Fo: Nobel a dispetto della casta Italia
di Toni Jop
Dieci anni fa. Provi a pensarci e quel che ti viene in mente non è tanto la gioia - nostra - per quel Nobel che spettinava l’Italia delle parrucche, quanto piuttosto la rabbia di chi non lo aveva vinto. Avevano assistito a una scena che non avrebbero mai voluto vedere: gli ermellini cerimoniali del grande Nord dirottati inspiegabilmente sulle spalle di un chiacchierone, fin che si vuole dotato, che si portava a spasso le masse raccontandogli delle belle fiabe. Il Nobel, roba seria, a un «giullare»? Una truffa, dissero, oppure scossero la testa biascicando «Il premio dei premi è nelle mani dei comunisti». Tutta gente che, parafrasando un vecchissimo slogan pubblicitario, soffriva, poveretta, perché non aveva mai usato il callifugo giusto. In più, Dario rideva, alla notizia, alla cerimonia con gli ermellini, durante le interviste televisive con la faccia di chi sfotteva: avete proprio ragione, sono un giullare.
Dario, quanto li hai fatti soffrire?
«Solo una piccola parte del Paese, una casta letteraria, per lo più incolta. Ma la gente semplice era felicissima: questa gente sa senza saperlo che gli affabulatori, i teatranti valgono oro perché in genere funzionano da traduttori, destrutturano il linguaggio del potere, smascherano la storia, le storie ufficiali e le servono nude a chi sta fuori dalle caste».
Del resto, le caste non stanno con le mani in mano, hanno i loro luoghi, i loro premi...
«Altroché. Qui da noi ci sono tanti premi quanti non ce n’è, credo, in nessun’altra parte del mondo. Serve: così io premio tua sorella e tu premi mio nipote, e se li segui da una cerimonia all’altra afferri la dimensione di uno scandalo abbastanza ributtante che coinvolge gli atenei e non solo. Perché avrebbero dovuto dare il Nobel proprio a quello che passa la vita a smascherare questo bel vizio di casta? Però, noi affabulatori svolgiamo una funzione psichicamente salvifica, facciamo del bene alla società ogni volta che le restituiamo un pizzico di verità senza concordarla col potere...»
In questo reparto di «rianimazione» ci metti anche Grillo?
«Ma certo. Lo accusano di aver usato un linguaggio violento per denunciare questo e quello. Andassero a rileggere come si esprimeva Aristofane quando parlava, violentissimo, del potenti “col culo al vento”. Il fatto è che oggi il sistema tollera sempre meno di essere messo in discussione; non va, ai potenti, di essere presi per il collo o per i fondelli, col linguaggio della piazza, poi, con la «volgarità» di un linguaggio senza potere. Vogliono essere lasciati in pace, non vogliono essere disturbati perché, questo è il messaggio, loro sanno cosa ci serve per andare avanti, ci pensano loro a noi, noi è meglio che stiamo zitti o al massimo poche parole misurate, discrete, gentili, sennò siamo selvaggi distruttori. Meccanismo di autodifesa di un’altra casta, quella dei politici...»
E due. Come si dice, la casta è sempre, per definizione «prestigiosa ed esclusiva», però mena come un portuale se la infastidisci...
«Bravo, non smontargli il paradosso su cui regge tutto il castello sennò commetti una infrazione grave. È grave issare una parolaccia, una “volgarità”, su un pennone in piazza perché ha il senso di una denuncia del linguaggio di quel sottosistema al quale partecipi solo se invitato e se sei disposto ad accettare l’esclusività di quel linguaggio. Eccoci alla radice vera dell’inciucio. Perché credi che mi sia dato da fare per riesumare o reinventare il gramelot, che è semplicemente un lavoro sul linguaggio? Mi stupisco ogni volta che, girando il mondo, la gente, il pubblico di ogni angolo della terra ai miei spettacoli dimostra di capire, di star dentro un gioco che non ha confini».
L’altra sera c’era Sabina Guzzanti che diceva in tv: il telegiornale normalmente apre con la politica, con un titolo molto tecnico di cui la gente capisce, per forza, niente e poi via con le dichiarazioni in par condicio di sette o otto personaggi, maggioranza e opposizione, che declinano le gradazioni del piacere o del dispiacere rispetto a quel titolo al quale il tutto resta appeso, inutilmente...
«Questa è informazione, nel senso che il pubblico è avvisato: state fuori “dai bal”, non è roba per voi. Come la storia della ripresa della Messa in latino. Ma tu guarda, questo Papa è un bel matto: come si fa scavare una buca tra officiante e fedeli proprio nel cuore di un rito che celebra la comunità e il suo rapporto con Cristo? In latino, poi, che rispetto alla vicenda di Cristo è la lingua dei padroni, degli invasori, del potere. L’informazione, anche in questo caso, è: fuori dalle balle, noi siamo il rito e voi le comparse, meno capite meglio è sennò si fa confusione e sembriamo tutti uguali. Sia chiaro che il potere siamo noi, non voi tanto è vero che sappiamo parlare una lingua morta che a voi dice niente».
E tre. Di casta in casta, questa è l’Italia irrigidita delle corporazioni...
«Ferma, ferma: chi glielo spiega alla gente, ai fedeli, che la storia evangelica del cammello che passa attraverso la cruna dell’ago è una bufala? Traduzione a effetto in un greco aulico che se ne frega dei sensi originari. Non era un cammello ma una gòmena che doveva passare nella cruna dell’ago. Ma è solo un esempio, a proposito del Vangelo, della promozione di sensi storicamente impossibili grazie al linguaggio del potere. Serve a confezionare riti e tormentoni, come quello di oggi, riservato a Prodi...»
Scaramanzia anti-prodiana?
«Esatto. Il tormentone di oggi recita in mille forme “Prodi deve morire” con la partecipazione della destra e non solo».
E morirà Prodi?
«Macché, il rito che hanno acceso contro di lui è troppo stupido. Lui è una brava persona anche se ha detto da poco una fesseria: che ogni società ha il politico che si merita. Forse qualche partito ce l’ha e Forza Italia, in questo, sta benone con Berlusconi, ma la società italiana no, non ancora. Non ha chi sappia eccitare le vecchie doti di questi italiani usciti in modo commovente dalla distruzione della guerra, con la dignità, tra l’altro, di quanti avevano combattuto la guerra di liberazione...».
Pansa non è d’accordo con questa lettura. Secondo lui in questa vicenda la sinistra ha sparso troppo fumo...
«Figurati: Pansa dica quel che vuole, io c’ero e quel che per lui è fumo per me era arrosto, con un profumo che benevolmente mi perseguita anche oggi, come vedi».
E non senti quel profumo di arrosto nella cucina del Partito Democratico?
«Sinceramente no. Si vede, si sente: è tecnologia istituzionale al quale la base si adegua, non nasce da un bisogno che sale dal basso...».
Per quello, neanche il Pci quando è nato. Non vorrai mica dire che dobbiamo lasciare ogni speranza, «noi che entriamo»? Almeno stiamo a vedere...
«Ma se oggi c’è ancora D’Alema che frena sul conflitto di interessi, non ti pare pazzesco? Non ti pare pazzesco che proprio quanti oggi predicano “non possiamo far governare il paese dalle piazze e dalla loro volgarità”, si insultino e si attacchino con una volgarità che, in Parlamento, ha scosso persino Franca che pure è una che ne ha viste di tutti i colori? Altro che le piazze, la volgarità è sempre una prerogativa del potere. No, non ho molta speranza...».
Fai uno sforzo: il Nobel l’hanno dato a te mica a loro...
«Forse me l’hanno dato perché han capito che sono uno che non molla mai. Fortuna che non sono il solo».
bisogna stare sempre con le vittime delle violenze, però Dario Fo (senza la Rame) alle volte si è schierato con cose strampalate, come il vandalismo al Parini. E anche lui ha avuto toni come "bisogna distruggere" che non promettono niente di buono. Bisogna che un giorno o l'altro i milanesi mettano/mettiamo i piedi per terra: non è che si voti in base alla vanteria, adottiamo almeno qualche criterio un po' pragmatico all'americana, tipo chi si occuperà meglio del verde o chi farà di più sulla cultura o sulla sicurezza, non "il genio" e "la supertitolata".
Carolina
con i criteri pragmatici all'americana, si ottengono solo "comandanti in capo", e poi la guerra segue, come la menzogna segue infallibile il candidato alle lezioni.
Del verde é meglio forse che ce ne occupiamo noi, ad esempio opponendoci alle grandi opere, ai parcheggi sotterranei (e in genere a pagamento)...quanto alla sicurezza, anche quello potremmo far meglio noialtri, uscendo la sera di notte, perdendo meno tempo al lavoro, e meno ancora davanti al cubo folgorante del dottor Goebbels (leggi tv).
Fo sindaco, almeno, sarebbe stato spiritoso e avrebbe fatto poco. Più il sindaco fa, vedi Cofferati Rutelli Veltroni Moratti Gentilini Chiam,parino Cacciari DiPiazza Bassolino Jervolino Albertini, e peggio é. Se di chi comanda non si può proprio fare a meno (e non capisco perché) che almeno sia quanto più possibile inattivo!
sarà, ma a me il conflitto radicale fra le due anime metteva i brividi dall'inizio. come si suol dire, è andata com'è andata, ma sono felice di aver votato Corritore.
Carolina
Dario Fo mi piaceva. Da quando franca rame si è unita al partito di destra di Di Pietro non mi interessa più.
be', come é sleale giudicare le mogli in base ai mariti, lo é ugualmente giudicare i mariti in base alle mogli.
Si, hai ragione. Non volevo giudicare ma per la grande stima che ho sempre nutrito nei confronti sia di Dario sia di Franca, vedere quest'ultima nello stesso partito di Di Pietro, che è lontano anni luce da qualunque idea di sinistra, mi fa male...
il fatto é che avevi mal riposto la tua stima in Franca Rame, che é persona generosa, ma non altro. Comunque, sbagli nel tuo giudizio sull'Italia dei Valori: esiste una parte cospicua, molto più cospicua dei voti di DiPietro, che si riconosce in quelle tesi. E' la conseguenza del fatto che, da un pezzo, la sinistra ha accettato e anzi oggi afferma con orgoglio che la politica é amministrazione, buona amministrazione. Che ciò che conta é semplicemente l'efficienza, coniugata con l'onestà, idea storica delle destre. DiPietro, semplicemente, accentua il tasto dell'onestà, della non corruzione, etc, con toni un poco polizieschi. Ma é l'intera sinistra ad essere divenuta poliziesca. Anche perché difetta totalmente l'idea di un altro mondo da costruire (qualche briciola la ritrovi nel solo bertinotti, ma non certo nel suo partito): e se il mondo é già fatto e finito, é chiaro che non resta che amministrarlo onestamente.
DiPietro non c'entra con la sinistra? certo, ma soprattutto é la sinistra che non c'entra con sé stessa, ad esempio quando impiega positivamente la parola "legalità", indicando che ciò che esiste va difeso, che gli equilibri vanno salvaguardati, che i diritti acquisiti vanno mantenuti. Se la sinistra scorda che vige l'ingiustizia totale, e che quindi i diritti vanno smontati, gli equilibri ribaltati, il mondo rifatto da capo, che sinistra é? e che bisogno c'é di una tale sinistra?
Per cui non solo DiPietro ci sta a pennello, ma ci sta meglio di tanti altri: almeno, dopo aver sproloquiato di corretta amministrazione, non fa i truschi telefonici con i manigoldi
DiPietro non é il morbo, ma il sintomo.
Infatti considero questa sinistra, rifondazione compresa, il miglior completamento dell'attuale destra televisiva. Parlo di completamento, eh, non dell'equazione destra=sinistra, idea che lascio molto volentieri ai seguaci di grillo.
Tuttavia, per quanto abbia apprezzato la "questione morale" di un Berlinguer, ho invece sempre contrastato un certo giustizialismo forcaiolo.
Sarò fatto male io, ma mi ricorda da vicino il fu Almirante.
Insomma, se Di Pietro fosse in un'alleanza insieme a fini e storace, credo che pochi se ne accorgerebbero.
ma come potrebbe stare con quei due, che sono due delinquenti matricolati, loro e la loro corte? quel che ti sfugge é che, avendo scelto la destra di essere la fazione del malaffare più impudico e scatenato, il giustizialista alla DiPietro o alla Travaglio finisce per assoluta necessità a trovarsi schiacciato a sinistra, dove peraltro moltissimi che un tempo non erano fatti così, ora si sono ridotto pure loro a sperare nei giudici, ad ammirare poliziotti e carabinieri, etc.
Fra l'altro nell'identificazione sinistra=polizia ha molto giocato anche l'infelice stagione dell'antiterrorismo, quando la sinistra ha scelto di stare dalla parte dello stato, pur sapendo questo stato di quale materiale era fatto.