Dietro la sfida al sindaco la corsa a fare il vice leader
di Massimo Franco
I l termine «guerra», per quanto suggestivo, suona esagerato. Riflette soprattutto lo stupore per una competizione che si riteneva già chiusa, e invece promette di inasprirsi. Ma era prevedibile che accadesse, quando alla candidatura di Walter Veltroni si sono aggiunte quelle del ministro Rosy Bindi e del sottosegretario a Palazzo Chigi, Enrico Letta. A ben guardare, però, lo scontro non è per la segreteria del Partito democratico: la gara principale sembra già decisa a favore del sindaco diessino di Roma. La polemica punta piuttosto a scardinare il patto Ds-Margherita alla base dell'operazione; e a riaprire la competizione per la vice-leadership.
Si tratta di uno scontro soprattutto fra ex popolari. L'idea che sia stato indicato non solo il numero uno, ma anche il tandem con Dario Franceschini, non è stata digerita da tutti: anche perché la figura del vice non è prevista. Ha alimentato, anche strumentalmente, quelle accuse di verticismo, di accordo preconfezionato e blindato, di strapotere degli apparati, sui quali da giorni stanno martellando gli altri concorrenti ed i prodiani. La denuncia dello «schema 12-8», secondo il quale a livello regionale avviene una spartizione dei posti all'Assemblea costituente fra Ds e Margherita imposta da Roma, punta a sparigliare i giochi. Ma la sensazione è che sarà uno spariglio parziale.
Nella polemica della Bindi e di Letta contro una corsa che sarebbe fatta su misura per il candidato unico e dominata dalle logiche correntizie, Veltroni è un bersaglio di rimbalzo: anche se gli attacchi possono indebolirlo, e infatti provocano la reazione dei suoi sostenitori. Ma è difficile ad un ministro e al braccio destro di Romano Prodi criticare le manovre altrui dicendosi fuori dai giochi di potere. Il contrasto è piuttosto di metodo. Rifiutando il patto che esprime il tandem Veltroni-Franceschini, i due ex ppi Bindi e Letta puntano ad un risultato: rimettere in discussione le intese di partito, e raccogliere una percentuale di consensi tale, da candidarli almeno al ruolo di numeri due.
«Qui nessuno è in guerra contro nessuno », assicura la Bindi. E Letta, inaugurando ieri la sede romana del proprio comitato, cita democristianamente San Paolo: «Gareggiate nello stimarvi a vicenda». È un tentativo di parare l'accusa di «autolesionismo » del Pd per gli attacchi a Veltroni. D'altronde, quando si sente dire da qualche prodiano che va evitato «il patto fra ex comunisti e partito dei contadini», l'allusione è all'accordo Ds- Margherita; e in particolare alla regìa di Massimo D'Alema e Piero Fassino, e del presidente del Senato, Franco Marini. Ma non significa che il premier si prepara ad attaccare Veltroni, anzi. Fra i due, il rapporto ufficiale è di stima e di non aggressione reciproca. E difficilmente cambierà prima che maturino ad ottobre i nuovi equilibri nel Pd. Solo allora si capirà se il rafforzamento estivo del governo Prodi nasce da una congiuntura temporanea ed effimera e dall'impotenza dei suoi avversari nell'Unione, o è qualcosa di più solido. L'ipotesi che il nuovo partito finirà per destabilizzare Palazzo Chigi non va esclusa. Resta da vedere quanto i veleni di questi giorni influenzeranno l'esito delle primarie. E fino a che punto costringeranno i grandi elettori di Veltroni a frenare e rinviare la resa dei conti con Prodi; oppure li indurranno ad accelerarla.
Ma lo scontro è anche sul merito. Bindi e Letta puntano a sparigliare igiochi