Libera stampa in libero Stato. E le intercettazioni?
Alcuni giorni fa ero a cena con amici giornalisti e inevitabilmente la conversazione si è avviata sull’analisi dello stato dell’informazione. Ho ricordato che la mia prima esperienza in materia risaliva ai primi anni 60 quando, quasi digiuno, l’amico Pino Zac, padre del «Gatto Filippo», epica striscia di Paese Sera, mi chiese di difenderlo dalle querele di alcuni politici per un opuscolo propagandistico elettorale. Aveva effettuato i disegni satirici per il Psi e mi ero ritrovato in un collegio difensivo con l’avvocato Adolfo Gatti, “numero uno” dei penalisti di quell’epoca, a sostenere la tesi della assoluta dignità del diritto di satira politica. Il Tribunale accolse le ragioni della difesa e quello fu considerato, in seguito, uno dei momenti più importanti della giurisprudenza “liberale” della magistratura italiana.
Agli amici che mi chiedevano cosa fosse mutato da quel periodo nella giurisprudenza per la stampa, ho risposto che qualche conquista c’era stata, ma che poco poteva cambiare dal momento che la legislazione è rimasta bloccata con i tanti divieti che praticamente pongono nel nulla le enunciazioni di principio contenute nella nostra carta costituzionale sulla libertà di pensiero.
Ripetevo ciò che da anni vado dicendo e cioè che se il ruolo della stampa è un ruolo di controllo degli atti di tutti i poteri, è evidente che per poter svolgere questo ruolo è necessario che la stampa, ogni qual volta venga in possesso di notizie coperte dal segreto, sia affrancata da sanzioni relative alla violazione dello stesso. Il più delle volte, infatti, il segreto apposto è proprio per non far conoscere all’opinione pubblica ciò che avviene nelle segrete stanze. Se i segreti sono necessari, è bene che di quei segreti risponda chi è preposto alla tutela degli stessi e che si ponga finalmente fine alla situazione attuale che pone sanzioni a carico di chi è alla fine della catena delle conoscenze e “pubblica”.
La discussione era nata dalle recenti notizie sulle intercettazioni che avrebbero mostrato una sorta di accordo tra Rai e Mediaset per non farsi concorrenza e, come era prevedibile, era alla fine ritornato sull’argomento di partenza. C’era chi si dichiarava per la liceità di pubblicazione di quegli atti e chi, invece, sosteneva la non pubblicabilità per essere quelle intercettazioni relative a persone non implicate nel procedimento penale. A nessuno era venuto in mente di riflettere sul suolo dell’Informazione in una situazione del genere. Nessuno aveva riflettuto sul fatto che se quelle notizie non erano pubblicabili per le attuali norme in vigore nel nostro Paese, c’è poco da stare allegri sul futuro della democrazia. E se le cose stanno così, e non vedo in che altro modo possano essere, sarà bene che il Partito Democratico faccia una profonda riflessione sul ruolo che intende affidare a una libera informazione, sulle norme che la regolano attualmente e che vanno rapidamente abolite e sui giornalisti. Se questi ultimi non rivendicano il diritto a violare i segreti, non avremo mai una stampa libera e degna di questo nome.