Peccato Capitale
Quando Romano Prodi chiede alla Chiesa italiana un maggiore impegno contro l’evasione fiscale, l’Avvenire reagisce sostenendo che i partiti hanno a loro volta delle colpe. Il giornale cattolico, nella sua argomentazione, dimentica importanti insegnamenti di Cristo, in particolare quello del fuscello (il costo della politica) e della trave (l’evasione fiscale). Tra l’altro, ci viene insegnato di non giudicare, e questo è vero soprattutto per chi non vuole essere giudicato.
Il problema dell’Avvenire è che effettivamente l’evasione fiscale non è considerata dalla Chiesa italiana un peccato così grave: se lo fosse, avremmo visto, negli anni, stuoli di evasori restituire il maltolto, come ogni confessore li avrebbe obbligati a fare, prima di assolvere; allo stesso modo, premier cattolici non avrebbero potuto promettere condoni. Invece, l’evasione fiscale è un peccato grave, oltre che un reato: per chi, come talvolta l’Avvenire e tanti cattolici tradizionalisti, ritiene che un peccato dovrebbe essere un reato (aborto, preservativo, fecondazione assistita, ecc.), svalutare l’evasione fiscale come peccato, implica svalutarla anche come reato. Ora, la Chiesa ha tutto il diritto di insegnare alle coscienze, ma deve rassegnarsi ad essere criticata quando l’insegnamento è insufficiente. Qui è in causa un comportamento generale, dietro il quale si nascondono prevaricazione, fuga dalle responsabilità, ipocrita critica allo Stato, finanziamenti illeciti, e soprattutto, grande ingiustizia tra chi paga e chi non paga le tasse. Se non pagare le tasse è una lieve scorrettezza per la Chiesa, è possibile che i cattolici non si rendano conto delle conseguenze dell’evasione; e al consigliere tributario che suggerisce scappatoie illegali, la coscienza gli rimorderà solo poco. Più in generale, se è moralmente consentito chiudere un occhio sulle tasse, come si impedisce che si chiuda un occhio su molte altre illegalità? Perfino Valentino Rossi è più corretto dell’Avvenire, quando afferma che lo Stato fa il suo dovere nel contestargli l’evasione, e non si nasconde dietro i fallimenti dello Stato.
Vorrei ricordare all’Avvenire una delle conseguenze dell’evasione fiscale. Se i cittadini non pagano le tasse, diventa difficile assicurare a tutti un servizio sanitario universale, che non guardi al reddito, alla razza, alle convinzioni di ciascuno. In effetti, negli ultimi decenni, l’evasione fiscale ha determinato un’erosione nell’universalità del diritto alla salute. Molti, nella destra italiana, che tanto piace all’Avvenire, sono in realtà favorevoli ad una sanità pagata direttamente dai malati, accompagnata da un sussidio per i poveri; non più un servizio nazionale, ma una beneficenza pubblica, che ridurrebbe fortemente il deficit pubblico. In questo modo si ridurrebbero le tasse, i ricchi pagherebbero per la loro salute, i poveri verrebbero aiutati da un’assistenza pubblica che inciderebbe poco sulle finanze dello Stato. Sembra l’uovo di Colombo. Ora, che questo sistema non funzioni affatto, è ampiamente dimostrato negli Usa: i ricchi sono pochi, la classe media non è mai tanto ricca da potersi permettere di sopportare il costo della malattia, la beneficenza pubblica (compresa la filantropia privata) acuisce lo stigma dei poveri, perché li classifica come tali e li fa oggetto di disprezzo da parte di chi paga le tasse. Tuttavia, il punto che vorrei fare è che, anche se il nostro paese dovesse avviarsi su questa pessima strada, i ricchi continuerebbero a non pagare le tasse, dato che l’evasione fiscale sarebbe sempre considerata una leggera scorrettezza dalla Chiesa, e perciò non contribuirebbero a finanziare nemmeno la salute per i poveri.
Papa Giovanni Paolo II ha fatto molte autocritiche: l’Avvenire ci pensi.
di
Paolo Leon