Il canto del cigno di AEM
Sono stati separatamente valutati i flussi di cassa generati dallo sviluppo dell’attività connessa alla realizzazione del nuovo termovalorizzatore di Milano Sud. Tali flussi sono ponderati al 50% per tener conto dei rischi di realizzazione dell’investimento”. In linguaggio tecnico al limite dell’oscurità, così si è espressa nei mesi scorsi la costosa perizia che Ernst&Young, in un passaggio delle nove pagine con cui ha dato parere tecnico favorevole all’incorporazione di Amsa in Aem, al concambio stabilito dalle due società, una totalmente detenuta dal Comune e l’altra controllata dal Comune stesso e ormai avviata alla fusione coi bresciani di Asm. L’incorporazione di Amsa, con valutazione prossima ai 270 milioni di euro, è fondamentale per mantenere gli equilibri azionari stabiliti tra Milano e Brescia, in modo che sia mantenuto un sostanziale equilibrio in una situazione che avrebbe invece visto un naturale prevalere dei bresciani all’interno del nuovo colosso.
Quindi, la confluenza di Amsa in Aem è fondamentale per i futuri destini della fusione. Già, solo che nella frase sopra riportata sta una potenziale polpetta avvelenata, che in pochi hanno notato ma che potrebbe complicare la vita, e non poco, sulla via di un’operazione che il 22 ottobre prossimo, con l’ultima grande assemblea degli azionisti di Aem, deve ottenere la sua definitiva approvazione. Proviamo a tradurre liberamente, ma senza tradirne il senso reale, il testo firmato da Ernst&Young. “A composizione del valore di Amsa, sono stati valutati separatamente gli introiti prodotti dalla realizzazione del nuovo termovalorizzatore”. Prima notazione: i termovalorizzatori rendono un sacco di soldi, perché fanno risparmiare sullo stoccaggio e producono energia e calora. Seconda notazione: i termovalorizzatori non li vuole nessuno e infatti a Milano si discute da un decennio di un secondo termovalorizzatore, ma nessuno è mai riuscito a farlo. Sull’ipotesi si sono già spaccate più volte le maggioranze di Comune e Provincia. Ed infatti il secondo termovalorizzatore ancora non c’è, nemmeno in forma di progetto definitivamente approvato. C’è solo nel piano industriale di Amsa, cui viene evidentemente attribuito grande potere di autoavverarsi, visto che va a comporre il valore di Amsa, sulla cui base va discussa la sua incorporazione in Aem, fondamentale per realizzare la grande fusione con Brescia. E siccome i periti di E&Y sono coscienti del rischio che il termovalorizzatore non vedrà mai la luce aggiungono una seconda frase, che lascia invero perplessi. Traducendola possiamo leggere: “A composizione del valore di Amsa, gli introti che può produrre il secondo termovalorizzatore sono valutati per la metà, perché è chiaro il rischio che il termovalorizzatore non venga realizzato”. L’obiezione è perfino facile: se il termovalorizzatore viene realizzato i suoi proventi vanno valutati integralmente, ma se salta – e l’esperienza dice che è probabile che salti – allora non vale niente. L’ipotesi che non si faccia, deprezzerebbe l’Amsa (valutata 270milioni ai fini della fusione con Aem) di circa il 70%: cioè la porterebbe a valere quello che effettivamente vale, meno di cento milioni, e comunque mettendo in conto gli aumenti delle tasse che il Comune ha promesso ma deve ancora far approvare al consiglio, dove anche pezzi di maggioranza (vedi An) hanno già il mal di pancia. La stranezza della valutazione non cambierà il percorso già tracciato, ma val la pena di sottolinearla adesso a futura memoria. Ci pensino i membri del collegio sindacale chiamati a ratificare le valutazioni, e inizi a pensarci la Consob che prima o poi dovrà dare il suo parere, visto che il valore di Borsa del gruppo Asm.Aem sarà stabilito anche in base all’inceneritore proiettato. E ci pensino, infine, gli amministratori di Aem al canto del cigno. E’ vero che in Italia non paga mai nessuno, ma se tra qualche anno non dovessero tornare i conti i piccoli azionisti di Milano avranno tutti il diritto di promuovere azioni di responsabilità, e di chiedere a loro, direttamente, la differenza. E non in azioni dal valore discutibile, ma cash.
di
Jacopo Tondelli
fonte: il Riformista