
Niente da fare, rivedere lui rimette immediatamente in discussione le gerarchie. "Lui" ovviamente è il Piccolo Drago, Lee Siu Lung, entrato nella leggenda delle moderne arti di guerra come Bruce Lee.
Enter The Dragon (I tre dell'Operazione Drago) è un filmastro pieno di difetti e ingenuità, con una regia non all'altezza del protagonista e un cast stralunato. John Saxon non vale una cicca come combattente. Jim Kelly non vale una cicca come attore e comunque muore subito. Shih Kien che interpreta il cattivo Han, nonostante una lunga e prestigiosa carriera nei film del genere combatte come un pupazzo. Eccetera. Eppure quando entra in scena Bruce Lee, tutto improvvisamente prende senso e ritmo.
E se il combattimento iniziale al tempio è eccellente (nonostante un po' troppa ciccia addosso all'avversario sacrificale del Piccolo Drago), il combattimento di Lee con Oharra (Bob Wall) è di quelli che tolgono il respiro. Non c'è trucco né inganno, le braccia di Bruce si muovono a una velocità impossibile per un essere umano normale. Non c'è un gesto in più, non c'è mai una sbavatura, non un ammiccamento alla forma tradizionale. La coordinazione dei movimenti è perfetta e l'energia che si intuisce concentrata in ogni colpo è devastante. Blocchi e attacchi si susseguono senza soluzione di continuità, in un movimento fluido e fulminante, che solo il rallentatore permette di comprendere appieno. Pur evitando accuratamente qualunque concessione alla forma tradizionale, Bruce Lee si impegna in una danza di che riesce a essere rispettosa del mondo classico pur superandone ogni schema.

Emozionante anche l'uso delle armi nel sotterraneo. Lee si impossessa prima di un bastone lungo, la più antica arma cinese, che utilizza con "grammatica" tradizionale e "sintassi" anticonformista. Poi passa a due bastoni corti, mostrando tutta la sua abilità nell'escrima (studiata con l'amico filippino Dan Inosanto). Finalmente Lee mette mano al shuang jié gùn, più noto col nome giapponese di nunchaku e impartisce una lezione straordinaria sull'uso di questa antica arma di origine agricola.
Curiosamente il combattimento peggiore è quello finale, sia per gli oggettivi limiti di Shih Kien, sia per l'idea malsana di inventarsi una sala con gli specchi che spezzettano le immagini. Peccato anche che il cattivo Bolo (interpretato dal muscolatissimo Bolo Yeung) sia stato abbattuto da John Saxon (che nella vita reale ne avrebbe prese un saccon e una sporta) e non da Lee o in subortine dal ben più abile Kelly.
Bruce Lee muore sei mesi dopo l'uscita del film (campione d'incassi, code chilometriche in tutta l'asia per accaparrarsi i biglietti), nel luglio del 1971, lasciano il mondo orfano del suo genio e della sua arte, scomparsa assieme a lui. Il Jeet Kune Do, la sua "arte di intercettare il pugno" che parte dall'idea che il praticante deve raggiungere la perfezione per riuscire a superare la forma. Il concetto è spiegato nel breve dialogo iniziale tra Lee e l'abate anziano del monastero tra le cui mura si apre il film, un manifesto dell'arte di guerra di uno dei più grandi maestro dell'arte di guerra del secolo scorso.
Teacher: I see your talents have gone beyond the mere physical level. Your skills are now at the point of spiritual insight. I have several questions. What is the highest technique you hope to achieve ?
Lee: To have no technique.
Teacher: Very good. What are your thoughts when facing an opponent ?
Lee: There is no opponent.
Teacher: And why is that ?
Lee: Because the word "I" does not exist.
Teacher: So, continue...
Lee: A good fight should be like a small play, but played seriously. A good martial artist does not become tense, but ready. Not thinking, yet not dreaming. Ready for whatever may come. When the opponent expands, I contract. When he contracts, I expand. And when there is an opportunity, I do not hit. It hits all by itself.
Teacher: Now, you must remember: the enemy has only images and illusions behind which he hides his true motives. Destroy the image and you will break the enemy.