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Alberto Biraghi
Appello perché l'Unità chiuda
«Preoccupati per il destino di una testata importante per la vita democratica del Paese, chiediamo al Cda di non percorrere strade che possano collocare l'Unità fuori dalla sua tradizione».
E' l'ennesimo appello per salvare un giornale di partito che da decenni riesce a chiudere i bilanci in passivo nonostante i succulenti contributi pubblici, grazie agli interventi prima di Veltroni (inventò i gadget e l'inserto culturale quando già i conti facevano acqua, innescando il processo di fallimento portato diligentemente a compimento da Fuccillo, Gambescia e Caldarola) poi di D'Alema (consegnò a Berlusconi su un piatto d'argento la testa di Furio Colombo, direttore della rinascita e della recente più bella del quotidiano dai tempi di Gramsci).
Oggi l'Unità è un triste bollettino delle diverse correnti del Piddì, deputato alla pubblicazione di logorroiche interviste ai maggiorenti. Il dibattito è totalmente assente, la censura delle idee prassi comune, i collaboratori di valore sono statio in gran parte allontanati. Una gestione troppo miope e misera per non essere stata decisa da un dittatorello di partito.
All'appello di "intelletuali e scienziati" rispondo con il mio contrappello. Che chiuda. Almeno non avremo il dolore di vedere di nuovo fallito il giornale fondato da Antonio Gramsci, oppure edito dagli Angelucci, o peggio diretto da Antonio Polito.
PS: chi scrive ha contribuito inviando un milione di lire all'epoca della chiusura. Allora erano bei soldi, immediatamente trasformati in merda dagli intestini dei dirigenti diessini, che elargivano alla girandola di inetti direttori liquidazioni da nababbo, addirittura premiando il peggiore (Caldarola) con lo scranno in parlamento.
di
alberto biraghi