Manovra a tenaglia
di Marco Travaglio
Finalmente, dopo quattro mesi di pasticci, rinvii e bugie, la politica ha pronunciato una parola chiara sulle intercettazioni Unipol, Antonveneta e Rcs. La giunta dalla Camera ha detto sì al gip Forleo che il 20 luglio aveva chiesto l’autorizzazione a usare le telefonate tra i furbetti intercettati e indagati, e due parlamentari non intercettati né indagati (il ds Fassino e il forzista Cicu, che si son detti entrambi “d’accordo” sul via libera ai giudici). Favorevoli tutti i gruppi, tranne lo Sdi e FI. Per D’Alema, all’epoca dei fatti deputato europeo, la giunta s’è dichiarata incompetente e ha rinviato gli atti a Milano. Per Latorre, Comincioli e Grillo deve ancora pronunciarsi la giunta del Senato. Tra lunedì e martedì, l’aula della Camera dovrà confermare o smentire il voto della giunta su Fassino e Cicu. Poi toccherà a Palazzo Madama. Intanto i magistrati di Milano decideranno il da farsi per D’Alema: se insistono a interpretare la legge Boato alla lettera, ritenendo che l’autorizzazione spetti alla Camera cui il parlamentare “appartiene”,cioè a Montecitorio (tesi condivisa dal principe dei processualisti, Franco Cordero), è possibile che sollevino un conflitto di attribuzioni contro la Camera dinanzi alla Consulta. In alternativa, possono spedire il dossier alla commissione giuridica del Parlamento europeo (presieduta dal forzista Gargani). Ma prende corpo una terza ipotesi: che si proceda sulle telefonate Consorte-D’Alema, anche con un’eventuale iscrizione del vicepremier per concorso in aggiotaggio, senza chiedere alcun’autorizzazione all’Europa. L’ha scritto lo stesso relatore della pratica, Elias Vacca del Pdci: “L’uso delle telefonate tra D’Alema e Consorte potrebbe non richiedere alcuna autorizzazione”. Per due motivi: l’orribile legge Boato del 2003 che protegge i parlamentari dalle intercettazioni indirette non esiste in Europa (lì l’immunità è “solo quando si vuole intercettare direttamente un parlamentare”); e comunque l’estensione delle guarentigie italiane agli eurodeputati vale solo durante le “sessioni aperte” a Bruxelles o a Strasburgo, mentre nell’estate 2005, al tempo delle scalate,era tutto chiuso. Dunque, come ha ribadito Alberto Capotosti, presidente emerito della Corte costituzionale, “la Boato riguarda esclusivamente i parlamentari italiani e non si applica ad altre assemblee”. Aggiunge Leopoldo Elia: “La Boato non si applica a D’Alema”, che va “considerato come un cittadino qualsiasi”: se le cose stanno così, “non sarebbe necessaria alcuna autorizzazione” per usare le sue telefonate. Parole chiare, concetti semplici sono i migliori antidoti alla presunta “antipolitica” e alle accuse alla “casta”: il parlamentare è protetto da chi volesse intercettarlo, ma se parla con un privato cittadino indagato e intercettato, nessuna protezione. Bisognerebbe ripeterle continuamente, in tv, sui giornali e su manifesti a caratteri cubitali, queste parole: “Siamo cittadini normali,ci consideriamo innocenti ma vogliamo che siano i giudici, non il nostro foro domestico, a stabilirlo”. Purtroppo le cose non sono così semplici: alcuni strani distinguo emersi in giunta rischiano di ricicciare in aula. Alcuni esponenti del futuro Pd come Mantini e Tenaglia, più zelanrti dello stesso Fassino, han tentato fino all’ultimo di far inserire una clausoletta che limitasse l’uso contro le sole “persone attualmente indagate” (e non contro parlamentari, per indagare i quali la Forleo aveva pure chiesto l’autorizzazione). Ma, come spiega Cordero, questa è un’altra bestemmia giuridica: la Boato prevede l’ok delle Camere per l’uso delle telefonate ”nel procedimento”: decidono i pm, non il Parlamento, chi indagare e chi no, una volta ottenuto il via libera. L’incredibile proposta è stata respinta con perdite, ma il Dl Tenaglia non si dà per vinto e avverte sul Corriere: “Per eventuali iscrizioni di parlamentari, sarà necessaria una nuova richiesta di autorizzazione”. Nel documento votato in giunta non c’è una parola sul punto. Ma l’aggiunge lui, come se i giudici dovessero obbedire alle sue interviste. Se lui o altri dovessero tornare alla carica in aula, anche il limpido voto della giunta ne uscirebbe guastato e si tornerebbe daccapo, ai vecchi sotterfugi. A tutto vantaggio di Forza Italia, che ha votato no per Fassino e persino per il forzista Cicu. Ma solo per uno squisito spirito garantista, s’intende. Il fatto che tra due settimane il Tribunale di Palermo decida sulle imbarazzanti telefonate tra Berlusconi e Cuffaro, è puramente casuale.