Il distacco
di Furio Colombo
Dove tace la sinistra, parla un grande banchiere. Ecco che cosa ha detto al «New York Times» del 31 agosto: «L’Italia, come la Germania, il Giappone, la Francia, è uno dei Paesi più pessimisti. Un sondaggio recente rivela che l’80 per cento dei cittadini di quei Paesi si aspetta un futuro peggiore. Sembra evidente che il problema sociale più grave con cui questi Paesi si misurano è la combinazione del capitalismo di mercato con la globalizzazione. Ciò rende la ricchezza di alcuni sempre più grande mentre la gran parte dei cittadini vive in un mare di ansia per tre grandi gruppi di problemi: la certezza, o qualche forma di continuità del posto di lavoro, la scuola dei figli, l’inclusione di un numero crescente di immigrati». Il banchiere si chiama Felix Rohatyn, è stato il numero uno della Banca d’affari Lazard Frères di New York, è stato ambasciatore americano in Francia, è stato l’uomo che - negli anni Settanta - ha salvato New York dalla bancarotta con grande e celebrata perizia finanziaria e senza lacrime e sangue. Ovvero senza licenziamenti di massa. In altre parole un liberal, della cui competenza e capacità di vedere le cose in grande avrà bisogno il prossimo presidente degli Stati Uniti, se sarà un democratico. La lezione di Rohatyn, come quella di altri grandi economisti che il mondo delle notizie italiano continua a ignorare, è: non perdetevi nei dettagli. Succedono cose grosse nel mondo: cercate di vederle, per governare.
La vicenda dei lavavetri in Italia è umiliante per la sua piccolezza. Diciamo che saranno alcune centinaia in tutto il Paese di cui, come constata ogni giorno ciascuno di noi, la stragrande maggioranza rassegnati e gentili, pronti a rinunciare. Eppure la tv di Stato ci mostra l’assessore Cioni mentre, come un governatore inglese dell’altro secolo, assegna benevolmente un posto fisso a un anziano marocchino che ripetutamente ringrazia la telecamera. Alcuni sindaci di sinistra coraggiosamente si schierano a testuggine per salvare le loro città e il Paese dal nuovo pericolo.
Nessuno gli racconta che anche adesso, mentre Cioni tuona a Firenze per la salvezza dell’Italia spalleggiato dai più autorevoli editorialisti italiani, anche adesso, a New York, all’angolo di Canal Street con West Broadway, non si passa al semaforo senza una piccola transazione con il lavavetri del posto che, in quella città, è povero come in Italia, ma americano. E tutto ciò dopo che New York è stata governata dal famoso sindaco repubblicano Giuliani detto “tolleranza zero”. E tutto ciò sotto il governo del sindaco repubblicano Bloomberg che di recente, senza imbarazzo ha detto a una tv newyorchese: «Dopotutto si tratta di una piccola impresa».
Ma, da noi, il Corriere della sera dedica un vibrato editoriale al «vuoto valoriale» (è scritto proprio così, «vuoto valoriale») di chi, nella stampa italiana, (leggi: «l’Unità», «il Manifesto») cinico o cieco o sovietico, non vede il problema dei lavavetri e non crede che, nel Paese della ‘ndrangheta, la legalità cominci con tre mesi di carcere, comminati da un assessore che sembra uscito da un film di Vanzina, e comunque decide al di fuori della Costituzione.
Forse esistono degli occhiali speciali per ingigantire problemi così piccoli, non solo al punto da istituire una giustizia sommaria dei semafori, ma anche per dividere l’Italia in due, fra il «pieno valoriale» dell’assessore Cioni e il «vuoto valoriale» di chi si stupisce e vorrebbe spiegazioni.
Evidentemente alcuni di noi, sbagliando, si ostinano a non rendersi conto che la vera illegalità, una enormità che avrebbe dovuto far trasalire un Paese civile da destra a sinistra, sono le parole di un capo partito potente (perché ex ministro e perché sostenuto in tanti modi da Berlusconi) quando annuncia: «Contro le tasse prenderemo il fucile».
Ma che cosa volete che sia la minaccia delle armi contro le leggi del suo Paese da parte di un leader politico che ha governato e potrebbe ancora governare, a confronto con la spugna dei lavavetri? Il «pieno valoriale» del vice direttore Pier Luigi Battista e dei suoi sindaci (non uno dei quali si è accorto di Bossi) sta nel gettarsi, a proprio rischio e pericolo, contro le spugne. Bossi avrà anche straparlato, ma dalla sua parte c’è Berlusconi e non si conoscono protagonisti della vita pubblica italiana che vogliamo esporsi al rischio di indispettirlo. Berlusconi non sarà più presidente del Consiglio, ma certo resta uno di buona memoria per il futuro. E anche nel presente è un editore in grado, quando vuole, di bloccare carriere o anche solo notizie su chi non gli piace.
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Come vedete, con tutta questa inesistente questione, che ha occupato pagine doppie e quadruple di grandi quotidiani (e ringraziate il cielo che non c’era «Porta a Porta», altrimenti anche il criminologo sarebbe apparso accanto a un compatto schieramento politico destra-sinistra) siamo caduti in una piccolissima fenditura della realtà.
Sulla scena grande, quella occupata dagli adulti, Montezemolo ha annunciato la «emergenza fiscale». Si tratta di una denuncia grave e drammatica e - invece di ridicolizzarla - vorremmo avere l’autorità di chiedere quando, come, perché, rispetto a quale altro Paese si è creata questa “emergenza” che - tutto fa pensare nelle parole di Montezemolo - è unica al mondo. Montezemolo conosce bene, come lo conosco io, Felix Rohatyn. Sa che nel testo del «New York Times» che ho appena citato, uno degli uomini di finanza più influenti del mondo, esaminando il contesto della vita economica internazionale, dice: «L’Europa avrebbe difficoltà ad accettare un capitalismo senza vincoli come in America, perché il nostro sistema è troppo speculativo e permette una accumulazione senza limiti della ricchezza, un tipo di accumulazione rispetto a cui l’Europa prova disagio. L’improvvisa accumulazione di ricchezza degli “hedge funds” in così poco tempo, in così poche mani, è vista da molti con disgusto».
E poi racconta ai suoi lettori americani che in certi Paesi europei «un capitalismo più frenato (vuol dire più tassato, ndr) permette servizi e interventi sociali che negli Stati Uniti non esistono». Forse il presidente della Confindustria ricorderà che Felix Rohatyn è stato in prima fila fra gli economisti americani che più si sono battuti contro il famoso drastico taglio delle tasse ai ricchi che è stato il fiore all’occhiello del governo Bush. Forse si ricorderà che Felix Rohatyn è stato fra coloro che hanno denunciato il terribile destino toccato alla città di New Orleans (tutta la parte povera di quella città è stata distrutta dall’uragano Kathrina e non è stata mai ricostruita) per mancanza di fondi federali, a causa del famoso taglio.
Vorrei fare amichevolmente una proposta a Montezemolo. Propongo di invitare il banchiere americano (che, come è noto, conosce bene il nostro Paese) a partecipare con noi a un incontro con una sola domanda: «Ma in Italia, rispetto a tutte le altre grandi democrazie industriali, esiste davvero una emergenza fiscale, tenuto conto di tutti gli aspetti in cui, nelle varie legislazioni, si compone un bilancio, si deducono spese, si ottengono sostegni e vantaggi, si cancellano debiti e si ottengono remissioni e sconti»?
C’è qualcosa che non va, o almeno qualcosa da chiarire se, il 29 agosto, il presidente della Confindustria, nella sua lettera a piena pagina al «Corriere della Sera», chiede una tregua fiscale, e il giorno dopo, sullo stesso giornale, a partire da pag. 1, l’economista di sinistra Nicola Rossi interviene con un articolo dal titolo: «La tregua fiscale? Non basta». È come se fosse esplosa in tutte le teste, in tutte le coscienze, in tutto il Paese, dal grande imprenditore all’ultimo contribuente in busta paga, la persuasione che le tasse sono solo una rapina per finanziare la politica. Gira e rigira, anche le nobili e grandi denunce sui privilegi di chi legifera e di chi governa sono andate a finire nel pentolone cannibalesco della Lega. Ed è anche per questo, forse, che Valentino Rossi, con i suoi 126 milioni di euro sottratti - a quanto ci dicono - al fisco, appare meno ma molto meno deplorevole del barbiere di Montecitorio.
È come se ci si fosse dimenticati che, nonostante problemi gravi e disservizi ingiustificabili, le tasse tengono in vita in Italia una vasta rete di sostegno pubblico che gli americani in visita nel nostro Paese non considerano né inutili né spregevoli, dagli ospedali ai treni. In America molti ospedali sono chiusi ai poveri, i treni quasi non esistono, e molti giornali americani stanno denunciando proprio in questi giorni ritardi e confusione sempre più grave per gli aerei di linea a causa della grande quantità di jet privati che in molti aeroporti americani hanno la precedenza.
Leggete, infatti, i due editoriali del «New York Times» del 30 agosto. Nel primo si analizza un dato di cui si vanta la Casa Bianca: le famiglie con il reddito più basso, nel 2006 hanno guadagnato qualche centinaio di dollari in più all’anno. La ragione di questo piccolo apparente incremento, spiega il quotidiano, è che molti anziani tornano a fare lavori occasionali perché i più giovani della famiglia guadagnano troppo poco e non ce la fanno.
Il secondo editoriale lancia un nuovo allarme sulle cure mediche negli Stati Uniti. Sempre più aziende hanno tagliato l’assistenza sanitaria. Sempre meno persone sono in grado di pagare i 1000 dollari mensili dell’assicurazione privata. Coloro che non hanno alcuna assistenza medica - nel Paese più ricco del mondo - erano 36 milioni di uomini, donne, bambini negli anni Novanta (quando Clinton ha tentato invano di far approvare il suo progetto «comunista» di assistenza per tutti). Erano diventati 44 milioni nel 2005. Hanno superato i 46 milioni nel 2006 (ultimo dato). Il giornale ricorda le due cause: il drastico taglio di tasse a favore dei redditi alti (che, tra l’altro, ha diminuito gli incentivi alle donazioni a favore degli ospedali, donazioni che, negli Usa, sono esenti dalle tasse) e la totale flessibilità concessa alle imprese, che possono assumere anche a tempo indeterminato senza alcuna assicurazione. Pesa anche la abolizione di fondi federali, statali e cittadini per le strutture ospedaliere.
Il danno sociale è immenso. E questo afferma il «New York Times» come drammatico avvertimento al prossimo presidente degli Stati Uniti. Il Paese che forma più ricchezza nelle mani di alcuni, crea, allo stesso tempo, più rischio di malattia (poiché manca la prevenzione e ogni rete di protezione) per tutti gli altri cittadini. Quanto il rischio sia grave lo dimostra, adesso, l’annuncio dei due ultimi giganti dell’industria Usa: General Motors e Ford stanno annunciano tagli drastici alle loro residue assicurazioni sanitarie, perché gli affari vanno male.
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Tutto ciò ci dice - con voce molto autorevole - che non è saggio spingere un Paese a una rivolta basata sul distacco, ciascuno per se, alcuni forti abbastanza da esigere ciò che vogliono, altri disposti al ricatto politico, altri ancora pronti a partecipare a una rivolta che stroncherà tutti i servizi.
La rivolta delle tasse è una grande trovata di destra. La rivolta contro i lavavetri è un piccolo servizio (acclamato non so perché dalla grande stampa) tributato alla cultura fascistoide della Lega. Una emergenza c’è. È nel distacco, nella solitudine, nel rischio di una cultura che rende sempre più vasti i due fenomeni.
Già adesso è un aspetto della vita americana, dove le tasse sono più basse ma si chiudono le porte degli ospedali. Per questo a Venezia George Clooney, l’attore, ha detto a chi gli chiedeva del suo Paese: «Voglio un presidente democratico, non uno ricco». E a chi gli chiedeva del nostro Paese (in cui vive per molti mesi all’anno) George Clooney ha detto «Almeno voi avete gli ospedali aperti per tutti». Ha dichiarato, in modo insolito e sorprendente, di avere fiducia in Walter Veltroni. Evidentemente lo associa alle figure che spera di veder prevalere nelle primarie Usa. E lo vede lontano dalla rissa umiliante sui lavavetri. Mi domando che cosa penserà l’intelligente attore e regista americano dell’Italia che ammira appena gli diranno che il ceto privilegiato del Paese dichiara «emergenza fiscale» due giorni dopo che il peggior leader xenofobo d’Europa Umberto Bossi ha chiamato i suoi fedeli alla rivolta fiscale contro l’Italia, il Paese in cui Bossi è uno dei capi della opposizione.
George Clooney e molti italiani continuano ostinatamente a condividere la speranza di uscire presto dall’incubo di una politica così squallida per approdare a un poco di civiltà.
Pensano che così finirà l’epoca triste della solitudine e del distacco.
In merito alla vicenda della delibera repressiva sui lavavetri, sarebbe, purtroppo, gioco facile ricordare che il grido d'allarme era già stato lanciato più volte, sebbene ignorato od anche deriso: quando la sinistra abdica ai suoi principi di garantismo, di libertà, di antifascismo, di tolleranza, e invece abbraccia il forcaiolismo e il giustizialismo di stampo fascista, si imbeve di parole orrende come legalità e certezza della pena, abbandona a loro stesse le vittime della repressione, cerca una guida in personaggi che hanno storie opposte alle nostre (l'ex missino Travaglio), demorde dal difendere conquiste del diritto come il provvedimento di indulto approvato dopo ben sedici anni di vergognosa apatia, si lascia trascinare dalla vulgata populista in indegne battaglie antiparlamentari (i nuovi manipoli che aspirano al bivacco nelle aule istituzionali), e come direbbe Adriano Sofri "si incattivisce" - quando la sinistra si appresta ad un'eutanasia programmata, insomma, e auspica di rinascere come destra law & order, ecco il risultato, ecco quello che inevitabilmente succede.
Tutto tristemente già previsto; da quindici anni si eccita quello che una volta era il popolo dell'eguaglianza al tintinnio delle manette, da quindici anni lo si è illuso con la distopia della purificazione carceraria della società, le cose sono andate avanti e continueranno ineluttabili, la nostra sinistra - "ferita dal giustizialismo", diceva Macaluso - corre a precipizio verso la fine.
Eppure, da persona di sinistra che non rinuncia a mortificarsi rinnegando la propria storia, e malgrado la paura di una prossima deriva antidemocratica che travolga l'impianto costituzionale (i segni ci sono tutti), sento ancora la forza, dentro di me, di proporre, di partecipare, di lottare: per questo lancio un appello ad una forte iniziativa di sinistra in risposta all'imbarbarimento in atto, e questa iniziativa non può non essere la richiesta di una amnistia, della più grande e straordinaria amnistia della storia repubblicana, da conseguire entro la fine dell'anno, per ridare speranza a quella parte del popolo di sinistra che non si è ancora arreso, che ancora non si è rassegnato a farsi veicolo della reazione.
Un provvedimento di amnistia che conduca a compimento una nobile battaglia iniquamente messa da parte con la Marcia di Natale, che abbracci a largo raggio un'umanità umiliata: quella dei nuovi capri espiatori del sistema, migranti, che siano lavavetri, popolazioni nomadi, fedeli di religione musulmana... un provvedimento di amnistia che sia di sollievo ai tanti compagni che ancora credono nello stato di diritto, e che soprattutto, a questo punto, rappresenti una forma di vera Resistenza al nuovo ordine poliziesco che avanza indisturbato, una risposta - di sinistra - a chi ancora non ha ripudiato i valori di riscatto sociale, e si batte per un mondo diverso.
bravo bravo bravo!
PS.
Cmq Valentino Rossi non ha pagato 20 milioni di tasse su 60 che ha evaso. I 126 sarebbero la multa...
Non ho parole di risposta al lungo ed articolato commento del sedicente "GIOVANNI"
Mah!!!
ah, giovanni,
bastasse un'amnistia...qui ci vuole la rivoluzione, ma chi la fa ormai?
un po' di culo caldo ce l'hanno quasi tutti e di persone disposte a perdere il certo, poco e banale, per un incerto sicuro non ne vedo...
son solo cose da pazzi, ma ce n'è un numero sufficente anche scarcerandoli tutti?
@antonelleo lyra
non ho capito il senso del tuo commento..... hai scritto per informarci che non sai cosa dire? -__-
come volevasi dimostrare, lo stesso Domenici dice a Repubblica tra l'altro:
d.Ma se i lavavetri, decaduta l'ordinanza, dovessero ricomparire?
r."Se ne farà un'altra. In fondo si tratta di un'ordinanza leninista".
d.Leninista?
r."Certo. Lenin diceva: il problema è l'analisi concreta di una situazione concreta. Questo stiamo facendo, vorrei far osservare a chi ci critica da sinistra. D'altra parte Lenin diceva anche che l'estremismo è la malattia infantile del comunismo...".
(3 settembre 2007)
http://www.repubblica.it/2007/08/sezioni/cronaca/lavavetri/intervista-domenici/intervista-domenici.html