associazione a delinquere, è
quasi un'aggravante.
Che schifo,c'è solo da scappare via e non tornare mai più.
E allora in qualsiasi caso,sosteniamo sempre
i giudici.sempre sempre sempre.
no che una volta ci conviene e l'altra no.
Anche perché qui la merda c'é ed é infinita