Il prezzo inversamente proporzionale alla fede nella parola scritta
“Il libro di testo è lo strumento didattico ancora oggi più utilizzato mediante il quale gli studenti realizzano il loro percorso di conoscenza e di apprendimento. Esso rappresenta il principale luogo di incontro tra le competenze del docente e le aspettative dello studente, il canale preferenziale su cui si attiva la comunicazione didattica. Il libro di testo si rivela uno strumento prezioso al servizio della flessibilità nell’organizzazione dei percorsi didattici introdotta dalla scuola dell’autonomia: esso deve essere adattabile alle diverse esigenze, integrato e arricchito da altri testi e pubblicazioni, nonché da strumenti didattici alternativi”.
È il paragrafo di introduzione dedicato ai libri di testo che si trova sulle pagine web del Ministero della pubblica istruzione (l’intero testo è
vedibile qui) e scorrendolo compresi tutti gli allegati (decreti, circolari, dedicate tra l’altro anche ai criteri per fissare il tetto massimo dei costi) misuriamo una delle tante distanze tra l’Italia legale (quella definita dalle parole delle leggi) e quella reale (definita dalle pratiche quotidiane).
Intorno ai motivi che fanno lievitare i costi (a cominciare dalla quantità di testi distribuiti in omaggio) del loro essere inutili o al minimo superflui (una buona percentuale della dotazione libraria rimaste non consultata) si è discusso molto in questi giorni.
Questa discussione non è marginale e costituisce la spia di due dati strutturali per il nostro Paese. Da un parte determina un sentimento collettivo, dall’altra indica una domanda insoddisfatta di sapere.
Il sentimento collettivo. E’ la sensazione della inutilità della carta stampata, anche da parte di coloro che dovrebbero iniziare ad avere un rapporto di fiducia con la cultura scritta o con le pagine dei libri che sta al centro di questo sentimento. Si potrebbe dire che per questa via si ripete all’infinito il paradigma di Azzeccagarbugli e quello di Don Ferrante una mix dove la carta stampata, la parola scritta, la cultura, più generalmente sono contemporaneamente gli strumenti per la creatività dell’inganno (per cui la cultura è solo stratagemma, ed è il paradigma azzeccagarbugli) oppure inutile perché lo studio non fa conoscere il reale ma ne impedisce la riconoscibilità (è il paradigma Don Ferrante, lo studioso che scruta gli astri per sapere il futuro, e ne deduce l’inesistenza della peste , salvo morirne nello stesso momento in cui ne parla).
Domanda insoddisfatta di sapere. Il libro di testo nella scuola italiana ha una storia interessante che andrebbe ricostruita e raccontata una storia che ha il suo nodo strutturale nel momento in cui la scuola è concepita come il luogo di costruzione del cittadino di domani e che, dunque, va dotato di un testo che consenta di dare forma alla sua mentalità complessiva. E’ una vicenda che nasce con il Testo Unico di Stato il primo vero libro e spesso nell’Italia di allora – unico – della famiglia italiana in epoca fascista si prolunga con i sussidiari e poi con i libri costruiti come manuali, letture critiche, unità didattiche, percorsi di ricerca. In questa logica è il libro a formare l’utente e non a costituire l’opportunità di lavoro tra docente e studente o gruppo di studenti. Un testo cui tradizionalmente è riversato l’investimento di sapere, e dunque da sapere, e non da utilizzare come fonte di notizie o di indicazioni da cui muovere per intraprendere un viaggio in altri testi e dunque apprendendo così non solo a trovare i dati, a confrontarli, ma valutarli e dunque a “pesarli”. Certo con una guida – perché questo è anche il ruolo dell’insegnante, ma non offrendo un’immagine sacra del testo, cui, visto l’esito (tra non uso o uso acritico) alla lunga corrisponde una disaffezione alla parola scritta appunto come produzione dell’inganno o dell’inutile. Con il risultato un po’ paradossale, che si caricano zainetti di libri per potenziali lettori che col tempo matureranno con molta probabilità la diffidenza verso tutto ciò che è scritto.
di
David Bidussa
fonte: Il Secolo XIX
30.08.07 08:38 - sezione
parole