Non servono maghi per, ma politiche concrete
La disaffezione dei cittadini nei confronti della politica è in calo; la quota di italiani che si sente più vicino a un partito è in crescita; gli eletti per il 93% degli intervistati perde troppo velocemente il contatto con i propri elettori; per il 69% la politica è un teatrino privo di contenuti.L’89% chiede più rapidità nella decisione politica, mentre, tra i politici questa quota sale al 95%.
Sono solo alcuni dei dati che emergono da un sondaggio promosso tra luglio e settembre dal Laps (Laboratorio di Analisi politiche e sociali) dell’Università di Siena, dati anticipati e discussi sul “Il Sole 24 ore” di giovedì scorso.
In breve: il fenomeno Beppe Grillo non solo non avrebbe modificato il quadro, ma per certi aspetti si collocherebbe in una stagione di riflusso dell’antipolitica. Dunque, in concreto, da circa tre settimane stiamo discutendo di un fenomeno che non c’è o che non è quello su cui si è concentrata l’attenzione dell’opinione pubblica, e di tutto il sistema di informazione (televisivo, radiofonico, del villaggio globale della rete,..)?
Penso che questa immagine, magari corretta nei dati numerici, dica delle cose diverse, soprattutto nasconda dietro di sé il vecchio vizio fondato su una doppia convinzione: da una parte ritenere che l’eventuale ripresa del Paese nasca e si origini da una rinnovamento dei gruppi dirigenti; dall’altra sostenere che sia sufficiente rovesciare il quadro attuale o le condizioni attuali, perché si produca una nuova società. In tutte e due le versioni l’idea è che solo un processo di rinnovamento che ha profondi caratteri religiosi e che sceglie o un progetto redentivo-messianico, o uno restaurativo rispetto a una legalità violata potranno garantire di una nuova felicità.
Lo scenario non è difficile da immaginare. Al di là della discussione che ci prenderà nelle prossime settimane sui numeri della finanziaria, sui tagli da fare, sulle scelte da compiere, prevarrà la logica dello scontro ideologico. Sarà la manifestazione annunciata dalla sinistra radicale in nome che a pagare deve essere qualcun altro; quella prospettata intorno al 9 novembre che Silvio Berlusconi vuole su tutte le piazze per festeggiare l’anniversario del crollo del Muro di Berlino, onorare le vittime del comunismo e autorappresentare tutta l’Italia come un paese vessato dall’ultimo comunismo imperante. Nel frattempo la campagna per le primarie del Partito democratico dà l’immagine di un rito che rischia di non far decollare niente. Hanno senso le primarie con liste bloccate? E allora perché si fanno?
Sia che quel movimento si esprima costruendo una piazza mediatica che chiede la riforma della politica; sia che solleciti una mobilitazione contro l’occupazione indebita del potere violato nella sua sacralità da neo-cosacchi che di nuovo avrebbero occupato Piazza San Pietro; sia che si pensi che lo sviluppo del Paese passa per una mobilitazione contro i “Potenti”; sia, infine, che si scelga con un voto plebiscitario un nuovo leader politico, l’effetto di fondo non cambia.
Ciò a cui stiamo assistendo e che con ogni probabilità andrà in onda con partiture musicali distinte, sarà una grande e unica sinfonia: l’idea che il rilancio del paese nasce dal rinnovamento della politica. Il rilancio nasce dalle cose che si fanno, dalle proposte concrete che si trasformano in leggi, dagli interventi settoriali che chiamano in causa questioni anche minori. E questo non perché occorre avere una dimensione”piccola” della politica. Ma perché la struttura complessa di una società, le tare del passato, le scelte di sviluppo che hanno coinvolto e visto protagonisti e decisori tutti gli attori politici del Paese, non si decidono con un colpo che gira la realtà come un calzino.
Solo chi ha una visione della realtà come magia, chi non ha il senso della storia di questo Paese – come di qualsiasi realtà politica – chi è in vena di promettere scenari radiosi che si tengono sul niente può dichiarare oggi che “tutto è possibile”.
Non è vero che oggi tutto è possibile. E’ vero che noi scontiamo ritardi immensi, che non abbiamo una politica dello sviluppo, che non abbiamo investito da almeno cinquanta anni sul futuro del Paese, a cominciare da una politica di investimento nell’ambito della ricerca scientifica che abbiamo eliminato dal nostro orizzonte da molti decenni. L’impazienza nella storia non ha mai prodotto gran ché. In ogni caso nessun mago ci salverà.
di
David Bidussa
fonte: Il Secolo XIX
29.09.07 19:05 - sezione
parole