Armeni 1915, Olocausto dimenticato
di Robert Fisk/ Erevan
Le fotografie raccontano l’orrore del primo Olocausto del XX secolo. Mostrano un popolo spaventato in movimento: sono uomini, donne e bambini, alcuni trasportati da animali, altri a piedi, che camminano in aperta campagna, nei pressi della città di Erzerum. È il 1915 e questi sono i primi passi della loro marcia verso la morte. Sappiamo che nessuno degli armeni che lasciarono Erzerum - nella regione che costituisce attualmente la Turchia nord- orientale - sopravvisse. La maggior parte degli uomini furono passati per le armi, mentre i bambini morirono di fame o di malattia.
Le donne più giovani vennero quasi tutte stuprate, le più anziane furono picchiate a morte, e malati e bambini furono lasciati a morire lungo la strada.
Le immagini ci ricordano in modo drammatico uno degli eventi più terribili dei nostri tempi. La scarsa qualità delle foto è un innegabile marchio di autenticità. Le fotografie provengono dagli archivi della Deutsche Bank, la banca tedesca che nel 1915 finanziava la manutenzione e l’ampliamento delle ferrovie turche. Una fotografia mostra decine di armeni destinati a morte sicura, tra cui alcuni bambini, stipati in carri bestiame per essere deportati. I turchi riempivano ogni vagone con 90 armeni, la stessa media che raggiunsero i nazisti nei loro trasporti verso i campi di sterminio dell’Europa orientale durante l’Olocausto ebraico.
Hayk Demoyan, direttore del Museo del genocidio armeno, un edificio in pietra grigia che si trova tra le colline che si ergono a pochi passi da Erevan, la capitale dell’odierna Armenia, fissa le fotografie sullo schermo del computer in silenzio, lo sguardo cupo. Demoyan insegna storia turca moderna all’università ed è uno dei più dinamici studiosi del genocidio armeno all’interno degli attuali confini dell’Armenia, ciò che rimase del Paese dopo la carneficina turca e che dovette subire altri 70 anni di terrore sotto il regime dell’Unione Sovietica. «Stiamo scoprendo delle altre immagini. I tedeschi scattarono delle fotografie che riuscirono a sopravvivere persino alla Seconda guerra mondiale. Oggi desideriamo che il nostro museo sia un luogo della memoria collettiva, un luogo in cui mantenere il ricordo del trauma. Il nostro museo è sia per i turchi che per gli armeni. Questa storia riguarda anche i turchi».
La storia del primo Olocausto del secolo scorso - fu Winston Churchill che utilizzò questo termine per riferirsi al genocidio armeno anni prima dello sterminio di sei milioni di ebrei da parte dei tedeschi - la conosciamo bene, nonostante l’attuale Turchia si rifiuti di riconoscere i fatti. E i paragoni con la persecuzione degli ebrei da parte della Germani nazista non sono oziosi. Il regno del terrore che la Turchia istituì contro il popolo armeno fu un tentativo di distruzione della razza armena. Anche se i Turchi parlarono pubblicamente della necessità di «trasferire» la loro popolazione armena - come del resto fecero più tardi i tedeschi parlando degli ebrei dell’Europa - le reali intenzioni del Comitato Unione e Progresso di Enver Pasha a Costantinopoli erano piuttosto chiare. Il 15 settembre 1915, ad esempio (e abbiamo una copia di questo documento) Talaat Pasha, ministro degli Interni turco, mandò un cablogramma al suo prefetto di Aleppo in cui gli forniva istruzioni su ciò che doveva fare delle decine di migliaia di armeni che abitavano nella sua città. «Lei è già stato informato del fatto che il governo... ha deciso di distruggere completamente tutte le persone indicate che vivono in Turchia... La loro esistenza deve essere terminata, per quanto tragiche possano essere le misure da prendere, e non si dovrà avere alcun riguardo per l’età o il sesso, né farsi cogliere da alcuno scrupolo di coscienza». Queste parole sono praticamente identiche a quelle che utilizzò Himmler quando si rivolse ai suoi assassini delle SS nel 1941.
Taner Akcam, uno studioso turco illustre ed estremamente coraggioso che ha visitato il museo di Erevan, ha utilizzato documenti turco-ottomani originali per verificare l’atto di genocidio. L’uomo, attualmente sotto duro attacco da parte del suo governo per questa scelta, ha scoperto negli archivi turchi che singoli ufficiali turchi spesso scrissero dei «doppioni» dei telegrammi in cui ordinavano le uccisioni di massa, ossia altri telegrammi, spediti esattamente nello stesso momento, in cui chiedevano ai loro sottoposti di garantire adeguata protezione e cibo a sufficienza per gli armeni durante il loro «trasferimento». Qualcosa di stranamente simile avvenne con la burocrazia della Germania tedesca, quando gli ufficiali spedivano centinaia di migliaia di ebrei nelle camere a gas rassicurando al contempo i funzionari della Croce Rossa internazionale sul fatto che fossero adeguatamente nutriti e curati.
Il tentativo della Turchia ottomana di sterminare un’intera razza cristiana in Medio Oriente - gli armeni, discendenti dagli abitanti dell’antica Urartu, costituirono la prima nazione cristiana quando il loro re Drtad si convertì dal paganesimo nel 301 DC - è una storia di orrore senza soluzione di continuità compiuto da poliziotti e soldati turchi, oltre che dalle tribù curde.
Nel 1915, la Turchia sostenne che la sua popolazione armena appoggiava i nemici cristiani della Turchia in Gran Bretagna, Francia e Russia. Diversi storici - tra cui Churchill, che fu responsabile della fallimentare impresa di Gallipoli - si sono chiesti se la vittoria che i turchi ottennero in quell’occasione non abbia offerto loro la scusa per attaccare gli armeni cristiani dell’Asia Minore, un popolo di sangue misto persiano, romano e bizantino, con quella che Churchill definì «furia spietata». Gli studiosi armeni hanno compilato una mappa della persecuzione e della deportazione del loro popolo, un documento dettagliato quanto le mappe dell’Europa che mostrano le linee ferroviarie che portavano ad Auschwitz e Treblinka; gli armeni di Erzerum, ad esempio, furono spediti nella loro marcia verso la morte prima a Terjan e poi a Erzinjan e nella provincia di Sivas. Gli uomini vennero trucidati da plotoni di esecuzione oppure massacrati a colpi d’ascia fuori dai villaggi, e le donne e i bambini vennero poi costretti a inoltrarsi nel deserto dove morirono di sete o di malattia, di fatica o per gli strupri di gruppo.
In una fossa comune che scoprii personalmente su una collina di Hurgada nell’attuale Siria, trovai migliaia di scheletri, soprattutto di giovani: i loro denti erano perfetti. Incontrai persino una donna armena centenaria che era sfuggita al massacro e che mi mostrò la collina.
Hayk Demoyan è seduto nel suo ufficio del museo - l’aria condizionata è accesa e il suo computer ronza gentilmente sulla scrivania - e mi parla della necessità di tramandare questa immensa sofferenza. «Lo vedi nelle parole che scrivono tutti i sopravvissuti», mi dice. «Quando i visitatori vengono qui dalla diaspora - dall’America e dall’Europa, dal Libano e dalla Siria, persone i cui genitori o nonni perirono nel nostro genocidio - il nostro personale sente il dolore di questa gente. Vedono le persone sconvolte, i loro pianti e alcuni che perdono la testa dopo aver visto la mostra. Può essere molto difficile per noi, dal punto di vista psicologico. La posizione dell’attuale governo turco (che nega il genocidio) dimostra che sono orgogliosi di ciò che fecero i loro antenati. Stanno dicendo che sono contenti di ciò che fecero gli ottomani. Eppure oggi ci accorgiamo che molti luoghi nel mondo nascondono vere e proprie miniere, materiali d’archivio che ci aiutano a proseguire il nostro lavoro - anche qui a Erevan. Ogni giorno scopriamo nuove fotografie e nuovi documenti."
Le immagini che Demoyan ci consegna furono scattate nel 1915 da dipendenti della Deutsche Bank che le spedirono alla sede centrale di Berlino come prova del fatto che i turchi stavano massacrando la loro popolazione armena. Si trovano nell’Istituto storico della Deutsche Bank - Sezione orientale.
Un ingegnere tedesco a Kharput spedì una fotografia divenuta celebre in cui si vedevano degli uomini armeni che venivano condotti alla loro esecuzione da ufficiali della polizia turca armati. I funzionari della banca erano sconvolti per il fatto che i turchi ottomani stessero di fatto utilizzando il denaro tedesco per spedire gli armeni in treno verso la morte. Il nuovo sistema di trasporti era stato concepito per scopi militari, non per il genocidio.
Anche i soldati tedeschi spediti in Turchia per riorganizzare l’esercito ottomano furono testimoni di queste atrocità. Armin Wegner, un tenente tedesco di grande coraggio al seguito del feldmaresciallo von der Goltz, scattò una serie di fotografie di donne e bambini armeni, morti o morenti. Altri ufficiali tedeschi osservarono il genocidio con un interesse più sinistro. Alcuni di questi uomini, come scoprì lo studioso armeno Vahakn Dadrian, si ripresentarono 26 anni più tardi nei panni di ufficiali superiori che condussero lo sterminio degli ebrei nella Russia sotto occupazione tedesca.
I computer hanno trasformato il lavoro di ricerca di istituzioni come il museo di Erevan. Le magre borse di studio sono state sostituite da una ricca miniera di informazioni che Demoyan ha intenzione di pubblicare nelle riviste specializzate. «Sappiamo che alcuni tedeschi che si trovavano in Armenia nel 1915 iniziarono a vendere immagini del genocidio per le collezioni personali quando fecero ritorno a casa... In Russia, un uomo di San Pietroburgo ci informò di aver visto memorie manoscritte del 1940 in cui lo scrittore riferiva di fotografie russe di corpi armeni a Van e Marash nel 1915 e 1916». Le truppe zariste russe fecero ingresso nella città orientale turca di Van e liberarono per breve tempo gli abitanti armeni condannati a sicura morte. Poi i russi si ritirarono dopo aver scattato, a quanto pare, le immagini che ritraevano i morti armeni nei villaggi circostanti.
Lo stesso Stalin fece la sua parte per cancellare la memoria dei massacri. Il partito armeno Tashnag, tanto importante nella politica armena dell’impero ottomano, fu messo al bando dai sovietici. «Negli anni Trenta», racconta Demoyan, «tutti distrussero le memorie scritte a mano del genocidio, le fotografie, i contratti di compravendita dei terreni - per paura che venissero scambiati dalla polizia segreta sovietica con materiale del Tashnag». Scuote la testa pensando a questa perdita incommensurabile. «Ma oggi scopriamo nuovo materiale in Francia e nuove immagini scattate dagli operatori umanitari del tempo. Sappiamo che c’erano due o tre documentari del 1915, uno dei quali realizzato da un leader curdo che desiderava mostrare in che modo i turchi «trattassero» gli armeni. C’è un’enorme quantità di nuovo materiale in Norvegia sulle deportazioni a Mush, raccolto da un missionario norvegese che si trovava sul posto nel 1915».
Esiste anche l’esigenza di archiviare le memorie e i libri che furono pubblicati subito dopo il genocidio ma che vennero poi messi da parte o dimenticati nei decenni seguenti. Nel 1929, ad esempio, venne pubblicato un libro, con una piccola tiratura, intitolato "Dai Dardanelli alla Palestina" scritto dal capitano Sarkis Torossian. L’autore era un ufficiale altamente decorato dell’esercito turco che combatté con distinzione e fu ferito a Gallipoli. Il militare fu poi impegnato nei combattimenti contro gli Alleati in Palestina ma scoprì con orrore l’esistenza di migliaia di profughi armeni che morivano nei deserti della Siria settentrionale. In brani di grande dolore, incontra la sorella ridotta in stracci e ci racconta la morte della fidanzata Jemileh tra le sue braccia. "Sollevai Jemileh tra le braccia, e il dolore e il terrore che vedevo nel suo sguardo si sciolsero fino a quando i suoi occhi tornarono a brillare nuovamente come stelle, le stelle di una notte orientale... e così si spense, come un sogno che ci lascia". Torossian cambiò fronte, combatté con gli arabi e incontrò persino per breve tempo Lawrence d’Arabia, che non gli fece una grande impressione.
«Il giorno dopo aver fatto ingresso a Damasco, il resto dell’esercito arabo entrò con armi e bagagli e dietro di loro su un cammello venne quello che chiamavano... l’ufficiale pagatore. Venni a sapere che l’uomo sul cammello era il capitano Lawrence... Per quel che ne so, il capitano Lawrence non fece nulla per fomentare la rivoluzione araba, e non ebbe alcuna parte nella tattica militare degli arabi. Quando sentii parlare di lui la prima volta non era null’altro che un ufficiale pagatore. E così era per il principe emiro Abdulah (sic), fratello di re Feisal, che conoscevo. Non scrivo per denigrarlo. Scrivo in qualità di combattente. C’è chi combatte e chi paga». Il rancore, a quanto pare, era profondo. Torossian fece nuovamente ritorno nella Turchia ottomana in qualità di ufficiale armeno con l’esercito francese di occupazione nella regione della Cilicia. Ma i guerriglieri kemalisti attaccarono i francesi i quali, a quanto sospettava Torossian, diedero armi e munizioni ai turchi affinché lasciassero che l’esercito francese abbandonasse in sicurezza la Cilicia. Tradito, Torossian si rifugiò presso alcuni parenti in America.
A tal proposito consiglio a tutti di leggere il monumentale I QUARANTA GIORNI DEL MUSSA DAGH di Franz Werfel, scrittore austriaco che trattò in maniera esauriente l'argomento del terrificante genocidio.
Dopo 92 anni ci arriva anche l'Unità!
MAH! cosa si può dire??? meglio tardi che mai....
consiglio anche "la fiaba dell'ultimo pensiero" di hilsenrat
L'eccidio degli armeni da parte dei turchi e dei curdi è un dato storico assodato e inappuntabile, l'unica cosa ancora poco chiara è di fatto il numero di morti armeni, ma l'ordine di grandezza di un milione o più è anch'esso opportuno. Premettendo ciò, perchè nessuno non si è mai sognato di parlare degli oltre 300.000 morti turchi ammazzati altrettanto barbaramente dagli armeni per esempio nel 1914, a guerra appena iniziata, quando i partigiani armeni che giustamente lottavano per l'indipendenza ammazzavano uomini, donne, vecchi e bambini, civili e soldati, indifferentemente, a colpi di spada? Se per principio difendiamo il fatto che un morto per odio razziale è sempre un martire dell'innata crudeltà umana, perchè allora per una volta non riusciamo a dire, oltre che poveri armeni e poveri curdi, anche poveri turchi? O siamo così biecamente ingegneri che ci ergiamo a difendere un popolo solo quando dei suoi membri ne vengono uccisi almeno un milione?
> O siamo così biecamente ingegneri che ci ergiamo a difendere un popolo solo quando dei suoi membri ne vengono uccisi almeno un milione?
Senza polemica, ma questo discorso mi ricorda un po' quello dei partigiani che uccidevano i poveri ragazzi di Salò. Come diceva qualcuno, "è vero che i morti sono tutti uguali, ma i vivi no".
la guerra porta sempre orrore e morte, non conta che si uccida a sciabolate o a cannonate, e non conta che sia una guerra per conquistare la libertà o "spazio vitale", la guerra porta sempre la morte di tanta troppa gente, giovani vecchi, uomini e donne. L'orrore non guarda in faccia nessuno, ne l'aggressore ne l'aggredito. Ma quando è provata la volontà di cancellare l'esistenza di una intera nazione, fisicamente, beh allora è una mancanza di inteligenza volere paragonare questo ai ragazzi partigiani che combattevano contro i ragazzi di Salò. Loro stavano dalla parte di chi ci aveva gettati nell'inferno della guerra dopo vent'anni di regime, che poteva essere buono o meno, non conta. conta che erano soldati che si combattevano. Loro facevano lo stesso con i partigiani. Ma la deportazione e l'uccisione di una intera genia è un'altra cosa!
caro domenico mi fai ridere!
i morti non sono tutti uguali:il movente è importante! gli armeni difendevano la loro patria millenaria...i turchi volevano rubarsi uno stato non loro;cosi' come si sono rubati costantinopoli(oggi Istanbul),o la parte nord di cipro (negli anni 70), o l'attuale Albania.
se un popolo che per struttura sociale è piu' prolifico e numeroso(poligamia), e questo popolo immigra massicciamente nel tuo territorio e lo occupa fisicamente cosicchè il popolo autoctono diventa minoranza,(come avviene oggi in Tibet a causa della Cina) l'unica soluzione, PER NON SOCCOMBERE, è distruggerlo fisicamente! altre soluzioni non esistono purtoppo! questa è la verità! e la stOria degli indiani d'America ce lo insegna: un continente rubatogli dall' immigrazione europea! se fossero riusciti a sterminare i nostri avi si sarebbero salvati! io affermo la superiorità morale del difensore, dell' autoctono contro l'immigrato,quando il prezzo da pagare è la perdita della propria patria, e questo anche se entrambi combattono allo stesso modo e con gli stessi scopi, e l' efferatezza arriva al genocidio.