Le olimpiadi di Pechino sono solo un sintomo. Il male è la decadenza dello sport, a sua volta risultato della società di cui è parassita.
Che senso ha boicottare Pechino e poi farsi la faccia tricolore e ingorgare le città di giubilo perché undici miliardari viziati e spocchiosi hanno tirato la palla in rete tre volte in più dei loro omologhi francesi? Delirare per Valentino Rossi, ammirare incondizionatamente un centometrista anabolizzato, con gli occhi gialli, a costante rischio di embolia? E' come prendere un antidolorifico per una distorsione senza bloccare l'articolazione.
Allora è meglio spegnere l'oscena TV con tutti i suoi Floris e Petruccioli, cancellare il totocalcio dai lunedì in ufficio, dimenticare l'offshore, Lunarossa, Prada, ignorare le corride tra tossici a pedali, licenziare dal proprio tempo libero Pescante e Tyson.
Boicottaggio è una parola seria, merita più rispetto che
avallare qualche po' di facile populismo di bottega. Eccheccazzo.