Passano lenti. Un lampeggiar febbrile
arde a ciascuno il ciglio.
Passan solenni e da le dense file
non si leva un bisbiglio.
Toccandosi le mani ognun di loro
cerca il vicin chi sia.
Se i calli suoi non vi segnò il lavoro,
quella è una man di spia.
Sotto l'aspra fatica e il reo destino
molti già son caduti,
molti il carcer ne tiene od il confino,
e pur sono cresciuti.
Striscia il gran serpe de la folla oscura
dei ricchi su le porte.
Dentro, nello stupor de la paura,
si ragiona di morte.
Intanto il passo de la muta schiera
allontanar si sente
e nel silenzio de la fosca sera
spegnersi lentamente.
Ecco allora Epulon, vinto il terrore
socchiude l'uscio e guata
e dice: "lode a Crispi ed al Signore,
anche questa è passata!"
È passata, ma invan te ne compiaci
ne l'allegre parole.
Son gli antichi rancor troppo tenaci
per tramontar col sole.
Nel ferreo pugno non hai più la plebe
che serva un dì schernivi:
germina l'odio da le pingui glebe
che mieti e non coltivi.
Ne le officine fumiganti e nere
contro te si cospira:
sotto la casa tua, ne le miniere,
pronta allo scoppio è l'ira
e mal ti gioverà crescer guardiani
a le porte sbarrate;
l'armi custodi del tuo aver, domani
da chi saran portate?
Chi ti difenderà domani, quando
le turbe mal nudrite
assedieranno le tue case, urlando:
"è il primo maggio: aprite?"
Oh, ben gli sguardi noi tendiam levati
a l'avvenir fecondo
e tu chini la fronte! I tuoi peccati
hanno stancato il mondo.
Argia Sbolenfi (Olindo Guerrini)