Abdullah, integralista pentito?
di Giancesare Flesca
Anche se il leader storico del laicismo turco Ataturk si agiterà nella tomba e se,come lui, la casta militare mostrerà un qualche mal di pancia, il nuovo presidente turco, Abdullah Gul, 57 anni, tutto sommato appare quasi un buon diavolo. Ha avuto, questo è vero, un passato di radicalismo islamico, ma se ne è discostato per sempre. Il periodo più lungo della sua vita è stato quello di dirigente della «Banca islamica di sviluppo» con sede a Jedda,capitale dell'Arabia Saudita, dove lui ha abitato dal 1983 al 1991. Intrecciando,si dice ottimi rapporti con politici e banchieri locali, che gli sono tornati utili negli ultimi anni, quando è riuscito a convogliare miliardi di dollari nel suo Paese,senza altra garanzia che un islamismo moderato come il suo e quello del premier Tayyip Erdogan, suo mentore politico. Un supporter di data alquanto recente, diventato compagno di partito solo nel 2002, quando accettò di fare il premier giusto il tempo necessario a Erdogan per rimuovere alcuni ostacoli formali alla propria elezione, per poi tornare in pochi mesi primo ministro a tutti gli effetti, nominandolo suo vice e ministro degli Esteri con la benedizione dell'AKP, il partito islamico i moderato cui entrambi aderiscono. Grato del favore, Erdogan lo riscattò da un decennio all'ombra dell'integralismo...Infatti , dopo un master negli Usa e il soggiorno in Arabia, nel 1991 è tornato in patria giusto in tempo per aderire al movimento «Opinione nazionale», gruppo capeggiato da un islamico puro e duro, Nemettin Erbacan. Per la bellezza di 11 anni è stato membro del Refach e del Fazilet entrambi disciolti per attività antilaiche. Lungo tutto questo periodo è stato ministro e portavoce del governo, dal quale però ha dissentito in due casi. Prima quando il premier Erdacan volle andare assolutamente a trovare Gheddafi il quale lo trattò,come lui aveva previsto, letteralmente a pesci in faccia. E poi quando una deputata del suo stesso partito volle presentarsi in Parlamento col «turban», il chador delle fedeli turche, messo al bando negli uffici pubblici dal bisnonno Ataturk e dai suoi eredi più zelanti. Succede così una strana cosa. Mentre in tutto il mondo islamico girare col capo scoperto rappresenta per le donne una sfida al potere musulmano, a Istanbul e dintorni, come scrive il premio Nobel turco Orhan Pamuk, il turban rappresenta invece una sorta di sfida contro il potere costituito,di cui fa parte la casta militare. Non a caso prima di ieri, in Turchia ci si domandava innanzitutto se la nuova first lady, Hayunnisa indosserà in pubblico il velo islamico, come hanno fatto lei e la moglie di Erdogan dal palco che ha celebrato la recente vittoria dell'AKP, quella che ha aperto a Gul dopo molti travagli le porte del palazzo di Cankaia. Impazziti come tabloid inglesi, i giornali locali trascurano il dibattito politico e si interrogano invece sul copricapo che la first lady indosserà:: una creazione autarchica,o un'imitazione rigorosa di Sophia Loren? Mentre questo tipo di pettegolezzo continuerà fino al giorno dell'insediamento giova forse tentare di capire a che tipo di islamismo sia approdato oggi il nuovo capo dello Stato. Egli fa sapere di seguire un'interpretazione «storicizzata e privatistica dell'Islam», che fa risalire al poeta e filosofo Necip Fasil Kisakurek. All'apparenza dunque sia lui, sia il premier Erdogan, che conta molto più di lui, sono interlocutori accettabili per l'Ue. Naturalmente, a condizione di chiudere gli occhi sulla violazione dei diritti umani, che in Turchia significa in primo luogo repressione militare dei Curdi. Argomento sul quale Gul in 30 anni di carriera politica, non ha mai detto una parola.
Io personalmente gli auguro buon lavoro. Spero che sappiano mantenere la distinzione fra stato laico e convinzioni religiose. Mi auguro che la Turchia sappia risolvere i problemi da voi ricordati.