L'uomo senza partito
Davide Corritore, vicepresidente del consiglio comunale di Milano eletto nella Lista Ferrante, dopo essere stato candidato indipendente alle primarie, è uno degli attori protagonisti nella vicenda del Pd milanese e lombardo. Non ha alle spalle un partito, né controlla una rete di militanti o tesserati ma, dopo una carriera in Deutsche Bank e un’esperienza nello staff di Massimo D’Alema a Palazzo Chigi, la vita politica è la sua unica occupazione. In attesa dell’autunno delle decisioni, ci racconta il suo punto di vista sul cammino del partito democratico in Lombardia e Milano.
Lei è senza partito, senza “macchina”. Di fronte allo stabile unanimismo attorno alla candidatura di Walter Veltroni, non ha ripensamenti rispetto alla sua scelta a favore di Enrico Letta?
Assolutamente nessuno, visto che l’unico criterio della mia scelta sono stati i contenuti. Ad oggi, Enrico Letta è l’unico che si ricordi per un ambito di contenuti quali la natalità, la mobilità sociale e logistica, e il tema della libertà d’accesso. Non solo non ho ripensamenti, quindi, ma anche alla luce di questo primo mese di campagna elettorale credo proprio di aver fatto la scelta giusta.
Intende dire che il profilo contenutistico di Veltroni non è decollato?
È il Pd e il dibattito sui contenuti ad esso inerente che non è decollato tra le persone, nella società. Paghiamo tempi e modi inadeguati, decisamente troppo rapidi, e una gran fretta figlia della necessità di tamponare le debolezze del governo. Così ci siamo trovati con una grande innovazione - una campagna elettorale in pieno agosto - e col rischio concreto che a perderci sia la partecipazione. Così avremo una campagna elettorale tutta giocata sui media, e le feste dell’Unità come unico luogo di dibattito, mentre sarebbe vitale un coinvolgimento esteso anche a chi non è iscritto ai partiti promotori. Il resto lo fa la modalità elettorale, con l’assurdo cortocircuito di un centrosinistra che a parole si oppone alla legge Calderoli e alle sue liste bloccate, e poi però importa il modello per fare il nuovo partito democratico.
Come si trova da outsider in mezzo ai professionisti della politica?
A volte non è semplice, ma io più che outsider mi sento espressione di un’istanza diffusa da parte di molti che non vengono dalle gerarchie di partito: dare impegno e tempo alla politica. Qui, peraltro, sta il grande rebus del Pd. Perché, da un lato, fondendo due partiti si dimezzano le poltrone ma, dall’altro, se il partito realizzerà una semplice spartizione sarà fallimento. La sfida per il successo del nuovo progetto politico è attrarre, oltre queste tentazioni di spartizione, nuove persone che portino contenuti di know how e conoscenza professionale e globale decisamente assenti nel dibattito.
Bello. Ma come si fa a crederci?
E’ evidente che siamo di fronte ad una fase in cui si fa forte l’autodifesa da parte degli organismi esistenti. Io confido sul fatto che il pd potrebbe vedere un coinvolgimento, soprattutto al nord, di non iscritte due o tre volte più numerosi rispetto ai tesserati ereditati. Considerando il tasso di diffidenza diffusa rispetto alla politica, chi deciderà di esserci, di votare, sarà fortemente motivato. Invece, se ci troveremo a contare i rapporti di forza tra i vari gruppi dirigenti, ci sentiremo dire: “Partito democratico? No grazie”.
Sul tavolo, l’annoso tema del Nord ostile.
La prima riflessione dev’essere una riflessione autocritica da parte dei dirigenti del nord. Quali sono i progetti che il centrosinistra del nord, dal nord, ha messo sul tavolo nazionale in questi anni? Se il nord deve rivendicare uno spazio per innovare i contenuti, e proporsi come luogo d’incubazione di novità sostanziali per tutto il paese. Bisogna evitare però una rivendicazione d’identità o autonomia di tipo paraleghista. In questo senso, evocare le possibilità di alleanze variabili, come spesso si sente fare da queste parti, sembra voler tracciare la via più breve per tornare al potere piuttosto che segnare una novità nella sostanza dei progetti politici.
Non è che invece è l’alleanza con la sinistra radicale è “il” problema, uno dei segni di mancata interpretazione o conoscenza del nord e di Milano, del suo tessuto socioeconomico, delle sue istanze?
Si può parlare di alleanze solo se si parla prima di contenuti. Mi piace citare il progetto di Milano wireless (che punta a rendere Milano una città all’avanguardia nel campo dell’utilizzo delle reti internet wireless al mondo, ndr), cui ho lavorato in prima persona. Sulla base del progetto, abbiamo costruito un’alleanza politica che ha portato centrodestra e centrosinistra a votare insieme.
Troppo facile... Pensiamo, invece, alle discussioni su riforma del welfare e delle pensioni, percepiti come decisivi da queste parti.
Dobbiamo scegliere se guardare a chi non ha ancora tutele, o solo alle tutele già acquisite. Più che tra sinistra e destra, c’è la distinzione tra tradizione e innovazione, ed è anche per questo che ho scelto Letta. Pensiamo alla Germania, a noi vicina territorialmente e socialmente, dove si è deciso adesso che i pubblici dipendenti vanno in pensione a 67 anni. Ecco, essere sintonici col Nord significa capire che a sessant’anni non è obbligatorio andare in pensione, e che da queste parti le aspirazioni diffuse, le sensibilità portanti sono ben altre.
Si discetta molto, negli ultimi tempi, della perdita di centralità da parte di Milano anche nel processo costituente del Pd.
Noi abbiamo sfidato la Moratti senza un progetto sulla mobilità, sul traffico, sulla visione di città. Corriamo sempre il rischio di arrivare all’ultimo momento, sperando di cavalcare il candidato che si spera il vincente. Difficile rivendicare centralità su queste premesse. Per questo, si deve pensare fin da ora al lungo periodo e ai contenuti. Faccio un esempio: credo sia possibile progettare un dispositivo che rilevi l’effettivo inquinamento di ogni singola macchina, rivoluzionando la questione della pollution charge su nuove basi tecniche. Perché il centrosinistra non si dà da fare per spingere su progetti, per incalzare chi governa? L’ambiente è un terreno di grande sfida, per domani. Per questo vorrei che sulla via del Pd si parlasse di competenze e know how, non solo di ds e margherita.
Un messaggio per i big del centrosinistra lombardo?
I candidati al partito, a tutti i livelli, pensino al partito, non alla candidatura agl’incarichi istituzionali che dovrebbe discenderne, dopo. Il pd non è un comitato elettorale. Per esempio su Milano: il pd deve lavorare sulla piattaforma per vincere e governare, il nome deve arrivare dopo, alla fine.
Al candidato unico per il pd lombardo Maurizio Martina cosa dice?
Al rientro dalle vacanze, sciolga un doppio dubbio: nascono anche in Lombardia i ticket, con la riproposizione delle anime nazionali, avallando la costruzione di correnti per di più nominali? Se anime e correnti devono esserci, che almeno siano figlie del dibattito, e non lo precedano. Troverei che l’applicazione della maggioranza veltroniana su tutti i livelli territoriali sarebbe la negazione del modello federale. E un’altra cosa, infine: Martina ha chiesto, a sostegno della sua candidatura, la firma a cento persone. Ci sono molti, come me, che diedero il proprio appoggio a lui ma non a Veltroni. Come mai di questa lista non si parla più? Forse perché si vuole che la sua candidatura dia diretta espressione del ticket Veltroni-Franceschini?
di
Jacopo Tondelli
fonte: il Riformista